L’inestricabile intreccio petrolifero nato da un piano di salvataggio del Fondo monetario internazionale
Global Witness ha recentemente pubblicato il dossier “Bailouts and bad business in Brazzaville: ENI, Total and former IMF official in partnerships with protagonist in corruption scandal” al quale i giornali italiani non hanno dedicato molta attenzione. Eppure, quel documento rivela molto del nostro neocolonialismo petrolifero e di cosa intendiamo per l’”aiutiamoli a casa loro.
Global Witnes spiega che «Secondo la nostra ultima inchiesta, due grandi compagnie petrolifere europee e un ex rappresentante dell’Fmi (Fondo monetario internazionale, ndr) hanno intrattenuto delle relazioni di affari con un intermediario che è al centro di un’inchiesta portoghese per corruzione». Si tratta di José Veiga, soprannominato “feiticeiro português – magicien portugais” lo stregone portoghese) dell’eterno presidente della Repubblica del Congo (Brazzaville) Denis Sassou Nguesso, che aveva una grossa partecipazione in una compagnia petrolifera collegata alla nostra multinazionale petrolifera “di Stato” Eni e al gigante petrolifero francese Total, un affare di cui fa parte anche , Yaya Moussa, l’ex rappresentante dell’Fmi in Congo.
Il problema è che, come spiega l’inchiesta di Global Witnes, «Nel 2010 l’Fmi ha accordato al Congo un alleggerimento del debito di circa 2 miliardi di dollari. Moussa, il rappresentante residente che ha partecipato alla negoziazione del piano di salvataggio, ha lasciato il suo posto poco tempo prima che i fondi di salvataggio venissero accordati e ha creato, lo stesso anno, una compagnia petrolifera basata nel Delaware e denominata Kontinent. Da allora, Moussa ha ottenuto delle quote di licenze di sfruttamento di campi offshore ricchi di petrolio, detenuti dalla società Kontinent Congo, della quale è comproprietario con Veiga. Dal 2015, Veiga deteneva il 49% di Kontinent Congo». La notizia di questo intreccio proprietario è esplosa in Congo proprio quando l’Fmi sta pensando a un secondo salvataggio in 8 anni per il regime petrolifero congolese e mentre le casse pubbliche sono state svuotate da quella che il dossier chiama «una combinazione di fattori tossici quali il calo dei prezzi del petrolio e il fatto che la famiglia del presidente è sospettata di corruzione, lavaggio di denaro sporco e appropriazione indebita».
Come se non bastasse, Veiga, ex direttore del Benfica, all’inizio del 2016 è stato arrestato in Portogallo nel quadro di un’inchiesta su riciclo di denaro, frode fiscale, traffico di influenze e corruzione internazionale in Congo. Secondo gli inquirenti, «Veiga avrebbe ricevuto importanti versamenti da parte di società che cercavano di investire in Congo, che avrebbe in seguito condiviso con dei membri delle autorità congolesi sulla base di una struttura offshore complessa e opaca». Veiga è stato 3 mesi in galera e 2 mesi agli arresti domiciliari, ma attualmente è in libertà, anche se l’inchiesta è ancora in corso.
Ma cosa c’entrano Eni e Total con tutto questo? Per Global Witness molto: «Total ed Eni detengono entrambe delle licenze di sfruttamento di campi petroliferi una parte delle quali è stata concessa a Kontinent Congo a metà aprile 2015 nel quadro di un processo di rinnovamento. Queste licenze dovevano essere ratificate dal parlamento congolese dopo il rinnovo e l’aggiunta di Kontinent Congo come partner. Però le due società hanno rinunciato alle licenze in questione a fine 2016, prima dell’approvazione parlamentare e 10 mesi dopo l’arresto di Veiga. La volonté apparente de Total e di Eni de fare affari con Vega getta un considerevole dubbio sulla qualità dei loro processi di verifica preliminare e sulle loro strategie di riduzione dei rischi. Avrebbero già dovuto essere informate delle informazioni negative comparse sulla stampa a questo riguardo: dal 2014, i media portoghesi hanno segnalato i legami sospetti di Veiga con la famiglia del presidente congolese».
