A cura di Enrico Vigna
“Naturalmente ho fatto l’esperienza che la RDT era ancora molto distante dalla realizzazione dei propri ideali sociali. Ciononostante rimane per me la parte migliore della Germania, più umana, più sociale, più giusta, più collettiva, più orientata verso gli ideali degli esseri umani che verso la legge dei lupi…” (Inge Viett nella sua lettera di addio al Collettivo operaio di Magdenburg nel 1990 dopo l’arresto).
Autodifesa di Erich Honecker
davanti al tribunale di Berlino di Erich Honecker, secondo Segretario generale del CC del Partito di Unità Socialista di Germania (SED) nonché terzo Presidente del Consiglio di Stato della DDR
Nell’anniversario della caduta del Muro di Berlino, questa è l’autodifesa che Erich Honecker, per anni segretario generale della SED (Partito Socialista Unificato), pronunciò di fronte al tribunale della RFT che lo accusava di crimini commessi dalla DDR.
In questo trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, ritornano tutti i luoghi comuni della guerra fredda sul mondo libero e la tirannia comunista. Tra questi anche la favola che vuole il Muro eretto per impedire ai cittadini di Berlino Est oppressi dalla dittatura di fuggire a Berlino Ovest. Noi non crediamo che si possa dare un giudizio storico della DDR senza analizzare quel che è accaduto nel periodo in cui la Repubblica democratica è esistita in quanto le azioni politiche possono essere giudicate soltanto nel loro contesto.
A trent’anni di distanza questo testo colpisce per la sua straordinaria attualità, e si consiglia la lettura a tutti coloro che vogliano farsi un’idea su cosa fosse realmente la Repubblica Democratica Tedesca, e qual’è stato il vero scopo del processo contro i suoi dirigenti.
« Difendendomi dall’accusa manifestamente infondata di omicidio non intendo certo attribuire a questo Tribunale e a questo procedimento penale l’apparenza della legalità. La difesa del resto non servirebbe a niente, anche perché non vivrò abbastanza per ascoltare la vostra sentenza. La condanna che evidentemente mi volete infliggere non mi potrà più raggiungere. Ora tutti lo sanno. Basterebbe questo a dimostrare che il processo e’ una farsa. E’ una messa in scena politica. Nessuno nelle regioni occidentali della Germania, compresa la città di prima linea di Berlino Ovest, ha il diritto di portare sul banco degli accusati o addirittura condannare i miei compagni coimputati, me o qualsiasi altro cittadino della RDT, per azioni compiute nell’adempimento dei doveri emananti dallo Stato RDT.
Se parlo in questa sede, lo faccio solo per rendere testimonianza alle idee del socialismo e per un giudizio moralmente e politicamente corretto di quella Repubblica Democratica Tedesca che più di cento stati avevano riconosciuto in termini di diritto internazionale. Questa Repubblica, che ora la RFT chiama Stato illegale e ingiusto, è stata membro del Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U., che per qualche tempo ha anche presieduto, e ha presieduto per un periodo la stessa l’Assemblea generale. Non mi aspetto certo da questo processo e da questo Tribunale un giudizio politicamente e moralmente corretto della RDT, ma colgo l’occasione di questa messa in scena politica per far conoscere ai miei concittadini la mia posizione.
La situazione in cui mi trovo con questo processo non è un fatto straordinario. Lo Stato di diritto tedesco ha già perseguitato e condannato Karl Marx, August Bebel, Karl Liebknecht e tanti altri socialisti e comunisti. Il terzo Reich, servendosi dei giudici ereditati dallo Stato di diritto di Weimar portò avanti quest’opera in molti processi, uno dei quali io stesso ho vissuto in qualità di imputato. Dopo la sconfitta del fascismo tedesco e dello Stato hitleriano, la RFT non ha avuto bisogno di cercarsi nuovi procuratori della repubblica e nuovi giudici per riprendere a perseguitare penalmente in massa i comunisti, togliendo loro il lavoro e il pane nei tribunali del lavoro, allontanandoli dagli impieghi pubblici tramite i tribunali amministrativi o perseguitandoli in altri modi. Ora capita a noi quello che ai nostri compagni della Germania occidentale era già capitato negli anni ‘50. Da circa 190 anni è sempre lo stesso arbitrio che si ripete. Lo Stato di diritto della Repubblica Federale Tedesca non è uno stato di diritto ma uno stato delle destre [gioco di parole in tedesco, N.d.T.].
