di Enrico Vigna, CIVG – agosto 2019
Improvvisamente, al di là di righe commemorative o occasionali, negli ultimi mesi su tutti i media occidentali è dilagata una marea di servizi, articoli, analisi, denunce degli errori della dirigenza dell’ex URSS ( che ci sono stati sicuramente), della “vergogna” per aver dimenticato e abbandonato i sopravvissuti, in particolare gli eroi, i “liquidatori”. Come sempre ondate di falsità e menzogne, alcune, come sempre, persino banali e surreali.
Sicuramente un ruolo propulsore l’ha avuto la miniserie televisiva “Chernobyl” di Craig Mazin, la quale come tutte le produzioni televisive o cinematografiche, trasmettono forti emozioni ai telespettatori, soprattutto se fatte bene dal punto di vista artistico. E questa di Mazin era ben fatta, toccante e struggente, peccato però che il contesto storico e il punto di vista che viene trasmesso e indotto, ha finalità che vanno molto al di là della miniserie. Infatti a partire da essa, giornalisti, esperti, studiosi e politicanti di varie tendenze, si sono buttati a capofitto per fomentare sottili odi e sentimenti anti sovietici, pochi sono stati quelli che hanno cercato letture e riflessioni circa questa tragedia, approfondendo magari la questione del “nucleare”, criticamente o favorevolmente, ma almeno in profondità e scientificamente sul controverso e delicato tema. Leggendo o ascoltando gli interventi di questi mesi, alla fine un osservatore ne esce con sentimenti minimo di avversione al sistema sovietico, se non di disprezzo alla società sovietica nel suo insieme, arrivando poi ovviamente all’oggi, attaccando la Russia attuale e il suo presidente Putin, cinici e responsabili di aver dimenticato e tradito coloro che hanno perso la vita sul momento o dopo lunghe malattie, lasciandoli soli e ai margini della società.
Si può capire che la reazione di una persona normale e non informata, non possa che essere di disprezzo e sdegno verso una società di questo tipo e i suoi dirigenti. Questo io penso, sentendo reazioni intorno a me, è stato il risultato, che era anche, a mio parere, il vero obbiettivo politico.
Sarebbe bene che tutti questi scribacchini senza morale e etica, con le loro lauree e professionalità scellerate, e le loro agiate vite piatte e comode, cercassero di capire l’orrore di questa tragedia e scrivessero e operassero per impedire le continue nuove guerre innescate nel mondo, dimenticando che ci sono centinaia di tali centrali nucleari in tutto il mondo, e soprattutto centinaia di BASI MILITARI con armi nucleari, compresa l’Italia e una Terza Guerra Mondiale sarebbe l’ultima per tutta l’umanità. Le loro lauree e professionalità avrebbero così un senso per l’umanità…ma è difficile rinunciare a lauti stipendi e comode vite, occorrerebbe una coscienza etica e sociale.
Spero che questo mio lavoro di ricerca e documentale possa aiutare a conoscere la realtà dei fatti, ma soprattutto la situazione nella società russa di coloro che, per dovere o volontariamente, sono stati gli “EROI” della tragedia di Chernobyl. Non eroi in senso mitologico, ma semplici uomini che per senso del dovere etico e sociale, hanno donato o usato le proprie vite per “GLI ALTRI” loro concittadini. Capisco quanto sia difficile, se non impossibile, citare questo valore e sentimento nel nostro mondo occidentale. Ma continuo a credere che solo sulla base di alcuni valori di fondo sociali, etici, di fratellanza e politici, le nuove generazioni potranno cercare di cambiare lo stato attuale di questo insano mondo.
Trentatre anni fa, il 26 aprile 1986, si verificò un drammatico incidente nella centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina, vicino alla cittadina di Pripyat, abitata da circa quarantamila persone, perlopiù dalle famiglie dei lavoratori della centrale, divenuta poi una “città fantasma”.