Global Witness dice che Total ha ammesso che «La situazione di Veiga e Moussa, proprietari di Kontinent Congo, era stata identificata dalla società come suscettibile di sollevare eventuali problemi di conformità» e la multinazionale francese ha dichiarato di aver messo in atto «dei dispositivi miranti ad attenuare il rischio che qualsiasi persona in relazione con dei funzionari pubblici sia in grado di influenzare indebitamente le operazioni realizzate nel quadro della Convention d’exploitation conjointe». Global Witness fa notare che «Total era quindi cosciente dei potenziali rischi legati a un accordo di partenariato con Veiga e Moussa, ma ha tuttavia ritenuto che non ponesse un problema».
La multinazionale petrolifera francese ha anche sottolineato che esercita le sue attività in Congo in virtù di un Deferred Prosecution Agreement concluso con il Dipartinento della giustizia Usa (Doj) durante questo periodo e ha ammesso che il Doj aveva espresso le sue preoccupazioni riguardo all’offerta di partecipazione fatta da alcuni partner locali che Global Witness individua anche in Kontinent Congo e nei suoi proprietari dell’epoca. Mariana Abreu, responsabile campagne dell’ONG, aggiunge: «E’ chiaro che non è solo Global Witness a preoccuparsi per i sospetti che pesano su Veiga e Moussa; anche Total, proposta come partner in quest’affare, ha identificato dei problemi riguardanti questi due uomini. Il fatto che anche il Dipartimento della giustizia Usa abbia espresso delle preoccupazioni, dimostra fino a che punto Kontinent Congo si presenti come un partner a rischio, ma sembrerebbe che Total ed Eni siano entrambe disposte a concludere un accordo con la compagnia nel 2015. La direzione di queste grandi compagnie petrolifere dovrebbe esaminare minuziosamente p il processo decisionale concernente queste licenze».
Total ed Eni avrebbero potuto rinunciare ad alcune licenze detenute con Kontinent, ma Global Witness fa notare che Eni è ancora proprietaria del campo petrolifero Loango II del quale Kontinent ha il 5% delle quote. L’Ong ricorda che «Eni è attualmente sotto processo in uno dei più grossi casi di corruzione della storia per un distinto accordo petrolifero in Nigeria e ad aprile di quest’anno i suoi uffici sono stati perquisiti nel quadro di un’inchiesta sulle sue attività in Congo.. Contrariamente a Total, Eni ha dichiarato nel suo 2017 AGM (Annual general meeting, ndr) che «Ulteriori controlli sulla Kontinent nel 2015 hanno individuato il sospetto che Yaya Moussa e un cittadino portoghese, un altro azionista di minoranza nella Kontinent Congo, potrebbero in qualche modo rappresentare gli interessi della famiglia presidenziale» ma a seguito di ulteriori indagini «queste affermazioni sono risultate infondate e non è stata trovata alcuna prova credibile a sostegno di queste».
La Abreu non è per nulla convinta: «Questo è semplicemente l’ultimo esempio dei rischi considerevoli che Eni ha sempre preso nei suoi affari. La compagnia è già costretta a giustificare la regolarità delle sue attività in Nigeria ed ecco che adesso quelle che conduce in Congo sollevano seri interrogativi. Cominciamo a veder profilarsi uno schema tipo di partnership concluse tra Eni e degli individui legati al mondo politico che si ritrovano poi presi di mira da un’inchiesta per corruzione. E’ arrivato il tempo che la direzione dell’Eni sia ritenuta responsabile per le transazioni problematiche che ha negoziato e per i rischi che sembra aver ignorato lungo la strada».
