Il magistrato intervistato oggi dal quotidiano La Repubblica
di Giorgio Bongiovanni
In un’intervista rilasciata al giornalista di “La Repubblica”, Salvo Palazzolo, il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, partendo dalla vicenda che sta rimbalzando su tutti i giornali e che riguarda l’indagine aperta nei confronti del sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Armando Siri, e dell’imprenditore Paolo Arata, ritenuto a sua volta socio occulto del “re dell’eolico” Vito Nicastri, vicino al boss trapanese Matteo Messina Denaro, è tornato a parlare del rapporto mafia-politica che ancora oggi non sembra essere stato reciso nei suoi più alti vertici. Un’analisi chiara, senza entrare nel merito delle indagini, che sono in corso, in cui si rappresenta l’urgenza di un cambiamento di direzione forte da parte della politica. “Da sempre – ha ricordato il magistrato – il potere mafioso ha una grande capacità di cogliere i segnali che arrivano dalla politica e dalle istituzioni. In questi giorni, sta registrando sensibilità diverse nelle due forze di governo, i Cinque Stelle e la Lega. I primi chiedono le dimissioni del sottosegretario indagato per corruzione in una più ampia vicenda che porta a Trapani, gli altri lo difendono”. “I mafiosi – ha sottolineato – capiscono subito su chi poter fare affidamento. La difesa a oltranza di un indagato per contestazioni di un certo peso potrebbe essere, in questo come in altri casi, un segnale che i poteri criminali apprezzano”. Di Matteo ha anche evidenziato come “il reato per cui il sottosegretario è stato già condannato, quello di bancarotta, è oggettivamente rilevante. Mi chiedo come sia stato possibile che tale dato non sia stato preso in considerazione al momento della nomina. La politica dovrebbe avere un atteggiamento rigoroso al momento della formazione delle liste e degli uffici pubblici. Invece, troppo spesso non è così”.
Del resto Di Matteo si è già occupato, assieme ai pm Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e prima ancora con l’ex pm Antonio Ingroia, del processo sulla trattativa Stato-mafia, che ha portato a pesantissime condanne, in primo grado (il processo d’appello inizierà il 29 aprile), sia per gli imputati mafiosi che per quelli politici ed istituzionali, accusati di attentato a corpo politico dello Stato. Un processo importante che ha confermato l’esistenza di relazioni altissime tra le organizzazioni criminali ed i più alti vertici del potere. Purtroppo però le sentenze, neanche quelle definitive, non vengono mai ricordate né dall’opinione pubblica né dalla stessa politica.
Guardando al vertice della Lega il magistrato ha evidenziato come “alle ultime elezioni si è presentato alleato con chi ha continuato a pagare la mafia, ovvero Silvio Berlusconi, come dice l’ampia motivazione della sentenza per la trattativa Stato-mafia che un anno fa ha condannato rappresentanti delle istituzioni e capimafia. Era Dell’Utri a fare da mediatore fra gli esponenti di vertice dell’organizzazione e Berlusconi, in ossequio a un patto di protezione. E i pagamenti sarebbero avvenuti anche nel periodo in cui Berlusconi ricoprì per la prima volta la carica di presidente del consiglio, nel 1994. Ma, evidentemente, la sentenza non ha impedito a Berlusconi di continuare ad essere protagonista della scena politica, anche con l’alleanza di una forza attualmente al governo”.
Un tema, questo, che viene abbondantemente approfondito nel libro “Il Patto Sporco” (edito da Chiarelettere) scritto assieme al giornalista e scrittore Saverio Lodato evidenziando come, probabilmente, certe stragi siano state volute, o addirittura ne hanno visto la partecipazione, dai più alti vertici del potere e dello Stato.
Altri temi toccati nell’intervista al quotidiano Di Matteo ha anche parlato della stretta correlazione tra mafia e corruzione, delle complicità eccellenti attorno al latitante trapanese Matteo Messina Denaro (“È a conoscenza di segreti che evidentemente una parte ancora esistente del potere non vuole che vengano fuori. E dalle indagini continua ad emergere una rete di protezione trasversale del latitante che purtroppo sembra riguardare uomini delle istituzioni, massoni, imprenditori e politici”) ed ha anche rappresentato come alcune riforme stiano andando nella direzione giusta. “La cosiddetta ‘spazzacorrotti’ – ha sottolineato – al di là delle singole norme, ha messo fine alla sostanziale impunità che ha caratterizzato il nostro Paese su alcuni reati. Poi la modifica del reato di voto di scambio politico-mafioso”. Nonostante questi piccoli passi è evidente che manchi ancora una svolta politica.
Un altro aspetto che non si può non notare è che tali considerazioni non siano lo sviluppo di interessi politici o di propositi di candidatura (le liste per le europee sono chiuse) ma provengono da un magistrato, e prima ancora da un cittadino, che da anni si occupa di certi argomenti. “Non si possono aspettare le sentenze della magistratura, bisogna avere la capacità di intervenire prima, recidendo qualsiasi legame – ha detto Di Matteo in maniera netta – Invece, in campagna elettorale, tutte le forze politiche hanno taciuto sul tema della mafia e dei rapporti col potere. La lotta all’intreccio fra mafia e corruzione dovrebbe essere ai primi posti nell’agenda di qualsiasi istituzione anche governativa”. Un obiettivo che politicanti e governanti dovrebbero avere bene in mente.
21 Aprile 2019
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