Nella quarta unità si verificò un’esplosione. Il reattore andò completamente distrutto, la spaventosa nube radioattiva copriva un vasto territorio di Ucraina, Bielorussia, Russia, oltre 200 mila chilometri quadrati. L’incidente fu considerato il più grande del suo genere nella storia dell’energia nucleare, anche se molti incidenti nucleari del secolo scorso avvenuti in paesi occidentali, sono spesso stati minimizzati nella loro reale portata distruttiva dai governi e dai media, ma certamente Chernobyl è stata una tragedia di dimensioni immani nella storia dell’umanità e del nostro pianeta.
Per dovere di cronaca riporto che nell’ex URSS non furono poche le voci, con relative indagini, che denunciavano addirittura un sabotaggio, pianificato per minare e destabilizzare l’Unione Sovietica. Ma non furono mai trovate prove sufficienti e tutto andò nell’oblio.
Ancora oggi i calcoli relativi alle vittime, non sono definitivi, tuttavia il numero totale dei morti secondo le stime più ufficiali è di 600 mila persone, di cui 4mila persone morte per cancro o malattie del sangue immediatamente dopo l’incidente. Vi sono poi le persone decedute di cancro nei paesi limitrofi, i bambini nati nel 1986 da genitori esposti alle radiazioni che hanno ereditato il cancro. Per questo, il numero totale di decessi dopo l’incidente è incalcolabile.
Una fatto spesso tralasciato, che può dare idea della portata di questo incidente, è l’atto eroico di tre subacquei sovietici, uno ucraino Alexei Ananenko e due russi Valery Bespalov e Boris Baranov, che molto probabilmente hanno salvato una grande parte dell’umanità.
Questi tre eroi che volontariamente, a costo della propria vita, si avventurarono a scendere nelle camere allagate del quarto reattore per evitare una seconda esplosione e salvare un’altra grande parte di umanità. Secondo molti esperti, la forza distruttiva della seconda esplosione avrebbe superato la prima esplosione di dieci volte. Nel 2009, la Scuola di Studi Russi e Asiatici fornì una stima delle conseguenze approssimative di ciò che sarebbe accaduto se non fosse stata impedita la seconda esplosione: “se il nucleo di fusione del reattore avesse raggiunto l’acqua, l’esplosione avrebbe distrutto metà Europa e reso Europa, Ucraina e alcuni altri paesi, oltre la Russia disabitati per migliaia anni… “.
Sotto le 185 tonnellate di materiale nucleare fuso c’era un serbatoio con cinque milioni di litri d’acqua.
Gli ingegneri sovietici consci della spaventosità della situazione, svilupparono immediatamente un piano: fu deciso che, attraverso le camere allagate del quarto reattore, dovessero andare tre sommozzatori e quando avessero raggiunto il refrigerante, dovevano aprire un paio di valvole di intercettazione per scaricare completamente l’acqua affinché il nucleo del reattore non la toccasse.
Era l’unico piano corretto, rimaneva solo di trovare tre “volontari suicidi”. Tutti avevano capito che chiunque andasse in quella miscela radioattiva avrebbe avuto una vita molto breve: poteva essere di alcune ore o alcuni giorni.
Tre uomini si offrirono volontari. Questi erano l’ingegnere anziano Alexey Ananenko, l’ingegnere di livello medio Valery Bespalov e il supervisore del turno Boris Baranov. Dovevano essere tre perché uno doveva tenere la lampada subacquea, gli altri due aprire rapidamente le valvole.
Quando il giorno successivo i sommozzatori si immersero nella pozza mortale, la piscina era completamente buia e la luce della lanterna impermeabile del supervisore del turno veniva periodicamente spenta, funzionando con discontinuità per non consumarne le scorte. Dopo qualche tempo, individuarono le valvole di drenaggio. Non senza difficoltà, nel buio pesto, quando la lanterna era già esaurita, i sommozzatori aprirono le due valvole e l’acqua si riversò e la piscina cominciò a svuotarsi rapidamente.
Quando i tre coraggiosi uomini tornarono in superficie, furono accolti come eroi.