Yaya Moussa, fondatore e proprietario della Kontinent, dovovrebbe rispondere a qualche domanda sui suoi affari con Veiga, visto che entrambi non sono solo legati attraverso Kontinent Congo ma siedono anche insieme nel Consiglio di amministrazione della Banque africaine pour l’Industrie et le Commerce che ha sede nel Bénin e nella quale Moussa detiene delle azioni come remunerazione per l’incarico che ricopre. Secondo i media africani, in realtà Veiga agiva al’interno della Banca come rappresentante della famiglia del presidente congolese.Moussa ha detto a Global Witness di aver lasciato il suo incarico nella Banca nel 2017, ma l’ONG fa notare che «In qualità di rappresentante residente dell’Fmi a Brazzaville, capitale del Congo, Moussa aha svolto un ruolo importante nel team che ha supervisionato il salvataggio del paese s da parte dell’Fmi«. E lo stesso Moussa ha riconosciuto che «E’ stato un lavoro difficile ma… ho dovuto accettare e cercare di portare il mio contributo».
La cancellazione di 1,9 miliardi di debito del Congo è stato accordato in base a diverse condizioni: in particolare al governo di Brazzaville è stato chiesto di rispettare le disposizioni sulla trasparenza e la buona governance e Moussa sottolinea che «Si tratta davvero di un grande risultato», peccato che il regime di Sassou Nguesso – passato dal marxismo-leninismo all’iper-capitalismo cleptomane – abbia continuato come prima e più di prima ad essere sommerso dagli scandali, dalle dissimulazioni dei debiti e da una gestione calamitosa, tanto che ora il regime chiede un altro salvataggio all’Fmi.
Evidentemente Moussa si era trovato molto bene in questo ambiente vischioso e corrotto, visto che nell’estate 2009, proprio prima che venisse concesso il salvataggio al Congo, si era dimesso dal suo comodo e ambito posto all’Fmi dicendo che voleva «fare ancora più cose per l’Africa» e cosa c’era di meglio da fare per l’Africa che creare la compagnia petrolifera Kontinent nel Delaware solo tre mesi dopo la conferma del salvataggio del Congo al quale aveva partecipato. Bisogna dire che Moussa è stato paziente: la Kontinent ha ottenuto licenze petrolifere in Con go solo nel 2015. Una prudenza costruita durante il suo mandato all’Fmi Brazzaville che è servita a Moussa a intessere relazioni cordiali con il governo congolese. Secondo il rapporto “Philia’s refined ventures in Brazzaville – How Swiss traders misappropriate Congolese oil rents” dell’ONG svizzera Public Eye, Moussa durante questo periodo ha probabilmente conosciuto Denis Christel Sassou Nguesso, figlio del presidente congolese, anche se dice di averlo incontrato solo nel 2011. Ma Global Witness è convinta che all’epoca i due si conoscessero già bene: Moussa nel 2011 aveva “facilitatato” l’organizzazione di una tournée promozionale negli Usa della fondazione Perspectives d’Avenir di Sassou Nguesso, In una lettera inviata dagli avvocati di Moussa a Global Witness, l’ex uomo dell’Fmi in Congo conferma di aver assistito ad almeno una delle presentazioni di Perspectives d’Avenir negli Usa, ma precisa di non essere stato pagato per assistere e di non aver pagato nessuno per organizzare l’evento o assistervi. Poi, abbastanza incredibilmente, afferma che non c’è mai stato conflitto di interessi tra la sua attività per l’Fmi e le sue altre attività in Congo.
Contrariamente alle affermazioni di Moussa sui suoi successi come rappresentante dell’Fmi e alle prove disponibili che dimostrano il suo ruolo centrale nel quadro del team che ha supervisionato il processo di salvataggio, i suoi avvocati hanno dichiarato che «Lasciare intendere che il Dottor Moussa, in quanto rappresentante unico dell’Fmi, abbia facilitato o sia stato in grado di facilitare l’accesso di un Paese a un piano di annullamento del debito è un argomento assurdo» e aggiungono che «Un’équipe di diversi membri era stata coinvolta in questa decisione».
