di Gianni Barbacetto
È piaciuto molto, Michele Serra, che ha suonato la carica, ha lanciato la giornata dell’orgoglio dei sapienti. “È l’ora di rivendicare i libri letti come calli sulle mani, smettendola di farsi carico del complesso d’inferiorità degli ignoranti come se l’ignoranza fosse un problema di chi ha letto, non un problema di chi non ha letto”. Come una madamina pro Tav, è sceso dall’amaca per mostrare in piazza le sue penne. Di pavone e d’oca, capaci di scrivere cose intelligenti e di chiamare, al punto giusto, l’applauso. Come non essere d’accordo? L’ignoranza non può essere rivendicata come un merito, di contro a sapienza e competenza indicate come male. Eppure c’è qualcosa che stona, nelle parole scivolate dall’amaca, qualcosa che trasforma il (giusto) orgoglio della lettura in orgoglio di classe, in disprezzo per i poveri ignoranti che non hanno né libri, né due alberi in giardino a cui appendere un’amaca da cui leggerli. Non è ancora la carica suonata ai ben istruiti fan di Bolsonaro contro gli analfabeti orfani del lulismo, no: quella è destra. Ma fastidio, sì, per quelli che sono rimasti bloccati ai piani bassi e urlano e strepitano e picchiano sulle porte irrimediabilmente chiuse dell’ascensore (sociale) e rompono la bottoniera e gridano parole irripetibili chiamando l’ascensore che qualcuno ha bloccato non chiudendo le portine ai piani alti e soleggiati. Chissà se, tra i libri letti da rivendicare orgogliosamente, Serra ha anche quelli di Michel Foucault, che analizza i rapporti tra sapere e potere e spiega come il sapere sia (anche) mezzo per sorvegliare e punire, generatore di procedure di selezione e di interdizione, nella macrofisica (quella di chi si occupava Marx) ma soprattutto nella microfisica dei rapporti che alla classe sovrappongono il desiderio. Chissà se Serra ha nella sua biblioteca i libri di don Milani, se ricorda il suo “Pierino del dottore”, il figlio del laureato che arriva alle elementari sapendo già leggere, mentre i figli del popolo non hanno un libro in casa. “Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone”, scriveva il prete di Barbiana. Archeologia.
Oggi siamo noi, figli degli operai e del Sessantotto, a essere diventati dottori, ad aver imparato 10 mila parole. Ma ora non sappiamo più capire che cosa sta succedendo giù, ai piani bassi, ci disturba il baccano che fanno quelli sotto, abbiamo orrore di loro, così ignoranti, così diversi dagli operai raccontati da Carlo Emilio Gadda che frequentavano l’Umanitaria e i corsi serali, leggevano ancora i giornali e diffondevano, la domenica, l’Unità. Non ci sono più, non ci sono più i Martin Eden di una volta. Quelli di adesso, purtroppo, non leggono e non studiano, conoscono meno di 100 parole, ma – imperdonabile – non vogliono stare zitti. Vogliono essere presi sul serio. Urlano cose scomposte. Intanto noi teniamo le portine dell’ascensore aperte, quassù sui nostri terrazzi dove fioriscono le camelie, perché non salgano a dircele in faccia. Già siamo così infastiditi dalle stupidaggini dei webeti e dalla violenza e dall’odio della lotta di classe ai tempi dei social. Ci piaceva quella di Marx-Lenin-Mao Tse-tung. A qualcuno piaceva perfino quella di Battisti (non Lucio). Ma la lotta di classe di oggi non ci piace. Che studino, questi cafoni. Non hanno il pane della sapienza? Che mangino allora i nostri libri-brioches. Quelli in cui, per non rinunciare ai nostri privilegi di classe, abbiamo sostituito i diritti civili (che sono gratis) ai diritti sociali. Si sdrai di nuovo sull’amaca, Serra, e ascolti almeno Gad Lerner, che qualche libro l’ha letto e anche scritto: “La mia biografia è compromessa. Sono un borghese benestante, un radical chic, l’amico di Carlo De Benedetti. Per questo la nuova classe dirigente del centrosinistra non partirà certo da quelli come me”.
25 Aprile 2019