Ieri sera a Roma è accaduto qualcosa di inspiegabile. Qualcosa di assurdo. Davanti all’ingresso di Roma Metropolitane era in corso un presidio pacifico di lavoratori e lavoratrici che protestavano per evitare la liquidazione della partecipata capitolina, via libera che costerà il licenziamento a 152 persone. Un presidio pacifico per un diritto sacrosanto perché si sa – e la Costituzione ce lo ricorda fin dal suo primo articolo – che la nostra è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Erano in tanti: i lavoratori, i sindacalisti, alcuni politici come Stefano Fassina a portare la loro vicinanza. Poi improvvisamente il cordone della polizia ha iniziato a spingere, un muro contro muro, a premere verso la porta a vetri. Dicono che un delegato del Comune dovesse passare per recapitare un “messaggio orale” agli amministratori. Non è neanche un motivo. È meno di una scusa. È di sicuro una beffa. Nessuno dotato di un minimo di buon senso può credere che non ci fosse altro modo che forzare quel blocco pacifico, che non si potesse dialogare anziché caricare e strattonare, fino a comprimere e far crollare a terra le persone, costringendole alle cure in ospedale.
Soprattutto si fa davvero fatica ad accettare che il sindaco di questa capitale Virginia Raggi possa cavarsela con un tweet di solidarietà a Stefano Fassina e ai sindacalisti Natale di Cola (Cgil) e Alberto Civica (Uil) perché “noi abbiamo sempre scelto la strada del dialogo e del confronto.” Se l’amministrazione avesse scelto anche la strada dell’ascolto e avesse deciso di ricapitalizzare, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto. Colpisce soprattutto che non una parola venga spesa proprio per i lavoratori e le lavoratrici coinvolti. Nulla sui licenziamenti, nulla sulle ragioni del presidio, nulla sulla violenza gratuita da loro subita. È l’ennesima occasione perduta.
Ma c’è anche dell’altro. Un motivo forse più sotterraneo per cui le immagini di uomini a terra schiacciati fisicamente dalle forze di polizia ferisce. Il nostro Paese si stava appena lasciando alle spalle un’idea violenta e prevaricatrice di sicurezza. Il cambio al vertice del Viminale, avvenuto nelle scorse settimane, è stato più che un semplice vento di speranza. Eppure ieri sera un veleno inoculato a grandi dosi negli ultimi mesi e lentamente già negli anni precedenti si è fatto di nuovo atto plastico e inaccettabile. Quel cordone di polizia non si è fermato. Non ha vacillato neanche un attimo. Nessuno di quegli uomini in divisa si è chiesto chi avesse davanti, perché quelle persone stessero lì, nessuno ha tentato di parlare. Osservando il video della carica forse quello che fa più male è proprio l’indifferenza, la lontananza, la freddezza dell’azione. Le spalle dei poliziotti che avanzano imperterrite e gli occhi dei manifestanti che cercano un contatto, che esitano, che si sgranano increduli.
Sono immagini che abbiamo già visto. Nell’ottobre 2014 fu Maurizio Landini, all’epoca ancora alla guida della Fiom Cgil, a fermare i manganelli che colpivano le teste delle tute blu delle acciaierie ternane. Ancora una volta a Roma. Ancora una volta poliziotti contro lavoratori e sindacalisti. Allora al governo c’era Matteo Renzi. Ed è accaduto di nuovo l’estate scorsa a Prato. E nei mesi precedenti a Muggiò, a Soresina… Un elenco decisamente lungo se consideriamo che corre l’anno 2019.
Hanno ragione da vendere i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil a chiedere al Viminale, al ministro Lamorgese – che ha già annunciato verifiche – e al questore di Roma di spiegare quanto è accaduto. “Quello che è stato fatto dalle forze dell’ordine a dei lavoratori inermi, ai dirigenti sindacali e ai rappresentanti politici presenti al presidio – tuonano Landini, Furlan e Barbagallo – è intollerabile.”
Ecco perché quelle immagini mettono a disagio e premono sullo stomaco: come si può rispondere con la violenza alla preoccupazione legittima di chi sta per perdere la propria occupazione? È una miscela terribile e pericolosa che all’aggressività unisce il mancato riconoscimento del valore umano del lavoro, di chi lo fa e di chi lo rappresenta. Questa pozione ci intossica. Intossica ognuno di noi. Giovani e vecchi. Chi un lavoro lo cerca e chi un lavoro ce l’ha, chi un lavoro l’ha perso e chi lo ha avuto per una vita. Rischia di avvelenare l’intera società e l’idea che abbiamo della società di domani. Ed è proprio per questo che oggi a Roma si torna a manifestare: alle 17 in punto in piazza del Campidoglio. Ronza nella testa un verso dello scrittore Pier Paolo Pasolini da riadattare a questa storia, tenere sempre a mente e usare come antidoto: “In questi casi, ai lavoratori si danno i fiori, cari.”
Martina Toti, RadioArticolo1