Sezioni comuniste Gramsci-Berlinguer
per la ricostruzione del P.C.I.
Quarant’anni fa veniva assassinato il comunista Guido Rossa e molta retorica è stata scritta e detta dai media, dalle forze politiche e di governo della seconda/terza Repubblica, quella sorta dalla Trattativa Stato-mafia, che Guido Rossa avrebbe combattuto per salvare la prima, quella nata dalla Resistenza al nazifascismo che ci ha dato la Costituzione più avanzata del mondo occidentale, che lottando per realizzarne il programma ci ha permesso di avere per molti decenni i Consigli di Fabbrica, lo Statuto dei Lavoratori, l’Equo canone, la Sanità pubblica e gratuita, il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, gli asili gratuiti, il sindacato di Polizia, il movimento dei proletari in divisa, la chiusura delle centrali nucleari, la riforma del diritto di famiglia e il divorzio, la legge 194 per la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza, il punto unico di contingenza che consentiva la rivalutazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.
Guido Rossa aveva capito chi manovrava le brigate atlantiche, usate contro la nostra democrazia, contro quelle conquiste e contro i compagni del nostro Partito Comunista Italiano, per questo le combatteva, perché aveva capito che erano la lunga mano dell’imperialismo Usa/Nato; come oggi i giovani siriani combattono l’Isis e il terrorismo imperialista Usa/Nato in ogni sua forma.
L’articolo di Giorgio Meletti, che riportiamo, mi sembra colga bene le ragioni etiche che uniscono due persone, politicamente diverse, come Guido Rossa e Giorgio Ambrosoli, ma accomunate nella comune tragedia perché portatori di quei valori di civiltà e di democrazia che non arretra davanti alle responsabilità e alla difesa dell’interesse generale. Sono quei valori, che hanno mosso i padri costituenti portandoli a togliere la pena di morte dal nostro ordinamento giuridico.
Pena di morte che i nemici, interni ed esterni, della nostra democrazia antifascista e della Carta costituzionale hanno sempre usato contro le masse popolari: da Portella della Ginestra a Piazza Fontana, all’assassinio di Aldo Moro, sino alle stragi di Falcone e Borsellino.
Il modo migliore di ricordare Guido Rossa è quello di riprendere la battaglia contro le ingerenze passate e presenti dell’imperialismo Usa/Nato nel nostro paese che utilizza il terrorismo, le mafie, come governi e politici asserviti. Portare questa lotta in tutta Europa, liberandola dal giogo Usa/Nato, unificandola sotto la bandiera rossa del lavoro.
Lo staff di iskrae.eu
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Guido Rossa, un “eroe borghese” come Ambrosoli
GIORGIO MELETTI
Il quarantesimo anniversario dell’assassinio di Guido Rossa, ucciso dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979, è stato accompagnato da un profluvio di retorica che, anche non volendo, annulla il significato della storia. Come se una morte infame fosse il suo unico merito. Bisogna allora ricordare l’esempio che Guido Rossa ha dato da vivo
La sua vicenda viene così tramandata: operaio e delegato Fiom-Cgil all’Italsider di Genova, il 24 ottobre 1978 denuncia il compagno di lavoro Francesco Berardi per aver diffuso in fabbrica volantini delle Brigate Rosse. Esattamente tre mesi dopo, un commando della colonna genovese delle Br lo aspetta sotto casa e gli fa pagare la “delazione”. Manca un dettaglio. Non è Rossa ma il Consiglio di fabbrica a voler denunciare Berardi. Vanno tutti insieme dai Carabinieri e alla battitura del verbale assiste “un numeroso gruppetto di operai e delegati”, come ricostruisce Giancarlo Feliziani in Colpirne uno educarne cento, primo e migliore libro su Rossa. Quando il comandante spiega che una denuncia penale non si può firmare “Il Consiglio di fabbrica” ma servono nomi e cognomi, “partono i primi ripensamenti. La stazione dei Carabinieri, come per incanto, a poco a poco si svuota”. Rossa resta solo e da solo firma la denuncia. I brigatisti sanno subito chi è “l’infame”, aiutati anche dai giornali che allegramente stampano il suo nome. La sua sorte è segnata. Alla moglie che gli chiede perché l’ha fatto risponde: “Ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Quando le cose si devono fare, si fanno”.
SEI MESI DOPO, il 12 luglio 1979, viene ucciso a Milano Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona, mandante dell’esecuzione. Lascia alla moglie una lettera scritta quando capisce che finirà male: “Pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto”. Umberto Ambrosoli, che nel ‘79 aveva sette anni, dedica al padre parole che valgono anche per Rossa: “Sarebbero stati sufficienti anche solo silenzi, qualche piccola omissione, il non prendere posizione; avrebbe avuto salva la vita e con altissima probabilità sarebbe iniziata una brillante carriera nel mondo bancario”. Invece gli tocca solo il titolo di “eroe borghese” conferito dall’indimenticabile biografia di Corrado Stajano.
Guido Rossa, operaio comunista di 44 anni, lasciato solo dal governo Andreotti, ucciso dentro la sua Fiat 850 perché, quando le cose si devono fare, si fanno. Giorgio Ambrosoli, avvocato monarchico di 45 anni, lasciato solo dal governo Andreotti, ucciso dentro la sua Alfetta perché “lo sapevo e non mi lamento”. Sono la stessa cosa, due eroi borghesi. Diverse classe sociale e idee politiche, li unisce un identico imperativo etico. Giulio Andreotti disse luciferino che “Ambrosoli se l’andava cercando”, e avrebbe potuto dire la stessa cosa di Rossa. Una confessione: per lui fare il proprio dovere e andarsela a cercare erano la stessa cosa, e con questa ripugnante equivalenza ha corrotto la classe dirigente italiana.
IL PRINCIPIO ETICO di Rossa e Ambrosoli è stato sradicato dalla mafia, dalle Brigate Rosse e dall’andreottismo. Colpendone due ne hanno educati centomila, e i più giovani non lo sanno, cresciuti dall’esempio di padri attenti solo a non cercarsela. Ad anteporre al proprio dovere l’obbedienza al potente. A non svolgere mai l’incarico ottenuto perché si occupano solo di non perderlo e soprattutto di usarlo come trampolino per nuove ambizioni. Una classe dirigente fiera di insegnare ai giovani che chi parla di etica è un invasato. O, come dissero di Rossa le Br, facendo propria la truce cultura di Andreotti, “un mentecatto”.
27 Gennaio 2019