di Saverio Lodato
In politica le parole andrebbero usate con parsimonia, senza eccessi oratori che, se al momento garantiscono facili scorciatoie, un attimo dopo si rivelano chiavistelli controproducenti dei quali si smarrisce facilmente la chiave. E se ne può restare prigionieri.
Si fa un gran parlare di fascismo e antifascismo nell’Italia di oggi.
C’è chi ne paventa il ritorno, anche se sotto altre forme, e ritiene giunto il momento di una salvifica mobilitazione popolare che sbarri la strada. C’è chi lo auspica, facendo le umane e le divine cose per accelerare questo parto “horribilis”.
Poi, in mezzo, ci stanno tutte le sfumature possibili: gli scettici, i dubbiosi, i negazionisti, quelli che vanno a compulsare archivi pubblici e private biblioteche, per confermare o capovolgere del tutto la narrazione che fu. Di ciò che accadde tre quarti di secolo fa.
Ed ecco la cascata del ripensamento, se così possiamo chiamarla.
Furono eroi o briganti di strada i gappisti che fecero brillare le mine in via Rasella? Furono carnefici o militari, ligi agli ordini, i tedeschi che scatenarono la rappresaglia delle Ardeatine?
Furono davvero i partigiani a liberare l’Italia? O non furono piuttosto le truppe alleate che si fecero largo con lo sbarco in Normandia unendosi a quelle che si erano fatte largo con lo sbarco in Sicilia? E il 25 aprile fu Liberazione di popolo o di elite?
In altre parole, il 25 aprile è diventato come il “tiro alla fune”, dove si tira di qua e di là, nella speranza che una delle due squadre, una volta per tutte, sfinisca l’avversario per stanchezza.
Se questo sport, quello del ripensamento, fosse praticato in tutta Europa, il discorso si farebbe più serio, e più temibile. E ci sarebbe davvero da correre ai ripari.
Ma non ci risulta che ciò accada.
Gli spagnoli ci sembrano felicissimi di essersi liberati di Franco, i portoghesi di Salazar, i francesi di Petain, né i tedeschi hanno mai rimpianto, 75 anni dopo, le porcate che fecero allora.
Il che, badiamo bene, non esclude che in tutti i paesi testé citati non si stiano manifestando fenomeni che mettono paura, che danno voci a pulsioni che si ritenevano per sempre sopite. Ma nessuno si sogna – è questo che fa la differenza – di rimettere mano al passato, con l’intento dichiarato di voler capovolgere il tavolo.
Concludendo. Tutti coloro i quali, da un po’ di tempo a questa parte, accusano Matteo Salvini di essere la reincarnazione moderna di Benito Mussolini, fanno in politica, come dicevamo all’inizio, un uso improprio delle parole.
Salvini non è un fascista.
È uno che tiene in caldo il fascismo: questa è la differenza.
Che ci gioca elettoralmente, accarezzandolo. E per farlo, può imbracciare il mitra. Può dire: in casa sua al rapinatore spari chi vuole! Può parafrasare Benito, con il suo inchioderemo gli immigrati sul bagnasciuga (Lampedusa pur essendo isola di scogli, ma fa lo stesso). Può indossare la divisa di poliziotto, come abito da sera e come pigiama per la notte. E quando balordi e teppistelli lo prendono sul serio – con striscioni inneggianti a Mussolini o raid contro i cimiteri ebraici, la sostanza è quella – li qualifica tempestivamente come “idioti”. E così casca sempre – almeno crede di cascare -, sempre in piedi. Li tiene in caldo, appunto.
Quanto durerà il giochino? Sino a quando gli italiani riemergeranno dall’abbuffata. Ma ci vorrebbe un’opposizione. Che al momento purtroppo non si vede.
Così che lui, può continuare a indossare la divisa da poliziotto, come pigiama per la notte. Senza che a nessuna autorità salti in mente di intimargli di vestirsi in modo acconcio, visto che al circo anche i pagliacci sono tenuti a indossare abiti di scena.
25 Aprile 2019