Condivisibili le posizioni dell’estensore dell’articolo. Non sono, però, accettabili le scelte di quei giornalisti precari (e non) che di fronte all’attacco sulla libertà di esercitare la professione nei paradigmi della Costituzione optino, invece, di non perdere i soldi del servizio perché, domani, potrebbe capitare a loro… Avrebbero potuto abbandonare la conferenza stampa, in solidarietà al collega bistrattato e umiliato, lasciandone uno solo con il compito di porre domande e poi distribuire l’esito agli altri salvando, così, capre e cavoli.
MOWA
Non vuole pubblicità, non vuole andare in tv, ma esige la risposta alle semplici domande che ha fatto al Ministro dell’Interno. Invano. Così Valerio Lo Muzio sta affrontando i giorni immediatamente seguenti lo scoop su figlio del vicepremier ripreso a Milano Marittima sulla moto d’acqua della Polizia di Stato.
“Il Ministro mi deve quelle risposte poiché le faccio come giornalista, ma le deve non solo a me, le deve a tutti noi”.
Cosa ha chiesto il cronista di Repubblica? Questo: “Chi erano quegli uomini che senza mostrarmi le loro generalità hanno cercato di fermarmi? Perché mi hanno fermato? Sono uomini della sua scorta o poliziotti? È capitato in passato che qualche suo amico o parente sia salito a bordo di un mezzo della Polizia?». Il vicepremier si è rifiutato di rispondere durante la conferenza stampa tenuta presso un lido della città balneare, convocata per fornire un minimo di spiegazioni sul giro in moto (della polizia) del figlio ma eludendo i due quesiti principali, ossia se altri suoi familiari hanno già usufruito dei mezzi adibiti alla pubblica sicurezza e chi erano le persone che hanno bloccato il giornalista chiedendo i documenti di identità, né a quale titolo lo hanno fatto e perché erano con Salvini. Come si evince si tratta di argomenti di sicuro interesse pubblico e che potrebbero integrare violazioni di legge o dell’ordinamento della Polizia di Stato, al punto che sugli aspetti interni di questa storia è stata aperta un’indagine da parte della Questura di Ravenna. Il nodo di fondo che aleggia attorno alla già grave vicenda di far salire il ragazzo sulla moto d’acqua è un altro e riguarda la palese violazione della libertà di espressione e delle libertà civili in genere garantite dalla Costituzione. Valerio Lo Muzio era in un luogo pubblico e stava riprendendo una scena nella sua veste di giornalista, posto che quello che passava nella videocamera era una notizia.
“Mi hanno fermato e mi hanno detto di spegnere la camera, poi mi hanno chiesto un documento e ho consegnato loro la tessera da giornalista, – racconta – sono stato io a precisare che il mio indirizzo attuale è diverso da quello riportato dal tesserino, rilasciato nel 2015; a quel punto mi hanno detto di mostrare un altro documento, la carta d’identità dove c’è l’indirizzo di Bologna. E così mi sono sentito dire: ‘Bolognese eh, ora sappiamo dove abiti’. A che titolo quella frase? E’ una minaccia? Oppure solo una constatazione. Io ovviamente spero la seconda”.
In questo clima da caccia all’appestato si colloca quello che sarebbe accaduto di lì a poche ore, nel corso della conferenza stampa del Ministro, che in risposta alle domande puntuali del giornalista di Repubblica ha fatto affermazioni gravissime. Queste: «Vada in spiaggia a riprendere i bambini, visto che le piacciono tanto», pronunciate ad alta voce e con tono arrabbiato. Insomma una pesante allusione alla pedofilia, del tutto fuori luogo per una conferenza stampa che, in origine, doveva chiarire l’uso improprio di un mezzo della polizia da parte di un familiare di un membro del Governo.
Restano una serie di interrogativi: perché i due uomini che hanno fermato Lo Muzio hanno detto di essere “della polizia” e poi uno dei due ha precisato allo stesso Lo Muzio di non essersi qualificato come poliziotto? Chi c’era al seguito del Ministro e con quale titolo ha fermato un giornalista che stava lavorando chiedendogli anche i documenti. Se non lo sa il Ministro o non lo vuole dire, forse potrebbero fornire indicazioni utili gli uomini della questura di Ravenna a seguito dell’indagine in corso.
Ma di anomalo in questa vicenda c’è ancora dell’altro: il giorno della conferenza stampa, quando il Ministro ha bistrattato l’autore delle riprese, paragondandolo ad un pedofilo, nessuno dei giornalisti presenti ha detto una parola, men che meno alcuno ha abbandonato la conferenza stampa. Valerio è un giovane free lance, uno dei molti precari della categoria ed è solo ogni giorno con le notizie che forse qualche testata accetterà di pubblicare, ha fatto quello che per ora è lo scoop dell’estate, ha messo in seria difficoltà un vicepremier e forse meritava un po’ di solidarietà concreta, sul posto, specie da parte di giornalisti più affermati.
“Si, devo dire che mi avrebbe fato piacere se qualcuno dei colleghi si fosse alzato in piedi per ribadire la necessità di dare risposte alle mie domande, che in fondo sono quasi banali nella loro semplicità. Invece non è accaduto. Non lo condivido, ma lo capisco. In conferenza stampa c’erano tanti altri precari e comunque questo non è un buon momento per la professione, quindi molti devono aver pensato: ‘ma chi me lo fa fare a mettermi contro…’. In compenso in queste ore mi sta arrivando tantissima solidarietà, dai colleghi, associazioni e anche da moltissimi cittadini”.
Intanto Articolo 21 ha deciso di rilanciare le domande di Valerio Lo Muzio al Ministro fino a quando non arriveranno le risposte dovute ai giornalisti e a tutti i cittadini. Analoga iniziativa è stata avviata dalla Federazione Nazionale della Stampa. “Facciamo nostre le domande di Lo Muzio al vicepremier – dice il Presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti – e le riproporremo ogni giorno finché non avremo risposte. La solidarietà è importante e incontrerò nelle prossime ore il collega di Repubblica ma è fondamentale continuare a chiedere spiegazioni su questa storia, insieme a lui”
2 Agosto 2019