Grazie al loro coraggio e sacrificio si riuscì a evitare la seconda esplosione e salvare le vite di milioni di persone sul pianeta.
Durante i giorni seguenti, gli eroi iniziarono a mostrare sintomi inevitabili e inconfondibili della malattia da radiazioni e dopo poche settimane, tutti e tre morirono.
Furono sepolti in bare di piombo con coperchi sigillati. I loro corpi privi di vita erano intrisi di radiazioni.
Infatti l’acqua era usata nella centrale elettrica come un vettore di calore e l’unica cosa che separava il nucleo del reattore di fusione dall’acqua era una spessa lastra di cemento. Il nucleo fuso bruciando lentamente attaccava questa lastra, andando verso l’acqua in un flusso incandescente di metallo radioattivo fuso. Se fosse passato, il nucleo di fusione del reattore avrebbe toccato l’acqua causando una ulteriore massiccia esplosione di vapore portatore di contaminazione radioattiva. Il risultato di questa esplosione termonucleare avrebbe potuto essere la radio contaminazione di quasi tutta l’Europa
L’incidente di Chernobyl è stato un disastro indescrivibile, ma senza gli sforzi e le vittime dei tre coraggiosi, poi decorati come Eroi dell’Unione Sovietica, si sarebbe trasformato in un disastro davvero inimmaginabile.
L’operatore video della TV sovietica, che riprendeva le operazione dei tre sub, successivamente morì.
Secondo le versioni ufficiali, le cause della tragedia di Chernobyl sono state delle prove da parte di tecnici per nuovi sistemi, a seguito delle quali si sono verificati un’esplosione e un incendio in uno dei quattro reattori nucleari. A quel punto il reattore cominciò a sciogliersi e il conseguente disastro fu quello di diventare il più grande incidente nella storia dell’umanità nella storia dell’energia atomica, sia in termini di danni economici che di numero di vittime. Cinque giorni dopo l’esplosione, il 1° maggio 1986, gli esperti fecero una terribile scoperta: la zona attiva del reattore esploso di Chernobyl si stava ancora sciogliendo. Il nucleo conteneva 185 tonnellate di combustibile nucleare e la reazione nucleare continuava a velocità terrificante.
Chi sono i “Liquidatori” . Gli Eroi di Chernobyl
Una definizione che indica partecipanti e volontari preposti specificatamente alla rimozione e eliminazione delle conseguenze di incidenti di gravità massificate. Relativamente alla tragedia di Chernobyl, si è calcolato che hanno preso parte alla “liquidazione” tra le 600.000 e 900.000 persone, coinvolte nei lavori in una zona di 30 chilometri e per moltissimi di loro la salute è rimasta minata per effetto delle radiazioni.
Il simbolo dei liquidatori è l’alfa (α), beta (β) e raggio gamma (γ) passanti attraverso una goccia di sangue
A causa del crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 ci sono stati innumerevoli problemi relativi a dati relativi all’incidente, al trattamento economico e sociale delle famiglie delle vittime, delle cure sanitarie per i partecipanti, dei riconoscimenti, siccome provenienti da diversi paesi, per lo più da Ucraina, Bielorussia, Russia e Kazakistan, ma anche dalle altre ex repubbliche sovietiche. Per questo un numero definito delle vittime, non è mai stato certificato. Secondo alcuni fisici bielorussi che avevano lavorato sul reattore numero 4, “circa 100.000 liquidatori sono ormai morti” tra il milione di partecipanti. Cifra che concorda all’incirca con quella data da Vyacheslav Grishin, un rappresentante dell’Unione Chernobyl (un’organizzazione che unisce i liquidatori provenienti da tutto la CSI e gli Stati baltici). Oltre ai liquidatori sopravissuti colpiti dalle radiazioni e sottoposti a cure sanitarie e controlli periodici, calcolati in centinaia di migliaia.
