In giugno il fuoco era divampato in una discarica di Mortara, in provincia di Pavia.
(Vigili del Fuoco)
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli incendi nelle discariche del nord Italia. La soluzione più economica per ‘smaltire’ rifiuti che non possono più essere inviati in Cina.
di Floriana Bulfon
Le lingue di fuoco sprigionano nuvole tossiche che assediano intere città. Un inferno che divora cumuli giganteschi di spazzatura. L’Italia va in fiamme: negli ultimi tre anni sono più di 300 gli incendi e la Terra dei Fuochi non è più confinata tra Napoli e Caserta.
Brucia la Lombardia, il Veneto, la pianura padana, dove si concentrano gli impianti di trattamento e dove finiscono anche i rifiuti della Campania. Trasportati da aziende in regola e poi fatti sparire.
Perché il fuoco è la soluzione più economica per liberarsi dall’ immondizia. I roghi riguardano soprattutto scarti di plastica e carta per imballaggi destinati fino ad ora alla Cina. A inizio anno infatti la via s’è interrotta: Pechino ha bloccato ogni importazione. E così non potendoli più gettare nella grande pattumiera e con gli impianti austriaci o tedeschi che devono smaltire quello che prima finiva in Oriente, si è riempito ogni spazio disponibile.
Un affare (quasi) per tutti
Depositi senza alcuna autorizzazione e capannoni abbandonati per la crisi industriale sono diventati discariche abusive da bruciare. A metà ottobre alle porte di Milano gli incendiari hanno azzerato 16’000 tonnellate, rilasciando una quantità di polveri inquinanti paragonabile a quella che tutti gli inceneritori italiani produrrebbero in oltre 2500 anni di attività.
Nel Pavese, la magistratura ha svelato come in pochi mesi titolari di aziende di smaltimento, trasportatori e mediatori abbiano incassato oltre un milione di euro stoccando illegalmente rifiuti a cui poi davano fuoco. Un affare per tutti: da chi riceveva rifiuti oltre i limiti consentiti, agli autotrasportatori fino ai mediatori.
Ad agire non sono solo le mafie. Incendiare è semplicemente diventato un modo di fare impresa. Permette guadagni facili e i rischi sono limitati. La commissione Ecomafie ha dimostrato che nel 50% dei casi nessun colpevole viene individuato.
Le falle del monitoraggio
Un’impunità favorita dalle falle nel monitoraggio. “Basterebbe incrociare le banche dati della magistratura e delle forze dell’ordine con quelle del sistema delle agenzie ambientali”, chiarisce Claudia Mannino dei Verdi. E ancora: “servono visite a sorpresa da parte delle agenzie ambientali e non concedere deroghe al codice ambientale”.
A Mortara, nella terra delle risaie, l’estate scorsa, con un insolito tempismo, proprio il giorno prima di un’ispezione sono bruciati 12’000 metri cubi di rifiuti, accumulati nonostante la ditta fosse autorizzata a trattarne la metà. Mesi dopo, nella stessa azienda, va a fuoco una catasta davanti al piazzale.
Per Silvia Bonardi, pubblico ministero della Direzione distrettuale di Milano che ha recentemente fatto luce sulla modalità illecita di smaltimento dei rifiuti nel Pavese, la realtà “è allarmante perché quello che manca è il controllo delle autorizzazioni, specie in quei capannoni usati come stoccaggio di rifiuti”.
Crisi annunciate
Un rischio altissimo che si somma alle crisi annunciate. Come quella in Campania, che verrà provocata entro due mesi dal blocco per manutenzione di gran parte del termovalorizzatore di Acerra, l’unico della regione.
Nel frattempo, le gare per gli impianti e quelle per portare fuori i rifiuti accumulati vanno deserte e si continua a pagare all’UE una multa di 120’000 euro al giorno. Sul tema si è acceso uno scontro all’interno del governo tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, tra inceneritori che servono perché “si rischia un disastro mondiale” o che “non c’entrano una beneamata ceppa e non sono nel contratto di governo”.
Alla fine la soluzione proposta sembra sia quella di far intervenire i militari. Peccato che agiscano contro i trafficanti di monnezza già dal 2008. Intanto l’emergenza resta insieme alla necessità di costruire una seria gestione ambientale.
26 novembre 2018