di Gianni Barbacetto
Sono passati 39 anni da quel 2 agosto 1980 in cui scoppiò la bomba alla stazione di Bologna. La più sanguinosa delle stragi italiane: 85 morti, oltre 200 feriti. Alla vigilia dell’anniversario, uno dei condannati, Luigi Ciavardini, scrive su Facebook di essere una delle vittime della strage: “Oltre alle vittime di quel giorno (per le quali tutti abbiamo il massimo rispetto), disgrazie e sofferenze parallele hanno toccato altre persone come le morti collaterali delle bombe intelligenti”. Ciavardini è stato condannato in via definitiva insieme a Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Intanto si sta celebrando a Bologna un nuovo processo, con imputato di strage Gilberto Cavallini.
“Le udienze svolte finora”, secondo Nicola Brigida, uno degli avvocati dell’Associazione familiari delle vittime presieduta da Paolo Bolognesi, “hanno confermato e rinsaldato le prove che hanno portato alla condanna di Fioravanti, Mambro, Ciavardini. E stanno aprendo uno spiraglio sui mandanti”.
Non hanno agito da soli, i “neri” dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Lo hanno già dimostrato le condanne a Licio Gelli e agli ufficiali del servizio segreto militare, per il depistaggio realizzato mettendo su un altro treno dell’esplosivo simile a quello della stazione, insieme a due biglietti aerei Milano-Monaco e Milano-Parigi: era il primo tentativo di indirizzare le indagini verso una inesistente “pista internazionale” che periodicamente torna alla ribalta, indicando come possibili responsabili i libici di Gheddafi, i palestinesi del Fronte popolare di liberazione, i guerriglieri di Carlos “lo Sciacallo”…
La pista “nera” resta invece solida, secondo i magistrati di Bologna. Quelli della Procura, che hanno mandato a processo Cavallini, uomo di collegamento tra i “giovani” dei Nar e i “vecchi” di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, già protagonisti della stagione stragista iniziata nel 1969 in piazza Fontana e proseguita a suon di bombe fino al 1974. E anche quelli della Procura generale, che hanno avocato un’inchiesta sui mandanti, alla ricerca dei livelli superiori del network stragista.
Nella nuova indagine è confluito un vecchio documento sequestrato a Gelli, Gran Maestro della P2, intestato “Bologna-525779XS”, che racconta di milioni di dollari usciti dal conto svizzero numero 525779XS proprio tra il luglio 1980 e il febbraio 1981, i mesi della strage e dei depistaggi. Una mezza banconota da mille lire, trovata nel 1983 in un “covo” di Cavallini a Milano, potrebbe essere il lasciapassare – lo usavano i membri di Gladio, o quelli di una pianificazione ancor più segreta, l’Anello – per presentarsi nelle caserme e ritirare armi ed esplosivo.
In una agenda sequestrata a Cavallini compare poi il numero di telefono 342111, utenza “riservata” di un ufficio di via Mantegna, a Milano, collegato ad Adalberto Titta, uno dei capi del “Noto Servizio” o “Anello”. Nel nuovo processo bolognese è emerso anche che Fioravanti e il suo gruppo, dopo la strage, furono ospitati a Milano in un appartamento di via Washington 27. Allo stesso indirizzo aveva sede (anzi, ce l’ha ancora oggi, secondo le visure) la Siati, società di copertura del Sifar, il servizio segreto militare.
Nelle nuove indagini è entrato anche Paolo Bellini, terrorista nero e infiltrato dei carabinieri nella Cosa nostra stragista del 1993: in un filmato amatoriale girato da un turista alla stazione il giorno della strage, compare un uomo, capelli ricci e baffoni neri, che potrebbe essere Bellini.
Indagato (per depistaggio) anche l’ex generale dei servizi segreti Quintino Spella, che ha negato di aver ricevuto, nel luglio 1980, dal giudice Giovanni Tamburino le dichiarazioni del “nero” Luigi Vettore Presilio, il quale rivelava che era in preparazione una strage.
2 agosto 2019
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