A rischio non solo l’Amazzonia, ma il clima globale e l’economia e la biodiversità del Sudamerica
Di fronte all’Amazzonia che brucia il presidente neofascista del Brasile Jair Bolsonaro, non ha trovato di meglio che f dare la colpa – senza prove, come ammette lui stesso – a chi lo accusa di essere il mandante politico di questo disastro globale: «Non chiedetemi le prove, ma ci sono forti indizi che a provocare gli incendi di questi giorni siano state le Ong ambientaliste. Hanno perso i fondi statali e per questo stanno seminando il panico, danneggiando così l’immagine del nostro Paese. Potrebbero essere stati anche gli agricoltori? Certo, tutti sono sospettabili, anche gli indios: ma secondo me, vi ripeto, le Ong sono in cima alla lista».
Durissima la risposta del Wwf Brasil: «La priorità del potere pubblico è tutelare il patrimonio e non di creare divergenze sterili e senza basi nella realtà. Per questo motivo, il Wwwf Brasil si rammarica del nuovo tentativo del presidente Jair Bolsonaro di sviare il legittimo dibattito della società civile sulla necessità di proteggere l’Amazzonia e, di conseguenza, di combattere la deforestazione che provoca gli incendi sproporzionati che affliggono il Paese e compromettono la qualità dell’aria in molte regioni».
Il Wwf sottolinea che l’affermazione di Bolsonaro che le ONG sarebbero dietro gli incendi a causa di un presunto taglio di finanziamenti «Non è supportata da dati. Una ricerca dell’Instituto de Pesquisa Econômica Aplicada (Ipea) ha analizzato il trasferimento di fondi federali alle Organizações da Sociedade Civil (OSC) tra il 2010 e il 2018 e ha rilevato che solo il 2,7% delle Organizações da Sociedade Civil (OSC) riceve fondi federali. . Di questo totale, solo il 5% è andato nella regione settentrionale (5%). Lo studio indica anche una tendenza al ribasso del numero di trasferimenti federali dal 2010. Le risorse che il governo ha soppresso erano donazioni internazionali all’Amazon Fund che sovvenzionavano, tra le altre cose, azioni per combattere la deforestazione e gli incendi. Pertanto, quel che ha causato che la presunta interruzione dei trasferimenti di risorse è una riduzione della capacità dello Stato di combattere la deforestazione e gli incendi».
Il Panda brasiliano conclude ricordando a Bolsonaro che «Il numero di focolai di incendi è cresciuto del 70% quest’anno (fino al 18 agosto) rispetto allo stesso periodo del 2018. In tutto, il Brasile ha registrato 66.900 focolai, secondo la misurazione del Programa Queimadas do Inpe (Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais). Secondo i dati di Inpe, il bioma più colpito è l’Amazzonia, con il 51,9% dei casi. Storicamente, in questa regione, l’uso del fuoco è direttamente collegato alla deforestazione, in quanto è una delle tecniche di deforestazione. Secondo Instituto de Pesquisas da Amazônia (Ipam) i 10 municipi dell’Amazzonia con il maggior numero di incendi sono gli stessi con il maggior numero di disboscamenti».
Greenpeace Brasil, che da settimane attacca duramente Bolsonaro e il suo governo di estrema destra e negazionista climatico, evidenzia che «La cosiddetta “temporada de fogo” non è una novità in Brasile, però, quest’anno, i focolai in Amazzonia sononaumentati significativamente. Da gennaio al 20 agosto, il numero degli incendi nella regione è stato del 145% superiore a quello registrato nello stesso periodo del 2018».
Anche Greenpeace Brasil ricorda a Bolsonaro che «Gli incendi forestali sono intimamente legati al processo di disboscamento. Questo perché la maggior parte delle volte il fuoco è utilizzato per “pulire” le aree dopo aver abbattuto la foresta, per preparare la terra per il bestiame. Quindi, in un circolo vizioso, oltre alla deforestazione, gli incendi contribuiscono al riscaldamento globale, liberando più CO2 nell’atmosfera e alimentando l’emergenza climatica».