L’assistenza statale sovietica fino al 1991, ai sopravvissuti e alle famiglie dei morti, ma ancora oggi mantenuta e spesso accresciuta in Russia come negli paesi ex sovietici, è consistita al di là delle decorazioni (che significano comunque anche un riconoscimento economico perenne per gli insigniti), in compensazioni economiche e una accurata e gratuita assistenza sanitaria e sociale ad essi come a tutta la popolazione dell’area in questione. Riconoscimento di pensioni e facilitazioni economiche, precedenza del diritto alla casa, dell’istruzione per i figli, di canali preferenziali per il lavoro, così come lavori adeguati alle condizioni di salute di ciascun liquidatore. Riconoscimento a periodi di ristabilimento in sanatori. Tutti aspetti tuttora in vigore in Russia come in quasi tutte le altre ex Repubbliche sovietiche, dalla Bielorussia alla Moldavia, dal Kazakistan all’Armenia e altre. Per quanto riguarda l’Ucraina la situazione è più complessa e deficitaria, seppure i liquidatori e gli abitanti ucraini, hanno sempre goduto di riconoscimenti anche superiori, per alcuni versi alle altre Repubbliche per ovvi motivi oggettivi, In questi anni seguenti al golpe di EuroMaidan, e di “ritrovate democrazia e libertà”, le cose sono decisamente peggiorate e lo stato ucraino, spesso non adempie alle convenzioni relative alle vittime e ai liquidatori di Chernobyl. Lo attesta per esempio il fatto che l’Associazione vittime di Chernobyl è continuamente in piazza, al fianco di tutte le proteste antigovernative a Kiev come nelle altre città ucraine per rivendicare e difendere i propri diritti. Gravi problematiche vi sono soprattutto nei Paesi baltici, in particolare in Estonia, dove 200 liquidatori, che lì vivono, da anni lottano per ottenere quei riconoscimenti a loro riconosciuti fino al 1991 dall’ex URSS , oggi negati perché nella nuova legislazione estone “democratizzata”, la Costituzione dell’Estonia, si afferma che lo Stato può solo fornire assistenza ai cittadini che sono “discendenti legali” di cittadini estoni residenti sul suo territorio nell’intervallo tra gli anni 1918-1940, in quanto non viene riconosciuta l’esistenza dell’Unione Sovietica e le sue leggi…
Riconoscimenti ai liquidatori partecipanti dell’incidente di Chernobyl
I primi riconoscimenti andarono ai dipendenti della stazione dell’incidente dell’unità di emergenza della centrale, civili e militari. Essi immediatamente furono impegnati nel scollegare apparecchi, nelle analisi dei detriti, nella rimozione di incendi di attrezzature e altri lavori svolti direttamente nella sala del reattore, nella sala turbine e in altri locali una. Il numero delle vittime dirette al momento dell’incidente fu di 31 persone, uno dei quali ucciso subito nell’esplosione, uno è morto subito dopo l’incidente per lesioni multiple, gli altri morti entro poche settimane dopo l’incidente da ustioni, radiazioni e malattie da radiazioni acute.
Tra i liquidatori un ruolo preponderante con costi altissimi lo ebbero soldati e ufficiali dell’Armata Rossa, così come 300 agenti della polizia di Kiev, tra i primi a giungere sui luoghi contaminati, oltre ai militari del presidio a guardia della zona intorno a Chernobyl; al personale medico e sanitario da tutta l’URSS; una immensa forza lavoro proveniente da tutte le Repubbliche sovietiche (compresi militari), che fu destinata alla decontaminazione e pulizia della zona prima della costruzione del sarcofago; lavoratori edili e il personale delle unità speciali militari-costruzione del Ministero, impiegati nella costruzione del sarcofago di cemento Shelter che ricoprì e blindò l’unità distrutta, un muro di protezione profondo 30 metri e una diga sul fiume Pripyat, oltre agli edifici abitativi dei liquidatori e dell’esercito. Minatori che scavarono un tunnel di 136 metri sotto il reattore. Tra essi vi erano camionisti, esperti scientifici sovietici e personale del governo e dei Ministeri dell’Energia e della Salute in particolare.
