Uscivo dal cinema dopo la visione de Il traditore di Marco Bellocchio considerando che, l’unica nota positiva riscontrata per tutta la durata del film, è stata la magistrale interpretazione di Pierfrancesco Favino. Tutto il resto era un insieme di riflessioni pessime sulla pellicola.
Che strano che proprio nel post sentenza trattativa Stato mafia, qualcuno vuole ricordare al Paese lo spietato mondo dell’ala militare di Cosa nostra carezzando il mondo acclarato delle “menti raffinatissime”, pensavo fra me e me. I mafiosi sono quello che sono, sanguinari assassini a volte pentiti per convenienza o per riscatto morale chi può saperlo, comunque uomini senza alcun onore nonostante si illudano di averne.
La fortuna dei disonorati è lo Stato infedele che apre le porte delle istituzioni corrompendosi per voti, soldi e potere, collusione che smantella di fatto le colonne della democrazia e per questo, più traditore di chiunque altro.
Immersa in queste riflessioni, scorro le notizie dell’ultima ora e con amarezza leggo: “Nino Di Matteo estromesso dal pool istituito per indagare sulle entità esterne alle stragi a causa di un’intervista”. Ma come estromesso? Proprio lui che ha portato alla sentenza storica di un anno fa con condanne che raccontano cosa sia stato davvero il periodo delle stragi di Capaci e Via D’Amelio e quella strana pace dopo le bombe?
Ad amarezza si aggiunge amarezza nell’apprendere che la decisione di estrometterlo, sarebbe arrivata da Cafiero De Raho, il super procuratore che ha fatto condannare centinaia di camorristi e che si è distinto per l’ottimo lavoro che ha colpito anche il cuore della ‘ndrangheta.
In molti hanno seguito l’intervista incriminata e a nessuno verrebbe in mente di trarre le conclusioni che avrebbe tratto De Raho secondo cui, Di Matteo avrebbe interrotto il “rapporto di fiducia all’interno del gruppo e con le direzioni distrettuali antimafia”. Per aver detto cose che chiunque può reperire con semplici ricerche in rete?
Una decisione che parrebbe minare dalle fondamenta il lavoro del neonato pool all’interno del quale, Di Matteo si è guadagnato indubbiamente il diritto di farne parte. Un pm consapevole che l’esercizio delle sue funzioni compromette in modo irreversibile la propria sicurezza e ciò nonostante va fino in fondo merita ben altro trattamento e questo può essere marginale; molto meno, il fatto che Di Matteo non è nuovo ad attacchi istituzionali che si sono rivelati infondati.
Il conflitto d’attribuzione sollevato dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il procedimento del CSM da lui voluto per colpire il magistrato siciliano sono stati i più eclatanti.
La massima carica dello Stato che trova tempo e voglia di colpire chi e’ già minacciato di morte dalla mafia e contemporaneamente si attiva per aiutare un imputato di quel pm, Nicola Mancino. Bella rappresentazione, tocca dirlo a Bellocchio per Il traditore parte II.
E oggi l’ennesimo colpo di cui siamo curiosi di conoscere regia. Non credo di essere l’unica sorpresa dalla decisione del super Procuratore De Raho, una mossa che si rivela quantomeno ingenua considerando gli squali che nuotano nel mare della lotta alla mafia e intorno a Di Matteo in particolar modo.
Difatti, registriamo che ad una minaccia di morte e l’altra da vari luoghi d’Italia finanche dal carcere di massima sicurezza di Opera per bocca di Totò Riina, si aggiungono attacchi dalla politica, dai vertici dello Stato, da pseudo intellettuali e da grandi firme del giornalismo italiano secondo cui, il lavoro di Di Matteo e dei suoi colleghi a Palermo, sarebbe stato “un buco nell’acqua”.
Ed eccoli qui gli squali; Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, ha già sparato titoloni indegni che dovrebbero indurre a riflessione Cafiero De Raho. Altre testate, stanno riproponendo ombre sul magistrato riguardo la vicenda Scarantino in cui Di Matteo non ha alcun coinvolgimento. Testate che, mancando di onesta condotta, omettono di dire che si è trattato di un depistaggio messo a punto dallo Stato.
Non è possibile concepire l’istituzione di un pool speciale che faccia luce sulle entità esterne a Cosa nostra coinvolte nelle stragi e poi mandare al patibolo mediatico – di nuovo – e al giudizio del CSM – di nuovo – l’uomo di punta di quel pool. Più che una sanzione sembra una croce da portare per aver contribuito alle condanne eccellenti del processo trattativa. Condanne al primo grado di giudizio certo, ma concepite su ricostruzioni storiche inappuntabili.
Tornando al film di Marco Bellocchio, c’è un altro boss da attenzionare, un collaboratore di giustizia denominato il secondo Buscetta: Francesco Di Carlo, accusato di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio di Roberto Calvi.
Di Carlo, ha dichiarato che alcune stragi di mafia, vennero decise in una villa sul Circeo alla presenza di Riina, ex ministri democristiani e membri della loggia P2, incontri durante i quali, si parlava “dei giudici bravi, quelli che aggiustavano i processi”.
Sempre Di Carlo, dichiara: “partecipai alla pulizia e all’estrazione della cassaforte dalla villa di via Bernini dopo la cattura di Riina e portai in un parcheggio la golf bianca intestata a un giardiniere della provincia di Trapani, non ricordo se Marsala o Mazara. Un’auto che ritirò Matteo Messina Denaro, con tutto quello che era stato trovato nella cassaforte. L’auto non era di valore quindi posso pensare che fossero più importanti i documenti”.
Il pensiero che chi non ha operato la perquisizione all’interno del covo di Riina, sia stato solleticato da considerazioni quali “dimenticanza“, fa rabbrividire e magari sarebbe ora di dirlo al Paese, con condanne definitive e con chiarezza mediatica che quella mancata perquisizione copre accordi fra mafiosi e uomini di Stato e che la trattativa colpita da Di Matteo, Tartaglia, Del Bene e Teresi, è solo uno spaccato in un groviglio di accordi che forse, il pool voluto da De Raho può districare.
Perché questo salvagente a chi da sempre ostacola la verità dei fatti? Qualcosa evidentemente ci sfugge e vorremmo apprendere, nelle prossime ore, di cosa si tratta.
28 Maggio 2019