di Saverio Lodato
Fratelli-coltelli, ma in questo caso meglio dire: gemelli-coltelli.
La paura della legge infatti, il timor panico della giustizia che, anche se con notevolissimo ritardo sull’epoca dei fatti, alla fine può sempre arrivare, separa, e questa volta per sempre, i gemelli di Forza Italia; entrambi avanti negli anni, entrambi ingolfati sino al collo nella sabbie mobili di mafia e trattative fra lo Stato e la Mafia, entrambi monumenti viventi di una stagione politica che non c’è più.
Storia infinita, ma che adesso finisce.
Storia di un sodalizio idilliaco, ma che adesso si sfilaccia sotto telecamere e a microfoni accesi.
Storia di un addio annunciato, e che adesso si porterà dietro sordi rancori e acide recriminazioni, disillusioni e ripicche.
Stiamo parlando di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, co-ideatori, co-fondatori, co-Padri Padroni della stessa creatura: il grande partito dei moderati che doveva sbarrare la strada al comunismo. E ai magistrati.
Con una differenza: l’uno, Berlusconi, a modo suo è sempre in sella; distribuisce ancora carte, anche se da un mazzo ormai bisunto dall’uso; va racimolando i fedelissimi di un tempo da usare come l’ultima armata da schierare a difesa delle sue aziende, dei suoi interessi, di una serena vecchiaia, sulla scacchiera della politica italiana.
L’altro, Marcello Dell’Utri, sconta, ai domiciliari, una sentenza per mafia passata in giudicato, e con un’altra in primo grado a dodici anni si è visto scaricare sulle sue sole spalle una lettura criminale degli anni d’oro di Forza Italia.
Il punto è proprio questo.
La recente notizia che Berlusconi è stato nuovamente iscritto nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica di Firenze per le stragi di Roma, Milano, Firenze, e per quella (mancata) dell’Olimpico e per l’agguato a Maurizio Costanzo, ha infatti indotto i suoi avvocati, Nicolò Ghedini e Franco Coppi a consigliare al loro assistito di non testimoniare al processo d’appello di Palermo sulla Trattativa Stato-Mafia, avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Testimonianza, quella di Berlusconi, sollecitata proprio dalla difesa del gemello, gli avvocati di Dell’Utri, nella speranza e nell’implicita richiesta che il cavaliere venisse a dargli una mano. E che il presidente della corte d’Assise d’Appello, Angelo Pellino, aveva accolto.
Berlusconi non se l’è fatto ripetere due volte.
Ha tenuto la bocca cucita, non ha autorizzato riprese televisive, non ha speso neanche una parola in difesa del suo gemello caduto in disgrazia. Anche in ciò si vede la fine di un’epoca: quando il cavaliere, persino sull’argomento di mafia e stragi, era solito metterci la faccia, con dichiarazioni fiume, condite da lazzi e barzellette all’indirizzo dei pubblici ministeri suoi persecutori. I tempi sono cambiati.
E adesso?
Visto come si sono messe le cose, Marcello Dell’Utri, dal suo punto di vista e nella sua condizione, una cosa potrebbe ancora farla: parlare.
Rompere il patto del silenzio.
Rifiutarsi di bere una doppia razione di cicuta. Dimostrare che non intende assecondare vecchi codici omertosi e amicali.
Raccontarla lui, ma per davvero, l’intera storia della nascita di Forza Italia. E di come e perché quella storia intrecciò pesantemente quella di Cosa Nostra e dei suoi capi bastone.
Quante volte si è detto, in questi decenni, ci vorrebbe un Tommaso Buscetta della politica, un Tommaso Buscetta delle istituzioni, per venire finalmente a capo di questa storia criminale infinita. A occhio diremmo che Dell’Utri ha tutta la statura necessaria per occupare un simile ruolo a tutt’oggi vacante.
Qualcuno si indignerà ritenendola proposta indecente.
Ma a essere indecenti, semmai, sono i fatti – inoppugnabili, innegabili – che riempiono migliaia di pagine processuali.
E sui quali Marcello Dell’Utri potrebbe dire parole che a nessuno sarebbe più consentito ignorare.
Speriamo che ci faccia un pensierino.
11 Novembre 2019