Il presidente Salvador Allende mentre il palazzo de La Moneda veniva bombardato dai golpisti
di Jean Georges Almendras
Nanni Moretti presenta in anteprima in Sudamerica un film straordinario nel rispetto dei sentimenti
Ricordo quei giorni. Li ricordo perfettamente. Li guardo a distanza di tempo e anche se non ero sul posto dove i cruenti avvenimenti si sono verificati, mi vengono i brividi. Avevo 18 anni e quattro mesi, quando a Santiago del Cile avvenne il colpo di Stato contro Salvador Allende.
Nel dipartimento di San José, in territorio uruguaiano, che era dove io mi trovavo insieme ad altri giovani, lavorando come animatori in una Colonia Estiva per scolari di Montevideo e dell’interno dell’Uruguay, ascoltavamo alla radio le notizie sul drammatico e violento assalto fascista contro il Palacio de la Moneda, cioè contro il legittimo governo socialista. I cileni stavano vivendo lì, in Cile, sulla propria pelle, il terrore golpista, e noi qui, in Uruguay, anche noi sotto dittatura militare, eravamo solidali con Allende ed il popolo cileno, seguendo minuto dopo minuto la tragedia che il destino aveva riservato loro.
In luoghi differenti (e situazioni differenti), in una America Latina sorvolata dal Condor della morte made in Usa (made in CIA), (made in Henry Kissinger), vivevamo la dittatura di Augusto Pinochet. Ma in Italia, un altro giovane, di nome Nanni Moretti, che sebbene non soffriva sulla propria pelle la tragedia che i cileni stavano vivendo tra esplosioni, colpi di mitragliatrice ed una dura repressione che provocava morte e caos, e la perdita assoluta dei diritti individuali, era al corrente di questi episodi, senza sospettare che 44 anni dopo, quegli episodi, si sarebbero ripresentati nella sua vita e nella sua carriera di regista italiano, con un’intensità indescrivibile, portandolo al successo professionale, ma anche alla capacità di comprendere, coscientemente, il dramma di coloro che subirono le conseguenze del colpo militare cileno, e l’orrore vissuto.
Nanni Moretti è autore del film “Santiago-Italia”. L’ultimo suo lavoro, un documentario di 80 minuti (con le testimonianze di Patricio Guzmán, Miguel Littin e Carmen Castillos, tra gli altri), è uscito recentemente nelle sale cinematografiche della città di Buenos Aires, nei cinema Village Recoleta, Atlas Patio Bulrich ed Artemultiplex Belgrano.
Nanni Moretti è un combattente che con il suo talento (e con le sue idee politiche), ha portato sugli schermi un lavoro il cui obiettivo centrale era mettere in risalto l’asilo politico che l’ambasciata del suo paese diede ad oltre 200 perseguitati dalla dittatura di Pinochet.
Horacio Bernades ha scritto su Pagina 12 che Nanni Moretti ha dichiarato che a ispirargli la realizzazione di questo film documentario è stato “un dettaglio rimasto al margine: l’accoglienza da parte dell’ambasciata italiana nel 1973 ai perseguitati da Pinochet. Almeno a tutti quelli a cui riuscì a dare asilo”.
Moretti ha aggiunto che in questo piccolo dettaglio trovò “una fonte inesauribile di significati, racconti, aneddoti ed emozioni”. E tutto questo meraviglioso ventaglio di realtà travolge lo spettatore.
“Ho scoperto quella che ho ritenuto una bella storia italiana” ha detto Moretti.
Da parte sua, Bernades racconta che nel mezzo del colpo di stato, mentre era in atto il sanguinoso annullamento di un processo politico, arresti, sequestri, torture e morte, Moretti trova una “bella storia”, ed è questa la storia che vuole raccontare: una storia di solidarietà, generosità e protezione verso chi era stato totalmente abbandonato, da parte di una delegazione diplomatica che non doveva farlo.
Il collega Bernades lo spiega così a Pagina 12: “Non si trattava di un’ambasciata che avrebbe potuto mettere a rischio le relazioni diplomatiche per difendere una causa comune, come quelle dell’URSS o Cuba. Per l’ambasciata argentina era più difficile: nel momento in cui si produsse il colpo, l’oficialismo’ (partito al potere) aveva appena decapitato il ‘camporismo’ (Allende era presente durante l’assunzione dell’incarico), ed era orientato verso la destra che avrebbe avuto più punti di contatto con Pinochet che con Allende. Ad offrire asilo ai militanti del Partito Socialista cileno, il PC ed il MIR è l’ambasciata italiana che rappresentava uno di quegli eterni governi di coalizione della penisola, con a capo la Democrazia Cristiana. Ma attenzione: quel governo democristiano moderato fu l’unico in Europa a non riconoscere Pinochet come nuovo capo di Stato”.
Moretti si appropria della struttura della trama e la modella secondo la propria personalità. E soprattutto, mette in chiaro allo spettatore che lui non si sottomette ai parametri dell’imparzialità.