In particolare i Vigili del fuoco sovietici pagarono un tributo di vite altissimo, oltre a distinguersi in atti eroici per arginare gli effetti della sciagura.
I primi 5 Eroi di Chernobyl che dettero la vita. Nella loro storia, al loro nome siano onorati e identificati TUTTI gli eroi di Chernobyl!
Questi cinque liquidatori furono i primi a combattere l’incendio nella centrale nucleare, ricevettero postumi la decorazione di “Eroe dell’Ucraina” e dell’”URSS”.
Nikolay Vashchuk, comandante dei Vigili del fuoco. Il suo reparto posò quantità di manichette antincendio sul tetto della centrale nucleare. Operò ad alta quota in condizioni di altissimi livelli di radiazioni, temperatura e fumo. Grazie alla sua determinazione e del suo reparto, la diffusione del fuoco verso la terza unità di potenza fu rallentata e poi interrotta.
Vasily Ignatenko , anch’egli comandante. Fu tra i primi a scalare il tetto di un reattore in fiamme. Affrontò gli incendi in alta quota da 27 a 71,5 mt. Vasily fu portato fuori dal fuoco dai suoi compagni Nikolai Vashchuk, Nikolai Titenko e Vladimir Tishuru,…
Alexander Lelechenko, vice capo del dipartimento elettrico della centrale nucleare. Dopo l’esplosione, proteggendo i più giovani elettricisti, egli stesso andò nella sala dell’elettrolisi tre volte. Se non avesse spento l’attrezzatura, la stazione sarebbe esplosa come una bomba all’idrogeno. Dopo aver ricevuto assistenza medica,…
Nikolay Titenok, pompiere. Non avendo idea di cosa lo aspettasse, arrivò, come i suoi compagni, in camicia, senza alcuna protezione dalle radiazioni. Pezzi di grafite radioattiva furono gettati via con semplici stivali e guanti di tela. A causa dell’alta temperatura, furono costretti anche a levarsi le maschere antigas già nei primi 10 minuti. Senza tale dedizione, l’emissione di radiazioni sarebbe molto più grande. Morì sul posto.
Vladimir Tishura, vigile del fuoco anziano. Era tra coloro che operarono nella sala del reattore dove c’era il livello massimo di radiazioni. Mezz’ora dopo, i primi vigili del fuoco furono colpiti. Cominciarono a mostrare vomito, “abbronzatura nucleare”, la pelle fu rimossa dalle mani. Ricevettero dosi di circa 1000-2000 μR / ora e più (la norma è fino a 25 μR).
I VIGILI del FUOCO sovietici…
Monumento ai Vigili del fuoco di Chernobyl. “A coloro che hanno salvato il mondo!”
Questo monumento si trova vicino alla caserma dei pompieri di Chernobyl, dalla quale, nella notte del 26 aprile 1986 partirono i primi Vigili del fuoco. Il monumento è molto modesto, realizzato e finanziato dai liquidatori stessi e con lo stesso calcestruzzo da cui è stato costruito il Sarcofago Shelter. Orgogliosa la dedica “A coloro che hanno salvato il mondo“. Qualcuno ha scritto che è un po’ troppo enfatico, ma sono quelli che non sanno o non hanno sentito, che non sono stati toccati dalla tragedia del più terribile incidente causato dall’uomo sul pianeta…
Alcune righe specifiche devono essere dedicate al valore e alla eroica dedizione altruista dimostrate da questi uomini.