Global Witness ribatte che «non ha potuto trovare nessuna informazione pubblica sulla maniera in cui Kontinent Congo ha ottenuto la sua partecipazione nella concessione di licenze di sfruttamento petrolifero, il che va contro le raccomandazioni dell’Fmi sulla trasparenza nel settore delle risorse naturali fornite durante il periodo di preparazione del salvataggio. Ironicamente, uno dei membri del team dell’Fmi che aveva partecipato alla redazione di queste raccomandazioni non era altri che Yaya Moussa.
Secondo quanto ha risposto Total a diversi giornali, Kontinent Congo avrebbe ottenuto una quota nelle licenze petrolifere grazie a «Regole in materia di contenuto locale», cioè l’articolo 143 del Code congolais des hydrocarbures che prevede che nei grandi cantieri petroliferi le compagnie straniere devono associarsi con compagnie congolesi. Una norma che ha l’obiettivo dichiarato di rafforzare le capacità e le competenze locali e di «ricorrere ai beni e servizi prodotti nel Paese al fine di arricchire l’economia del Congo». Anche se così fosse (ma molte di queste partnership sono escamotage per nascondere finanziamenti illeciti), ci sono diversi problemi: «Kontinent LLC è stata costituita nel Delaware, mentre Yaya Moussa è originario del Camerun e José Veiga del Portugal – fa notare puntigliosamente Global Witness – Certo, la compagnia beneficiaria della licenza è Kontinent Congo, una società congolese ma che non è ancora considerata come “una società nazionale privata” ai sensi della legge congolese; secondo il Code pétrolier, una partnership locale deve essere registrata in Congo ed essere detenuta per più del 50% da un congolese. Quindi, sembra che Kontinent né la lettera né lo spirito di questa disposizione di legge destinata a promuovere lo sviluppo dell’economia locale».
Rispondendo a Global Witness, gli avvocati di Moussa hanno detto che quando la Kontinet ha ottenuto le licenze la legge non era ancora in vigore, ma l’ONG ribatte: «E’ vero che il progetto di legge, a quello stadio, non era stato ancora ratificato ma, secondo Total, Kontinent era già stata designata come partner locale dal governo congolese “conformemente a questa nuova politica”», Al che gli avvocati di Moussa hanno aggiunto che «Kontinent era eligibile in virtù delle regfole in materia di contenuto locale perché Veiga beneficia della cittadinanza congolese». Ma Global Witnes sottolinea che «Anche se questo è vero, non è ancora conforme al criterio fissato dalla legge, dato che all’epoca Veiga possedeva meno della metà della compagnia».
La Abreu evidenzia il pasticcio in cui si è infilata l’Eni: «Kontinent Congo non sembra essere il genere di impresa che le regole in materia di contenutto locale sono destinate a promuovere. Questo solleva delle serie questioni per quanto riguarda la misura in cui la concessione di licenze di sfruttamento petrolifero a Kontinent Congo costituisce un trattamento preferenziale per la società di Veiga e Moussa, pliuttosto che un vero tentativo di promuovere gli interessi commerciali locali».
Rispondendo a Global Witness, Eni a rivelato che dal 2015 Veiga e Moussa erano i soli azionisti di Kontinent Congo e ha aggiunto che non ritiene di dover dare altre risposte alle domando poste dall’ONG perché «E’ stata condotta un’indagine dal procuratore di Milano per quanto riguarda alcune attività della società in Congo».
Global Witness ha tentato di parlare con José Veiga attraverso i suoi avvocati, ma non ha ottenuto risposta.
Il dossier di Global Witness conclude: «E’ difficile sapere se l’Fmi accorderà al Congo una nuova riduzione del debito. Comunque sia, l’affaire che coinvolge Veiga, Moussa, Total et Eni evidenzia fino a che punto è importante che l’Fmi imponga dei criteri stringenti legati alle misure di trasparenza in ogni piano di salvataggio. Le compagnie che investono in Congo e in tutto il mondo devono rispettare le migliori pratiche in materia di verifica preliminare e di governance. Perché in futuro il Congo eviti di aver bisogno di un altro salvataggio, è anche essenziale che il governo del Paese applichi le norme più stringenti in materia di risorse e di entrate pubbliche».
31 dicembre 2018