REUTERS
L’omosessualità tra i preti e i religiosi «è qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. Nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva». Lo afferma Papa Francesco nel libro intervista con il missionario clarettiano Fernando Prado “La forza della vocazione” (Edizioni Dehoniane, 120 pagine, 9,50 euro), che arriva in libreria in questi giorni.
Bergoglio affronta temi sui quali si è già espresso altre volte. «Non c’è bisogno di essere chierici – spiega – per essere clericali. Esiste un clericalismo che si manifesta nelle persone che vivono con atteggiamenti da “segregati”, con la puzza sotto il naso, segregati male. Sono quelli che vivono una specie di atteggiamento aristocratico rispetto agli altri. Il clericalismo è un’aristocrazia. Si può essere clericali pur essendo un fratello consacrato o una religiosa. Non si è clericali per il fatto di celebrare messe, ma perché si crede di appartenere a tale aristocrazia. A questo si associa, generalmente, un modo di vivere in maniera aristocratica che si manifesta negli atteggiamenti: sembra che uno sia sempre al di sopra di tutto il resto del santo popolo fedele di Dio. Quando c’è clericalismo, “aristocraticismo”, “elitarismo”, non c’è il popolo di Dio, che è quello, in definitiva, che ti dà una collocazione».
«Quello che ti dà una collocazione nella Chiesa – prosegue il Pontefice nel dialogo con Prado – è il santo popolo fedele di Dio. È la vicinanza alla gente della parrocchia; per chi sta in un collegio, sono i genitori dei ragazzi e i ragazzi stessi; per chi sta in un ospedale sono i malati a dargli una collocazione. Il religioso clericale invece non è inserito. Questo è l’elemento determinante. La parola “inserimento” è determinante. È una di quelle parole che si usarono con una buona intuizione nel post Concilio. A volte, forse, non è stata applicata bene, e quindi è entrata rapidamente un po’ in disuso, ma credo sinceramente che sia una parola ispirata dallo Spirito poiché si situa sulla linea di quanto appare in questo quadro di Rupnik che è appeso alla parete. È la synkatá basis («condiscendenza») di Gesù, che si è abbassato per inserirsi nel popolo. E il clericalismo è l’opposto dell’inserimento. Il clericale fa parte di un’élite e non si riconosce nel popolo. Da qui possono venire poi molte conseguenze, soprattutto quando si usa male il potere. Il clericalismo è la radice di molti problemi, come stiamo vedendo. Anche dietro ai casi di abusi, oltre che ad altre immaturità e nevrosi, si trova il clericalismo. Occorre fare molta attenzione a questo durante la formazione. Bisogna discernere e aiutare a chiarire le immaturità e ad accompagnare in una sana crescita».
«Se il formatore vede che qualcuno non se la cava bene con i propri limiti – spiega Francesco nell’intervista – faccia bene attenzione, perché là vi sono degli indizi di una nevrosi o di qualche immaturità, che si dovrà vedere come poter instradare, governare, mettere da parte… Ma, per l’amor di Dio! Non forzino i propri limiti né quelli degli altri. Che li gestiscano bene».
Il Papa spiega che «non bisogna allarmarsi, ma accompagnare e, se è possibile, lavorare» per superare i limiti. «Ti racconto un aneddoto. Un sacerdote si era innamorato e lo andò a raccontare al suo vescovo. Non sapeva che fare. Pensava che forse avrebbe dovuto lasciare tutto… Si era tanto allarmato sentendo che era innamorato, che cercava continuamente quella donna e si cacciava sempre più nei guai. In realtà non aveva nulla, era tutta un’ossessione, forse un po’ adolescenziale, ma si era allarmato e la prima cosa che fece fu di andare a cercare il vescovo per raccontarglielo… E fece bene! Quanto fa bene cercare una paternità! Le crisi e i problemi vengono. Non occorre allarmarsi».
Francesco aggiunge: «Prego sempre i sacerdoti di non forzare i limiti della gente. Se uno viene a confessarsi, lo lascino confessarsi come crede. Non ti mettere a frugare qui e là, non forzare i limiti delle sue piaghe e, a tuo giudizio, offrigli i consigli che credi opportuni e che lui è in grado di ricevere. A sua misura: uno solo, magari, quello opportuno, ma occorre lasciare sempre la porta aperta perché possa tornare. Che quello dica: “Che bravo questo prete! Voglio ritornarci”».
Il Papa invita dunque a «lasciare uno spazio, una porta aperta, senza forzare i limiti. Il penitente, ma lo stesso vale per il giovane o la giovane che è in formazione, va sostenuto e aiutato fin dove riesce ad arrivare. Nella formazione credo che sia necessario questo: formare i giovani senza forzare i limiti. Si deve fare attenzione a quelli che si scelgono per essere formatori. Vi sono stati anche formatori nevrotici, che forzavano i limiti dei ragazzi e che, invece di aiutarli a crescere, li schiacciavano. È molto importante anche trovare dei buoni formatori».
Ma ci sono anche dei limiti che non si possono tollerare in un percorso formativo alla vita consacrata. «Q uando vi sono candidati con nevrosi e squilibri forti, difficili da poter incanalare anche con l’aiuto terapeutico, non li si deve accettare né al sacerdozio né alla vita consacrata. Bisogna aiutarli perché facciano altri percorsi, senza abbandonarli. Occorre orientarli, ma non li dobbiamo ammettere. Ricordiamo sempre che sono persone che vivranno al servizio della Chiesa, della comunità cristiana, del popolo di Dio. Non dimentichiamo questa prospettiva. Dobbiamo fare attenzione a che siano psicologicamente e affettivamente sani».
Quindi Bergoglio ha risposto alla domanda sull’omosessualità nella Chiesa. «È qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. Sempre sulla linea di quello che stavamo dicendo, ti direi che nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva. Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare anche la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono. Come dicevo prima, capita che forse al momento non siano evidenti, ma si manifestano in seguito».
«Quella dell’omosessualità è una questione molto seria – aggiunge il Pontefice – che occorre discernere adeguatamente fin dall’inizio con i candidati, se è il caso. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa».
«Ho avuto da me un vescovo abbastanza scandalizzato – ha detto ancora il Papa nel libro intervista – che mi ha raccontato di essersi reso conto che nella sua diocesi, una diocesi molto grande, vi erano vari sacerdoti omosessuali, e che aveva dovuto affrontare tutto questo, intervenendo, prima di tutto, sulla formazione, per formare un altro clero diverso. È una realtà che non possiamo negare. Neanche nella vita consacrata sono mancati dei casi. Un religioso mi raccontava che, mentre era in visita canonica a una delle province della sua congregazione, era rimasto sorpreso. Vedeva che bravi giovani studenti e anche alcuni religiosi già professi erano gay. Egli stesso aveva dubbi sulla cosa e mi ha domandato se in questo vi era qualcosa di male. “In definitiva – diceva – non è tanto grave; è soltanto un’espressione di affetto”. È un errore».
30/11/2018
La copertina del volume