Greenpeace Brasil accusa: «Segnali che la foresta può essere abbattuta e che nulla accadrà ai responsabili sono stati dati chiaramente dall’attuale l governo. Quelli che disboscano e distruggono in Amazzonia si sentono incoraggiati dai discorsi del governo Bolsonaro che, da quando è entrato in carica, non ha realizzato azioni per frenare la deforestazioneo. Per esempio, secondo un reportage del giornale Folha de S. Paulo, tra gennaio e aprile 2019 si è verificato un calo del 70% delle operazioni di controllo realizzate in Amazzonia. La più grande foresta pluviale del mondo e tutta la sua biodiversità sono gravemente minacciate. E questo crea un rischio per tutti noi, anche per quelli che non vivono nella regione settentrionale del Paese, poiché gli incendi contribuiscono alle emissioni di gas serra in Brasile, incidendo sull’equilibrio climatico del pianeta. La distruzione dell’Amazzonia contribuisce seriamente all’approfondimento dell’attuale crisi climatica!»
A chi, da dietro i comodi schermi dei computer, chiede cosa facciano gli ambientalisti Brasiliani, Greenpeace risponde che «Con il supporto dei nostri donatori, ogni anno conduciamo sorvoli di monitoraggio della regione amazzonica. L’anno scorso abbiamo mostrato al mondo il danno fatto da un incendio tra gli Stati di Amazonas, Acre e Rondônia. Durante l’indagine, abbiamo identificato focolai attivi soprattutto intorno e all’interno di aree protette come Terras Indígenas (TI) e Unidades de Conservação, il che rappresenta un grave rischio per la loro conservazione. Nel 2019, dall’inizio dell’anno, abbiamo esercitato pressioni sulle autorità e denunciato, attraverso i nostri canali di comunicazione e sulla stampa, l’avanzare della deforestazione e lo smantellamento della politica ambientale del Brasile. Continuiamo a monitorare la foresta e supportiamo la sua gente che, con il suo stile di vita tradizionale, previene il degrado ambientale. Continueremo a fare sempre di più per la protezione dell’Amazzonia. Abbiamo ancora molto lavoro da fare!»
A Bolsonaro non sembra interessare molto nemmeno la salute dei suoi cittadini. I venti hanno ricoperto alcune grandi citta brasiliane di una nera cappa di fumo e Foster Brown, un geochimico ambientale del Woods Hole Research Center ha espresso a Mongbay LATM la sua preoccupazione per gli altissimi livelli di PM 2.5. Secondo i dati di PurpleAir —una plattaforma di monitoraggio del particolato— «Alla triplice frontiera Perú-Brasile-Bolivia, nello Stato brasiliano di Acre, il 6 de agosto la concentrazione di PM 2.5 ha superato i 600 microgrammi per m3 (µg/m³) e il 19 agosto ha oltrepassato i 500, quando il massimo raccomandato dell’Environmental protection Agency Usa è 25 µg/m3».
Carlos Durigan, director de WCS Brasil, è sconcertato dale dichiarazioni di Bolsonaro: «Abbiamo un’elevata registrazione di incendi e focolai che stanno interessando un’estesa area dell’Amazonia. E non solo lì ma anche nel bioma del Cerrado e del Pantanal (onfatti grandi incendi vengono segnalati anche in Paraguay e Bolivia, ndr). Questo è molto grave perché è appena iniziata la stagione secca che può durare fino all’inizio di novembre. Anche se agosto e settembre sono i mesi più critici. Quel che sta accadendo non è solo conseguenza del caldo, è dovuto anche al debilitamento delle politiche ambientali e alla crisi delle agenzie di monitoraggio del governo. Quel che stiamo vivendo è un periodo molto duro».
La pensa così anche la biologa Liliana Dávalos, della Stony Brook University di New York, «Non vengono applicate le normative ambientali, in alcuni casi sono state addirittura abrogate e sono state apertamente indicate linee guida regionali e nazionali a beneficio della speculazione fondiaria, dell’allevamento di bestiame e dell’agroindustria. I cambiamenti politici rappresentano un’opportunità per trasformare la selva. E’ vero che questo fenomeno si verifica ogni anno: durante la stagione secca e immediatamente dopo aumenta la frequenza degli incendi. Tuttavia, quest’anno sono aumentati in modo sproporzionato, dell’ordine di oltre il 60%».