Esattamente sette minuti dopo l’allarme, i Vigili del fuoco sovietici dell’unità locale, arrivarono sul luogo dell’esplosione della centrale nucleare ed iniziarono la loro lotta mortale contro il fuoco. Il dipartimento locale ha immediatamente iniziato a posare manichette antincendio sul tetto della centrale nucleare, lavorando ad alta quota e sul fronte diretto dell’incendio, esponendosi così ai più alti livelli di radiazioni, temperatura e fumo. Fu solo grazie alla determinazione ed al coraggio dei vigili del fuoco che la diffusione del fuoco verso la terza unità di potenza fu limitata e poi impedita Erano comandati dal Maggiore del servizio interno Leonid Petrovich Telyatnikov. Accanto a lui, nella prima fila dei vigili del fuoco, c’erano i comandanti delle guardie dei vigili del fuoco e 23 luogotenenti del servizio interno della centrale, da veri comandanti dettero ordini chiari e risoluti, andando personalmente nei punti più pericolosi. Quei pochi uomini in attesa delle altre forze in arrivo, fecero una vera impresa, al prezzo della loro vita, rallentando il divampare del fuoco e salvando migliaia di altre vite umane. Ma la dose delle radiazioni ricevute fu molto alta. Quattro di essi morirono sul posto, mentre ai Luogotenenti Viktor Kibenk e Vladimir Pravik fu assegnato postumo al titolo di Eroi dell’Unione Sovietica.
Le loro azioni furono poi subito coordinate dal Tenente colonnello e capo del dipartimento operativo-tattico del Ministero degli Affari interni dell’URSS Vladimir Maksimchuk, giunto immediatamente da Mosca.
Dopo aver valutato la situazione, Maksimchuk scelse l’unico metodo corretto e possibile per affrontare il fuoco in quella situazione e i vigili del fuoco entrarono nella zona di pericolo in gruppi di cinque persone, lavorando lì per non più di 10 minuti, e poi immediatamente rimpiazzati da un altro gruppo. Vladimir Mikhailovich stesso prese parte personalmente alla ricognizione sul luogo del fuoco, poi per quasi 12 ore non lasciò la prima linea del fuoco e, rinunciando alle sue ultime forze, essendosi esposto alle radiazioni, calcolò quale attacco di schiuma era necessario per spegnere le restanti sacche di fuoco. Le abili azioni di Maksimchuk salvarono più di trecento persone. Le tattiche da lui adottate in quel drammatico frangente per estinguere gli incendi negli impianti nucleari non erano mai state adottate in precedenza e in seguito divennero proprietà della comunità mondiale dei vigili del fuoco. Ma in quelle ore in prima linea con i suoi uomini, sprezzante della propria incolumità e vita, da vero comandante, Maximchuk ricevette una dose enorme di radiazioni, circa 700 roentgens. Con gravi ustioni da radiazioni sulle gambe e nel tratto respiratorio, fu portato all’ospedale dell’Esercito sovietico a Kiev, dove gli furono diagnosticati pochi anni di vita, subì diverse operazioni difficili, ma continuò a dirigere grandi operazioni di estinzione di grandi incendi in Russia. Nel 1989 fu colpito da un cancro alla tiroide e allo stomaco. Nel 1990, Vladimir Maksimchuk ottenne il titolo di “Maggiore Generale del Servizio Interno”, e nello stesso anno fu nominato Primo Vice Capo del Corpo dei vigili del fuoco del Ministero degli affari interni dell’URSS. Il 22 maggio 1993 morì.
Nel 2003, il decreto del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha insignito Vladimir Mikhailovich Maksimchuk del titolo postumo di Eroe della Russia.
Nel 1986, Leonid Telyatnikov lavorava come capo dei vigili del fuoco sovietici presso la centrale nucleare di Chernobyl. Nel giro di pochi minuti dopo l’esplosione, lui, insieme a una squadra di 29 vigili del fuoco, si precipitò sul luogo dell’esplosione. “…quando arrivammo sul posto, vidi le rovine, coperte da lampi di luci, che ricordavano i Bengala. Poi notammo un bagliore bluastro sulle rovine del quarto reattore e macchie di fuoco sugli edifici circostanti. Quel silenzio e le luci tremolanti provocarono in noi sensazioni terribili…” ha raccontato. Pur comprendendo tutto il pericolo, Telyatnikov e i suoi uomini si arrampicarono due volte sul tetto della sala macchine e il compartimento del reattore per estinguere l’incendio. Era il punto più alto e più pericoloso. Grazie a questa azione – il fuoco non si diffuse ai blocchi vicini e fu poi vinto. Leonid ricevette una dose di radiazioni di 520 rem, quasi mortale, ma sopravvisse. Nel settembre del 1986, il 37enne Telyatnikov ottenne il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica e fu insignito dell’Ordine di Lenin. Fu anche decorato con la Stella d’oro dell’eroe sovietico. Dopo i trattamento sanitari, continuò il suo servizio e divenne generale. Ma la malattia non si fermò. Morì nel dicembre 2004.
