L’Attila di Giuseppe Verdi e Temistocle Solera (e Davide Livermore) alla Scala non è un’opera sul patriottismo, ma sul tradimento dei patrioti. Ecco che cosa dice Attila, il barbaro invasore, a Ezio che viene a patteggiare la spartizione dell’impero: “Dove l’eroe più valido / è traditor, spergiuro, / ivi perduto è il popolo / e l’aere stesso impuro / ivi è impotente il Dio / ivi codardo è il re”.
di Gianni Barbacetto e Silvia Truzzi
Prima della prima, il rito scaligero si ripete sempre uguale a se stesso. Abiti, ceroni, dichiarazioni a margine, flash e passerelle: cinque minuti di notorietà che costano fino a tremila euro (cifra che quasi mai garantisce l’eleganza). Quest’anno però è il primo dell’era gialloverde: la confusione regna sovrana, anzi sovranista.
Grande assente il ministro Matteo Salvini, impegnato in un’impegnata conversazione con Barbara D’Urso a Pomeriggio 5. In compenso ci sono, oltre alla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, il ministro della cultura Alberto Bonisoli e un provato Giovanni Tria. Oggetto, suo malgrado, delle originali esternazioni dei banchieri e del gran mondo della finanza, che si augura all’unisono un “compromesso con Bruxelles”. Si aggira un po’ spaesato il presidente della Rai Marcello Foa, ma c’è anche l’amministratore delegato Fabrizio Salini. In scena ci sono i barbari dell’Attila di Verdi, la metafora leghista è così facile che ammiccano perfin quelli che al massimo arrivano al flagello di Dio di Abbatantuono (e non sono pochi).
Chissà se hanno capito quando Attila, nel primo atto, severo declama ai Romani: “Dove l’eroe più valido è traditor, spergiuro, ivi perduto è il popolo e l’aere stesso impuro”. Si parla del Risorgimento, l’atmosfera è più quella della Resistenza. Entra il presidente Sergio Mattarella, il teatro lo acclama con quattro minuti di applausi commossi. Il culmine del patriottismo si tocca con l’Inno di Mameli: tutti a cantare con la mano sul cuore, la democrazia va salvata, prima di partire per il weekend in Engadina. Nell’intervallo Emma Marcegaglia commenta (seriamente): “C’è tanta voglia di istituzioni”.
Todo cambia: se ne accorgono i coniugi Passera, un tempo calamite dei flash, ora costretti a far la fila per entrare, come pure Mario Monti e Pier Carlo Padoan, che passano più o meno inosservati. Durante l’intervallo, nel salottino dietro al palco reale il presidente Mattarella conversa con la senatrice a vita Liliana Segre, che gli ricorda la promessa di venire in visita al museo della Shoah a Milano. Il padrone di casa, il sindaco Giuseppe Sala, spiega al capo dello Stato che nella mattinata ha assegnato gli Ambrogini d’oro, con l’applauso più lungo tributato proprio a Liliana Segre, che non rinuncia alla battuta: “Vogliamo fare il confronto con quello lunghissimo a lei, presidente?”. E comunque alla fine, con un’ovazione di 14 minuti, vincono Giuseppe Verdi, il maestro Riccardo Chailly e il regista Davide Livermore.
Fuori inizia a piovere. I centri sociali organizzano il consueto presidio di testimonianza antagonista. Il Cantiere porta in piazza con coerenza filologica una ruspa di latta e cartone e fa volare uova e ortaggi contro la polizia. Dagli studi televisivi Salvini non rinuncia a una rima con cretini: “Mi hanno segnalato che alla prima della Scala ci sono i soliti cretini dei centri sociali che hanno buttato uova e ortaggi contro le poliziotte e i poliziotti, dovrebbero sciacquarsi la bocca, quei ragazzi rischiano la vita per 1200 euro al mese, spero passino del tempo in galera. Se le facessero al tegamino, le uova”.
8 dicembre 2017