di Saverio Lodato
Non si finisce mai di imparare quanto siano infiniti i sotterfugi ai quali ricorre il Potere pur di tenere la polvere sotto i tappeti. Martedì, dopo rinvii e dilazioni, questo Csm affronterà la “pratica Di Matteo” (salvo colpi di scena).
Pratica doppiamente pesante: perché non è una piuma tutto quanto evoca il nome Di Matteo, con la sua storia drammatica e altamente simbolica; perché non è una piuma questo Csm, giunto, in alcuni suoi interi settori, a livelli di discredito che sino a qualche mese fa nessuno avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare. Ma il Csm questo è.
E ora, il Csm è chiamato a esprimersi sulla liceità del provvedimento di espulsione del Di Matteo dalla commissione stragi della Procura nazionale antimafia, firmato da Federico Cafiero de Raho. Decisione che si impone dopo il ricorso di Di Matteo, il quale afferma di non aver reso di dominio pubblico nulla di riservato sulle inchieste di Mafia e Stato, contrariamente a quanto sostenuto dal procuratore, a seguito di una trasmissione televisiva cui il Di Matteo ha partecipato.
Il tutto dovrebbe avvenire in gran segreto? E qui sta la pietra d’inciampo.
Che dire?
Continuano a nascondere il tema scabroso dei rapporti fra lo Stato e la Mafia dietro il paravento della segretezza. I cittadini non devono vedere, non devono sapere, non devono partecipare.
Da decenni, ormai, i buoi sono scappati dalla stalla, ma solerti e meticolosi i Guardiani della stalla, ancora oggi, la tengono chiusa come ci fosse ancora qualcosa da tutelare, da preservare, da nascondere. Dentro la stalla, purtroppo, è rimasto ben poco.
E le istituzioni, preposte all’argomento, questo lusso delle Porte Chiuse possono ancora consentirselo?
In questi giorni, sono stati ricordati i 27 anni dalla strage di via d’Amelio.
Caso ha voluto che il tema della trasparenza sia venuto prepotentemente alla ribalta per effetto della decisione della Commissione parlamentare antimafia di desecretare gli atti dal 1963 sino al 2001. Ognuno può valutare come vuole la decisione di Nicola Morra, il presidente.
La famiglia Borsellino, a esempio, ha sparato ad alzo zero. Sia Fiammetta, sia lo stesso Salvatore, lo ritengono un risarcimento tardivo, parziale, propagandistico.
La pensiamo diversamente. A noi la decisione di Morra non dispiace. Da qualche parte bisognerà pur cominciare.
Anche perché, prima, dovremmo avere la pazienza di conoscere il contenuto di 12 mila atti – è la stima che è stata fatta ufficialmente – per tirare un bilancio ponderato. Ma c’è una ragione più di fondo che attiene a questo valore della segretezza troppo spesso volgarmente strumentalizzato.
Più che sparare ad alzo zero contro chi cerca di spalancare gli archivi dei quali possiede le chiavi, forse non sarebbe il caso di sparare ad alzo zero contro chi, mantenendone gelosamente le chiavi, magari vuol continuare a tenere ben sigillati – e all’infinito – altri archivi, altri santuari di Stato, altre santabarbare?
Proviamo a semplificare.
Anche la famiglia Borsellino è certamente curiosa quanto noi di scoprire quanto giace nei sotterranei dei servizi segreti, di ieri e di oggi.
E non sarebbe utile conoscere quelle parti, ancora omissate (cosa riguardano?), e che pare ci siano, della commissione parlamentare Stragi che si occupò – fra l’altro – di Golpe Borghese, organizzazione Gladio? Tutti argomenti ben presenti nelle indagini di Falcone e Borsellino. In questo caso sì, che assisteremmo a una gigantesca operazione trasparenza.
Quanto all’agenda rossa, escludendo, a rigor di logica, che sia stata classificata e messa in archivio da qualche parte, tornerebbero utili uno o più Pentiti di Stato. Ma sin qui, quello che abbiamo sono solo rappresentanti dello Stato colpiti da palese amnesia. O felloni, o inadeguati.
Ma torniamo all’audizione di martedì.
Che vogliamo fare?
Renderla pubblica magari fra un’altra trentina d’anni, in occasione dell’anniversario N. 57 di via d’Amelio (come 57 furono i giorni che, guardacaso, separarono il sacrificio di Falcone da quello di Borsellino)? Cerchiamo di non scadere nel ridicolo. E di mettere da parte, per un solo istante, rancori personali, gelosie di protagonismo, invidie di mestiere (impresa che resta però ardua).
Martedì non saranno sul piatto segreti di Stato da sviscerare e che possono compromettere il futuro di indagini e processi.
E’ all’ordine del giorno una domanda semplice, facile: andando ad Atlantide, da Andrea Purgatori, in occasione di uno speciale della tv La7 sulla strage di Capaci, Di Matteo ha “tradito” la riservatezza delle indagini? Oppure no?
Cosa c’è che l’opinione pubblica non ha il diritto di sapere?
Cosa c’è d’impressionante in questo quesito?
O la segretezza fa gioco a chi non rinuncia, ancora una volta, e dissennatamente dopo tutto quello al quale abbiamo già assistito, a cucinare ancora a fuoco lento Nino Di Matteo e tutto quello che rappresenta agli occhi di milioni di italiani per bene?
E se la discussione dovesse scivolare su altro che deve restare rigorosamente “segreto”, chi impedisce, ma solo a quel punto, di allontanare la stampa?
Scusateci, tutti.
Ma ci siamo rotti di questa schierata di Porte Chiuse.
E anche la famiglia Borsellino, e lo diciamo assai sommessamente, ovviamente non da sola, dovrebbe fare proprio questo appello affinché il confronto de Raho-Di Matteo si svolga a Porte Aperte.
Siamo tutti a volere tutta la verità. Parenti di vittime di mafia, e non. E senza volercene intestare miserevoli meriti.
Ché le corone d’alloro sono finite da tempo.
21 Luglio 2019