Putin: il messaggio di ringraziamento agli Eroi “liquidatori” di Chernobyl
Senza il loro lavoro ed eroismo le conseguenze dell’esplosione sarebbero state molto più dannose
Nella cerimonia in occasione dei trent’anni della tragedia di Chernobyl, il presidente russo ha ricordato e ringraziato coloro che intervennero e operarono subito dopo l’incidente nucleare.
“ Trent’anni fa, il 26 aprile 1986, la centrale nucleare di Chernobyl subì una dei peggiori e più drammatici incidenti tecnologici della storia.
Chernobyl ha insegnato una lezione importante per il genere umano, con le sue ripercussioni e conseguenze che ancora si fanno aspramente sentire e che colpiscono la natura, l’ambiente e la salute umana.
Tuttavia, la portata di quella tragedia avrebbe potuto essere incommensurabilmente più grande, se non fosse stato per il coraggio e la dedizione senza precedenti dei Vigili del Fuoco, del personale militare, degli esperti e gli operatori sanitari e tutti coloro che hanno eseguito il loro dovere professionale e civico, con onore di cittadini.
Molti di loro hanno sacrificato la propria vita per salvare gli altri.
Per diritto conquistato sul campo della loro vita, consideriamo i soccorritori che hanno partecipato nell’intervento in questa terribile catastrofe, veri eroi e rendiamo omaggio e onore alla sacra memoria di coloro che sono morti. Di fronte a coloro che hanno partecipato alla liquidazione e sono morti a causa dell’incidente, dobbiamo chinare il capo per onorare la loro memoria cara…
Dobbiamo apprezzare profondamente gli sforzi compiuti dai superstiti per sostenere le famiglie dei loro colleghi e compagni caduti e le loro attività pubbliche per non far cadere nell’oblio il loro sacrificio….
Essi hanno lottato coraggiosamente contro questo disastro, in eccezionali condizioni di difficoltà e rischi immensi per la loro propria via- Molti di loro l’hanno persa e oggi noi riconosciamo che ciò che voi avete fatto, i rischi che avete corso, le conseguenze patite per il vostro lavoro non sono ancora pienamente conosciute…
Io ho appena visto il documentario su questa tragedia dell’Accademico Legasov, che mi ha aiutato a capire cosa è realmente accaduto lì e così ho semplicemente capito che coloro che intervenivano lì non pensavano a sé stessi ma soltanto che il disastro doveva essere fermato a qualsiasi costo…e in quella estrema situazione il loro immenso senso di responsabilità ha salvato un gran numero di vite…Oggi ho l’onore di consegnarvi queste decorazioni di stato. Esse sono consegnate a voi come riconoscimento del vostro servizio all’umanità e ve le consegno con un grande senso di rispetto e gratitudine. Grazie e complimenti!” – V. Putin, 26 aprile 2016
Eroi di Chernobyl, onorati o dimenticati?
In queste foto e immagini ciascuno dotato di proprio intelletto e pensiero può rispondere da sé a questo interrogativo, subdolamente fatto filtrare da media “mainstream” occidentali.
In queste foto invece come si rappresenta la memoria storica perenne per le nuove generazioni
Dopo Chernobyl, per i lavoratori, gli abitanti locali evacuati, i liquidatori e le loro famiglie fu fondata la nuova città di Slavutic
L’audacia e il valore degli eroi, semplici uomini sovietici a Chernobyl, sarà per sempre, insieme ai pompieri sovietici, come esempio eterno di coraggio, professionalità e lealtà al loro dovere e al proprio popolo.