Sofia Nardacchione
Si apre un nuovo capitolo per Black Monkey, il processo su ‘ndrangheta e gioco d’azzardo celebrato nel Tribunale di Bologna: martedì 2 luglio è iniziato il secondo grado, nella Corte d’Assise d’Appello della città emiliana. Con una grande differenza rispetto al primo grado: Nicola ‘Rocco’ Femia, il boss a capo della ‘ndrina alla sbarra, sta collaborando con la giustizia.
Femia era stato condannato in primo grado a 26 anni e 10 mesi per 416bis, gioco d’azzardo non autorizzato, poker on line non autorizzato, intestazione fittizia di beni, minacce e intimidazioni, pestaggi, estorsioni, corruzione. Ma aveva anche alle spalle altre condanne, tra cui una a 23 anni per narcotraffico internazionale, iniziata a scontare da poco.
Delle 23 persone imputate nel rito ordinario di Black Monkey, altre 10 erano state condannate, a febbraio del 2017, per associazione mafiosa: è stata la prima volta che il Tribunale di Bologna ha comminato questa pena. Tra le condanne per 416 bis anche quelle ai figli di Femia: Guendalina, condannata a 10 anni e 3 mesi, e Rocco Maria Nicola a 15 anni.
L’indagine che ha poi portato al processo era partita dalla denuncia di un ragazzo, Et Toumi Ennaji, che alcuni degli esponenti dell’associazione mafiosa avevan tentato di sequestrare alle porte della provincia bolognese, a Imola. Indagine che si è poi allargata agli altri fatti di rapina ed estorsioni, intestazioni di società, corruzione e – come si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado – “alla vasta e variegata articolazione di reati tutti funzionali a preservare l’operatività dell’associazione per delinquere facente capo al Femia e a garantire impunità, fino addirittura al disegno di eliminare il giornalista Tizian Giovanni, notoriamente impegnato in inchieste sulla mafia, per avere questi pubblicato articoli sulla ‘Gazzetta di Modena’ ove denunciava le attività criminali del Femia e dei suoi”.
L’attività che il giornalista, poi finito sotto scorta per le minacce ricevute a seguito della pubblicazione degli articoli, aveva raccontato è la principale della ‘ndrina: il gioco d’azzardo, definito dal pm Francesco Caleca “il polmone finanziario dell’associazione”.
Quello creato dalla famiglia mafiosa – trasferitasi a Conselice, in provincia di Ravenna, da Marina di Gioiosa Jonica nel 2002 – e dai sodali è stato definito dai giudici un vero e proprio “impero”, che si estendeva anche al di là dei confini nazionale e arrivava fino in Inghilterra e in Romania. Un impero legale e illegale: tutte le imprese di gioco d’azzardo che facevano capo a Femia avevano un “mercato parallelo” di schede contraffatte commercializzate su tutto il territorio nazionale.
Quello di cui si occupava l’associazione mafiosa era un settore ad alto livello tecnologico, che aveva bisogno di esperti e professionisti per funzionare. A confermarlo è la sentenza di primo grado: sono stati condannati per associazione mafiosa o per concorso esterno in associazione mafiosa anche commercialisti, consulenti finanziari, ingegneri informatici. Oltre a una dipendente della Corte di Cassazione e un ispettore della Squadra Mobile di Reggio Calabria.
In un continuo affinamento delle tecniche per creare quel mercato parallelo e illegale di un settore che in Italia è legale, senza lasciare però da parte la violenza: dalle minacce di morte a Giovanni Tizian, ai tentati sequestri, fino alle intimidazioni, le lettere minatorie e le auto bruciate a collaboratori e negozianti che avevano a che fare con i sodali del clan.
I giudici della Corte d’Assise di Bologna dovranno ora procedere sulle posizioni dei 23 imputati ricorsi in Appello. Le posizioni di due di questi – Guido Torello, condannato a 9 anni anche per le minacce a Tizian, e Daniele Chiaradia, ingegnere informatico condannato a 3 anni – sono state stralciate per difetti negli atti di notifica: verranno giudicati quindi in un “Black Monkey 2”.
Il processo principale, intanto, procede veloce: le prossime udienze in programma saranno il 5, il 16 e il 26 luglio.
4 luglio 2019