Dica quel che sa sull’assassinio di Aldo Moro
di Giorgio Bongiovanni
Gentile dottor Luca Palamara,
Sono a scriverle questa lettera aperta in un momento per lei sicuramente molto delicato dove si trova indagato a Perugia con la gravissima accusa di corruzione.
Secondo quanto emerso dagli atti di accusa avrebbe ottenuto viaggi e vacanze a suo beneficio e a beneficio di familiari e conoscenti che sembrerebbero essere state pagate, almeno in parte, da tale Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone, un lobbista arrestato nel febbraio 2018 per frode fiscale, considerato vicino al Partito Democratico e in affari con gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Centofanti, Amara e Calafiore sono coinvolti in un’inchiesta per corruzione e compravendita delle sentenze al Consiglio di Stato. In cambio dei regali, secondo l’accusa che la riguarda, lei avrebbe favorito gli indagati con una serie di nomine o di tentate manovre negli uffici delle procure che interessavano Amara e Calafiore. Al di là dei presunti reati che può avere commesso (nel nostro Paese garantista vige la presunzione di innocenza) si resta scandalizzati da quelle intercettazioni, fin qui trapelate, che l’hanno vista protagonista e da cui si rilevano dei dialoghi quantomeno inopportuni, con espressioni svilenti che non rendono onore a quella toga che indossa e che squalificano la professione della magistratura che dovrebbe essere invece eticamente coerente ed integerrima nel rappresentare una così importante carica dello Stato. Di queste cose è stato chiamato a rispondere penalmente ed anche il Consiglio superiore della magistratura ha già preso un primo provvedimento sospendendo le sue funzioni e lo stipendio.
Ma non è per questo che mi trovo a scrivere questa lettera, ma traggo spunto dalla pubblicazione del libro dell’ex senatore Sergio Flamigni, “Rapporto sul caso Moro” (Kaos edizioni), in cui si raccontano i lavori della seconda Commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro di Aldo Moro (2014-2017).
La Commissione, dopo un lungo lavoro, ha ribadito chiaramente che “la verità di Stato sul delitto Moro – confezionata dalla Dc di Francesco Cossiga insieme agli ex Br Valerio Morucci e Mario Moretti e avallata dalla magistratura romana – è una colossale menzogna”. Tuttavia alcuni elementi non sarebbero stati approfonditi con la dovuta attenzione e Flamigni li mette in fila.
Certo è che a tutt’oggi il sequestro del presidente della Dc e la sua successiva uccisione sono fatti coperti da numerose ombre.
Nella sua opera Flamigni evidenzia il lavoro svolto dal Procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli che avocò un’indagine della Procura al tempo guidata da Giuseppe Pignatone menzionando anche una “‘protratta inerzia’ del pubblico ministero romano” che lo aveva indotto a esercitare il potere di avocazione.
L’inerzia, in particolare, si riferiva all’indagine aperta sul ruolo dell’americano Steve Pieczenik, nel 1978 funzionario del Dipartimento di Stato inviato a Roma per ‘gestire’ la crisi aperta dal sequestro del presidente della Dc da parte delle Brigate rosse. Secondo Ciampoli venne mandato a Roma per quella che era una vera e propria operazione di “guerra psicologica” con tre obiettivi: garantire l’uccisione dell’ostaggio; recuperare le registrazioni degli interrogatori e degli scritti di Moro; ottenere il silenzio dei terroristi.
Le presunte responsabilità di Pieczenik erano state messe in luce dal procuratore generale Ciampoli nella richiesta di archiviazione, inoltrata al gip del tribunale di Roma, dell’inchiesta sulle rivelazioni dell’ex ispettore di polizia Enrico Rossi che aveva ipotizzato la presenza di agenti dei Servizi, a bordo di una moto Honda, in via Fani, a Roma, quando Moro fu rapito dalle Brigate Rosse. Il pg dispose la trasmissione della richiesta di archiviazione – un documento di cento pagine – al procuratore della Repubblica di Roma “perché proceda nei confronti di Steve Pieczenik in ordine al reato di concorso nell’omicidio di Aldo Moro, commesso in Roma il 9 maggio 1978”.
Si può anche ricordare che lo stesso Pieczenik, nel libro intervista uscito in Francia nel 2006, dal titolo “Abbiamo ucciso Aldo Moro“, ha praticamente ammesso le sue responsabilità: “Sono stato io, lo confesso, a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro. Allo scopo di stabilizzare la situazione italiana. Le Brigate rosse avrebbero potuto rilasciare Aldo Moro e così avrebbe senza dubbio conquistato un grande successo, aumentando la loro legittimità. Al contrario, io sono riuscito con la mia strategia, a creare unanime repulsione contro questo gruppo di terroristi e allo steso tempo un rifiuto verso i comunisti. Il prezzo da pagare è stata la vita di Moro. Il nostro è stato un colpo mortale preparato a sangue freddo. La trappola era che loro dovevano uccidere Aldo Moro”.
Lei, dottor Palamara, ha interrogato Pieczenik il 27 maggio 2014. Ed è noto che la sua audizione in seduta segreta, datata 29 luglio 2015, è stata secretata.
Personalmente, da giornalista e da cittadino, sono a proporle di agire in prima persona per chiedere ufficialmente al Parlamento che quell’audizione sia resa pubblica affinché, finalmente, possano divenire note le parole che l’inviato criminale della Cia ha reso all’autorità giudiziaria italiana che da lei era rappresentata.
Sempre lei, anche se indagato per corruzione a Perugia, può chiedere alla Procura di Roma oggi provvisoriamente retta dal Procuratore aggiunto Michele Prestipino, di riprendere in mano quel fascicolo, apparentemente rimasto nei meandri del Palazzo di Giustizia. Di fatto dell’inchiesta non è dato sapere più nulla dal 2014 e non vorremmo che, così come sostenuto da Flamigni, la posizione giudiziaria di Steve Pieczenik si sia inabissata in quel Palazzo che dagli anni ’70 viene definito come “porto delle nebbie”.
Rileggendo gli atti ed i verbali si possono evincere anche i depistaggi colossali rispetto ad un assassinio di Stato che ha visto Pieczenik, anche se presumibilmente non è l’unico ad aver operato, come protagonista.
Un modo anche per “smacchiare” l’opinione che attualmente viene tenuta nei suoi riguardi. Un atto di coraggio e giustizia che possa anche contribuire a lenire il dolore dei familiari delle vittime dell’agguato che si consumò in via Fani, ed anche della stessa famiglia Moro, che ancora oggi restano senza verità.
Aspettando una sua risposta, grazie per l’attenzione prestata a questa missiva.
02 Dicembre 2019