di: Andrea Cinquegrani
Torna alla ribalta il nome di Marco Mancini, la super spia incappata in due grosse grane, una dozzina d’anni fa, come il rapimento dell’imam Abu Omar e i dossieraggi Pirelli-Telecom, vicende dalle quali è uscito giudiziariamente illeso e immacolato per via di un miracoloso “Segreto di Stato”.
E’ fresco di nomina, infatti, ai vertici amministrativi del DIS, ossia il Dipartimento di Informazioni per la Sicurezza, al cui vertice è stato appena nominato dal governo gialloverde – il 22 novembre scorso – Gennaro Vecchione, i cui predecessori sono dei pezzi da novanta della nostra nomenklatura: l’ex capo della Polizia Alessandro Pansa e l’ambasciatore Giampiero Massolo, in predicato per la prima poltrona alla Farnesina nell’ultimo totoministri.
LE SPIATE DI RIGOPIANO
Dopo la importante nomina al top del Dis, Mancini adesso viene tirato in ballo nella vicenda di Rigopiano. Nel corso del processo, infatti, è stato appena interrogato il dirigente al ministero dello Sviluppo Economico Giovanni Savini, che nel corso del 2015 fu aggregato come dirigente alla Protezione civile. Entrò in rotta di collisione, Savini, con il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, il quale – secondo il racconto di Savini davanti ai giudici – si vantava dell’amicizia con un importante 007, Mancini. “D’Alfonso mi ha detto di conoscere bene Mancini – dichiara Savini – noto alla cronache per essere un vertice dei servizi segreti e che, tramite Mancini, era nella disponibilità delle mie intercettazioni”.
Così infatti spiega ai giudici Savini: “Proprio nei giorni terminali del mio incarico, ho ragione di ritenere che D’Alfonso ascoltasse le mie telefonate, perchè mi sono state da lui (D’Alfonso, ndr) riferite alcune affermazioni che posso aver fatto solo al telefono e solo con mia moglie”.
Una torbida storia, per la quale però Mancini non è indagato né inquisito. Almeno per ora.
Pesano invece come macigni, sotto il profilo deontologico, professionale, morale le due “assoluzioni” ottenute grazie all’apposizione del “Segreto di Stato”, un vero salvagente per pochi baciati dalla fortuna.
IL RAPIMENTO ABU OMAR
Cominciamo dal giallo del rapimento dell’imam Abu Omar.
Il 5 giugno 2006 Mancini viene arrestato per ordine della procura di Milano, pm Armando Spataro. Pochi mesi dopo, a febbraio 2007, arriva il rinvio a giudizio per una serie di uomini dei servizi segreti, tra cui spicca il numero uno, Nicolò Pollari. Il processo inizia a fine anno, ottobre 2010 e al termine la richiesta di Spataro è durissima: 10 anni per Mancini, pene da 10 a 13 anni per lo stesso Pollari e altri funzionari dei servizi, nonché per il capocentro della Cia a Milano e suoi collaboratori.
Ma ecco la sentenza ‘miracolosa’: “non luogo a procedere” per Pollari e Mancini per via del “Segreto di Stato” che di tanto in tanto interviene per salvare funzionari dei servizi coinvolti in sporche faccende.
Comincia l’incredibile balletto. L’appello conferma il primo grado, non luogo a procedere. Mentre la Cassazione, nel 2012, annulla la sentenza e rimanda il fascicolo allo stesso appello.
Che stavolta cambia opinione, appioppando 10 anni a Pollari e 9 a Mancini!
Ma eccoci alla beffa finale: perchè anche la Cassazione cambia parere e in via definitiva “annulla senza rinvio”, perchè “l‘azione penale non poteva essere perseguita per l’esistenza del Segreto di Stato”. Ai confini della realtà.
Praticamente identico il copione recitato per anni al tribunale di Perugia. Perquisendo la sede dei Servizi a Roma proprio per l’inchiesta Abu Omar, gli inquirenti trovano decine di faldoni zeppi di dossier riguardanti magistrati, giornalisti, alcuni politici, attivisti di associazioni e via di questo passo. Si tratta del lavoro svolto per molti mesi da Pollari e dal suo fido braccio destro, Pio Pompa, per spiare & dossierare decine e decine di persone e organizzazioni ritenute ostili al governo Berlusconi. Tra essi c’è anche la Voce. Comincia una vera odissea giudiziaria, perchè molte parti lese intentano causa e chiedono i danni per un’azione tanto smaccata in barba ad ogni ‘privacy’ e certo non solo.