In una parte del film, Moretti ed il suo team giungono alla Prigione di Punta Peuco per intervistare un militare repressore responsabile di violazioni ai diritti umani. Moretti gli fa una premessa senza preamboli: “Io non sono imparziale”. Ed è proprio questa componente di sincerità nel lavoro sul campo e nei confronti dell’intervistato che denota la personalità contraddistingue “Santiago, Italia”. La caratteristica di un film libero. Diretto. E Bernades così si esprime al riguardo: “il racconto verte verso una nuova forma di felicità, dopo il testimonio di Patricio Gusmán che trascorse alcuni giorni sequestrato nello Stadio Nazionale). Una felicità limitata, personalizzata, più peculiare: quella dei duecento privilegiati che ebbero la fortuna di entrare – scavalcando un muro – nell’ambasciata italiana. A quel punto il racconto sfiora il romanzo d’avventura, con le persone che saltano oltre mentre i carabinieri sparano. C’è anche uno sfondo pittoresco, per la lunga convivenza tra persone di distinto sesso, il cinema comico (qualcuno troppo maldestro per saltare), il melodramma della patria persa, la gratitudine verso la patria che ha dato loro rifugio, la gioia per un nuovo futuro ed il lieto fine. La Santiago-Italia non è una talking heads, perché si tratta del destino di persone che rivivono in corpo ed anima esperienze cruciali. Moretti non filma discorsi. Filma parole cariche di vita, corpi che reagiscono di conseguenza. La sua telecamera li fa risplendere. È un cinema di rinascite”.
“Santiago, l’Italia” ha ricevuto il premio David di Donatello come Migliore Documentario. Ed è stato il secondo film di Moretti a ricevere lo stesso riconoscimento; il primo fu “La Cosa” del 1990, ambientato nel periodo cui vengono presentate le circostanze per cui il Partito Comunista italiano cessò di esistere.
Dialogando recentemente con Dominique Bordeau, è stato chiesto a Moretti come si era sentito di fronte ai due militari intervistati nel film che non danno segni di pentimento riguardo alla loro partecipazione al colpo di stato?
Il regista ha risposto: “Il mio scopo non era quello di denunciare, ma di comprendere. Mi ha disturbato la loro posizione, ma in quel momento avevo bisogno di un’intervista completa per il film. Dovevo rimanere concentrato. Non imparziale, come avevo specificato ad uno di loro, ma tranquillo. Per la stessa ragione, non ho fatto tagliare né sono intervenuto quando Rodrigo Vergara si emoziona ricordando le dimostrazioni di solidarietà che aveva ricevuto quando arrivò in Italia. Come regista, è necessario prendere le distanze, dissociarsi riguardo l’argomento, i personaggi o le circostanze che si narrano. Non è questione di trasformarsi in protagonista, alla maniera di Michael Moore. La mia forma di rispettare Rodrigo in quel momento non consiste in tendergli una mano, ma nel restare in silenzio di fronte ai suoi sentimenti”.
In che momento decise il film che voleva fare? Moretti ha risposto: “Durante il montaggio. Solo a quel punto decisi la linea narrativa da seguire. Fino a quel momento intervistavo la gente e non sapevo cosa avrei fatto con le interviste, come le avrei utilizzate. Ho filmato 40 ore di interviste. Quello che avevo chiaro da prima era evocare i fatti accaduti attraverso la memoria viva di chi da un fronte o dall’altro vi ha partecipato”.
Dominique Bourdeau ha proseguito con le domande, per il suo articolo per Pagina 12: “Santiago, Italia” parla di rifugiati, di frontiere che si chiudono, di solidarietà. Che relazione crede che ci sia con il presente italiano, europeo in generale, dove vediamo negare l’asilo agli emigrati di paesi poveri?
“Sì, c’è una relazione, il film non lo esprime mai in modo esplicito. Credo che in ogni caso queste associazioni le deve fare lo spettatore. Quello che posso dire è che quando ho cominciato a girare il film non avevo notato nessun parallelismo tra quella situazione e l’attuale. Solo più tardi mi sono reso conto e ho compreso che il film poteva assumere un secondo senso, del quale fino a quel momento non ero cosciente”.
– A quel tempo, la società italiana, incluso il governo, accolse gli immigrati cileni a braccia aperte. Oggi, il primo ministro italiano vieta l’ingresso nel paese ai rifugiati e minaccia di affondare le barche delle ONG che li accolgono.
“È un confronto che non troviamo nel film. Ma quanto viene narrato nel film può indurre a pensarlo, senza dubbio” ha detto Nanni Moretti che si è definito un regista “umanista” più che un regista politico. E continua: “Nell’Europa Occidentale, la democrazia sembra essere un valore acquisito e definitivo, ma in realtà è una pianta che deve essere annaffiata tutti i giorni. Avverto un processo di ipnosi collettiva che genera paura. I problemi economici dominano il dibattito sul tema dell’immigrazione. Quando il film è stato presentato in Italia, alcuni mesi fa, ha toccato il pubblico. Non avrei immaginato reazioni tanto intense. Viviamo un’epoca così strana in cui un documentario su un’esperienza politica e sociale accaduta in un paese latinoamericano oltre quaranta anni fa può diventare un forte segnale politico. Non pretendo di influenzare l’intenzione di voto, ma la mia posizione politica è chiara. Almeno così spero”.
Sicuramente a breve “Santiago, Italia” sarà presentato in Cile. E sarà un appuntamento obbligatorio per il popolo cileno.
26 Agosto 2019