Durigan accusa: «C’è un’associazione criminale che appicca il fuoco per creare aree di espansione per l’agricoltura e l’allevamento su grannde scala, soprattutto nel sud dell’Amazzonia, dove c’è il grande arco brasiliano della deforestazione e dove ci sono aree naturali protette e territori indigeni che vengono colpiti».
La principale vittima di queste politiche reazionarie e dell’accaparramento delle terre è la biodiversità e la bologa Dolors Armenteras, che insegna all’Universidad Nacional de Colombia , spiega: «Sappiamo che il cambiamento di uso dei terreni è una delle cause di perdita di biodiversità e quel milione di specie in pericolo delle quali parlava l’ultimo rapporto IPBES sono a maggior rischio con eventi come questo. Alcune specie a bassa mobilità, come insetti e vertebrati come tartarughe, lucertole e anfibi probabilmente non scappano dal fuoco. Non sono state ancora ben valutare le conseguenze per la fauna e in termini di vegetazione: stiamo perdendo foreste antichissime, il che produce più emissioni di carbonio e l’impossibilità di stoccarlo nuovamente. L’enorme problema è che molte delle foreste amazzoniche non recuperano anche se non sono completamente incenerite. Tuttavia, gli studi scientifici non ci dicono quanti anni ci metteranno a recuperare, però si tratta di decenni, anche secoli, perché tornino a essere quel che erano. E anche così, non torneranno a essere uguali. Va perso anche il microbiota, i micro-organismi del suolo, tuttavia su questo ci sono pochi studi».
Quel che non dice Bolsonaro ma che fa la Dávalos è che gli incendi non devono essere visti come qualcosa di isolato: «Ogni striscia di fuoco secca e espone di più il terreno e nuovi blocchi della giungla non sono protetti. Questo aiuta a rendere più facile continuare ad abbattere la foresta. Ci sono studi che dimostrano che l’Amazzonia sta entrando in un nuovo regime di siccità molto più elevata e che la rigenerazione naturale richiederà più tempo».
Se gli incendi e la deforestazione continueranno, non solo in Brasile, ma tutti i Paesi amazzonici subiranno effetti devastanti, tra questi la Dávalos menziona: «La diminuzione della portata dei bacini idrici con effetti sulla pesca e sull’agricoltura stessa; inasprimento della crisi della minaccia per le specie, tra cui bromeliacee e funghi, per i grandi felini e i tapiri; inasprimento dei cambiamenti climatici regionali e globali. In questo momento è essenziale far ricrescere l’Amazzonia, ripristinare le foreste per rimuovere CO2 dall’atmosfera. Bruciando e abbattendo, stiamo andando verso un futuro prossimo con una minore produttività agricola, una minore sicurezza alimentare e una maggiore instabilità sociale ed economica», che è esattamente il contrario di quel che promette Bolsonaro.
Lo sa anche la ex ministro dell’ambiente del Brasile, Marina Silva, che al ballottaggio ha indicato di votare Bolsonaro, che intervenendo ieri a un evento organizzato nella capitale della Colombia Bogotà dell’ Centro ODS para América Latina, ha detto che «La crisi ambientale è in realazione a una crisi etica e politica. Non è negoziabile che l’ambiente non sia preservato o che non proteggiamo le popolazioni indigene. Tornare indietro è ancora più pericoloso che non andare avanti, stiamo tornando all’inizio del XX secolo quando non sapevamo nulla. I principi e i valori devono essere chiari affinché le politiche siano durature. L’Amazzonia viene distrutta da un sistema retrogrado che nega l’ambiente. Dobbiamo mobilitarci per l’Amazzonia. Non si può sacrificare le risorse di migliaia di anni per il profitto di alcuni decenni. E’ necessario pensare a un nuovo modello».
Speriamo che, tornata in Brasile, lo dica anche al suo amico Bolsonaro.
[23 Agosto 2019]