E quale sarà mai l’esito dopo anni e anni? Tutti innocenti, gli uomini dei Servizi, Pollari e Pompa in prima linea, perchè a proteggerli c’è il “Segreto di Stato”. Pur se è del tutto evidente come la ‘difesa dello stato’ non c’entrasse un bel niente, trattandosi di un ‘privato’ dossieraggio, fatto su privati cittadini con fondi pubblici! Un Segreto di Stato rispettato e applicato da tutti i governi che si sono succeduti negli anni: da Berlusconi a Letta, da Monti a Renzi fino a Gentiloni: vedremo ora cosa farà il premier Giuseppe Conte.
SPIATE & DOSSIERAGGI MADE IN TELECOM
Ma passiamo al secondo scandalo che ha coinvolto l’inossidabile Mancini.
Dicembre 2006. Non è un felice Natale per Marco Mancini che viene arrestato per una seconda volta nel giro di pochi mesi, stavolta per una pesante vicenda di intercettazioni illegali ai danni di decine e decine di personaggi dell’industria, della politica, perfino dello sport (fra gli spiati Bobo Vieri e Luciano Moggi), e addirittura la stessa moglie Afef di Marco Tronchetti Provera, allora patron di Telecom e Pirelli. L’accusa è da brividi: associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione del segreto d’ufficio.
In pratica, all’interno di Telecom viene costituta una cellula di spioni & hacker, per controllare e dossierare i “nemici” di Tronchetti Provera (prima si parlava di Berlusconi). La compongono, oltre a Mancini, anche l’allora capo della Security di Telecom, Giuliano Tavaroli, e l’investigatore privato Emanuele Cipriani. Una bella band che in pochi mesi raccoglie una montagna di dossier: “una raccolta sistematica di informazioni riservatissime in grado di assicurare fiducia nel gruppo Pirelli-Telecom e quindi stabilità al consorzio delittuoso che fondava sui cospicui fondi aziendali per la security il perno della sua poliedrica e multiforme attività illecita”.
Parole dure come pietre, quelle dei magistrati milanesi.
VIVA IL SEGRETO DI STATO
Al processo, mentre la gran parte degli imputati chiedono il patteggiamento (ad esempio Tavaroli viene condannato a 4 anni e mezzo e 60 mila euro di multa), il solo Mancini invoca il già sperimentato “Segreto di Stato”: Segreto di Stato, stavolta, sui rapporti Sismi-Telecom. Incredibile ma vero: una faccenda di spiate del tutto arci private va a finire nel calderone del “Segreto di Stato”, che val la pena di rammentarlo può essere invocato solo per gravissimi motivi inerenti la sicurezza della nostra nazione.
E stavolta cosa cavolo c’entra, come del resto anche nella vicenda Pollari-dossier?.
Un lasciapassare molto utile sia in primo grado, che in appello e quindi in Cassazione, per Mancini.
Lunghissima, e conclusasi solo poche settimane fa, l’altalena per Tronchetti Provera, che almeno ha avuto il fegato di non ricorrere alla facile prescrizione. Un vero via vai di sentenze: alla fine mister Pirelli ha vinto con un rocambolesco 3 a 2, tre assoluzioni e due condanne. La motivazione? “Poteva non sapere”. Cioè il capo ordina per sé e la sua azienda spiate e dossieraggi ai suoi dipendenti (tali erano Tavaroli, Mancini e Cipriani) “a sua insaputa”. Anche qui, ai confini della realtà.
Al termine delle storie, sorgono spontanei alcuni interrogativi.
Ma che senso ha questo “Segreto di Stato” utilizzato in maniera tanto sconsiderata e accettato fino ad oggi supinamente dalla magistratura e avallato da tutti i governi senza alcuna distinzione di colore politico? Non sarebbe il caso di apportare qualche radicale cambiamento?
Ancora. Non sarebbe il caso che il DIS – come promise e non mantenne Massolo voluto da Renzi su quella poltrona – aprisse i suoi cassetti circa i tanti misteri d’Italia e desecretasse sul serio tante carte ancora avvolte nel mistero?
E poi. Possibile che un personaggio come Mancini, coinvolto in simili vicende, uno 007 che più border line non si può, venga nominato al vertice amministrativo dello strategico Dipartimento Informazioni per la Sicurezza? Come affidare a Dracula la banca del sangue, si diceva una volta.
Staremo a vedere se il governo del “nuovo” batte un colpo.
4 dicembre 2018