Per questo processo, come per altri in cui altri cittadini della RDT vengono perseguitati per la loro contiguità col sistema di fronte ai tribunali penali o del lavoro, sociali o amministrativi, c’è un argomento principe che viene usato. Politici e giuristi sostengono: dobbiamo condannare i comunisti perché non lo abbiamo fatto con i nazisti. Questa volta dobbiamo fare i conti con il nostro passato. A molti sembra un ragionamento ovvio, ma in realtà è totalmente falso. La verità è che la giustizia tedescooccidentale non poteva punire i nazisti perché i giudici e i procuratori della repubblica non potevano punire se stessi. La verità è che questa giustizia della Germania Federale deve il suo attuale livello, comunque lo si voglia giudicare, ai nazisti di cui ha assunto l’eredità. La verità è che i comunisti e i cittadini della RDT vengono perseguitati oggi per le stesse ragioni per cui sono sempre stati perseguitati in Germania. Solo nei 40 anni di esistenza della RDT le cose sono andate in senso opposto. E’ con questo spiacevole inconveniente che bisogna ora fare i conti. Il tutto naturalmente nel pieno rispetto del diritto. La politica non c’entra assolutamente niente!
I giuristi più eminenti di questo paese, tanto dei partiti di maggioranza che della SPD, giurano che il nostro processo altro non è che un normale processo penale, non un processo politico, non una messa in scena. Vengono arrestati i membri di uno dei più alti organismi statali del paese confinante e si dice che però la politica non c’entra niente. Si contestano ai generali della contrapposta alleanza militare le decisioni prese, ma si sostiene che la politica non c’entra niente. Quelle stesse personalità che ieri venivano ricevute con tutti gli onori come ospiti di stato e interlocutori degli sforzi congiunti per impedire che potesse mai più scaturire una guerra dal suolo tedesco, vengono oggi etichettate come criminali. Ma anche questo non avrebbe niente a che fare con la politica. Si mettono sotto accusa i comunisti, che da quando sono apparsi sulla scena politica sono sempre stati perseguitati, ma nella RFT oggi tutto ciò non avrebbe niente a che fare con la politica.
Per me e, credo, per chiunque non sia prevenuto, è evidente che questo processo è politico come solo può esserlo un processo contro la dirigenza politica e militare della RDT. Chi lo nega non sbaglia, chi lo nega mente. Mente per ingannare ancora una volta il popolo. Con questo processo si fa proprio ciò di cui noi veniamo accusati: ci si sbarazza degli avversari politici con i mezzi del diritto penale. Ma naturalmente tutto avviene secondo la legge.
Anche altre circostanze mostrano senza ombra di dubbio che con questo processo si perseguono fini politici. Come mai il cancelliere federale, come mai il signor Kinkel, già capo dei servizi segreti, poi ministro della giustizia e infine ministro degli esteri della RFT si sono tanto impegnati per riportarmi a qualsiasi costo in Germania e rinchiudermi nel carcere di Moabit dove sono già stato sotto Hitler? Come mai il cancelliere ha lasciato che io volassi a Mosca per poi far pressioni su Mosca e sul Cile perché mi consegnassero, contro ogni principio del diritto internazionale? Come mai i medici russi che avevano fatto la diagnosi giusta al primo esame l’hanno poi dovuta falsificare? Come mai io e i miei compagni, che di salute non stanno tanto meglio di me, veniamo trascinati di fronte al popolo come facevano anticamente gli imperatori romani con i loro avversari prigionieri?
Non so se tutto questo abbia una spiegazione razionale. Forse si conferma il detto antico che coloro che Dio vuole perdere prima li acceca. Una cosa comunque è chiara, ed è che tutti quegli uomini politici che un tempo mi chiedevano udienza ed erano felici di potermi a loro volta ricevere, non usciranno indenni da questo processo. Anche i bambini in Germania sapevano che degli uomini erano stati uccisi al muro e che tra i politici viventi il massimo responsabile del muro ero io, presidente del Consiglio Nazionale della Difesa (CND), segretario generale, presidente del Consiglio di Stato della RDT. Non ci sono perciò che due sole possibilità: la prima è che i signori politici della RFT abbiano coscientemente, liberamente e persino avidamente cercato di avere rapporti con un assassino. La seconda è che essi coscientemente e con soddisfazione lasciano adesso che un innocente venga incolpato di omicidio. Di queste due possibilità nessuna torna a loro onore. Una terza possibilità non c’è. Ma chi accetta un dilemma di questo genere e risulta perciò comunque, tanto in un caso come nell’altro, una persona priva di carattere, o è cieco oppure persegue altri fini che gli premono più del proprio onore.
Ammettiamo pure che nè’ il signor Kohl, né il signor Kinkel, né gli altri signori ministri e dirigenti di partito della Repubblica Federale Tedesca siano ciechi (cosa che non mi sento affatto di escludere). Rimane, come scopo politico di questo processo, la volontà di discreditare totalmente la RDT e con essa il socialismo in Germania. Il crollo della RDT e del socialismo in Germania e in Europa evidentemente ancora non gli basta. Devono eliminare tutto ciò che può far apparire questo periodo in cui gli operai e i contadini hanno governato in una luce diversa da quella della perversione e del delitto. La vittoria dell’economia di mercato (come chiamano oggi eufemisticamente il capitalismo) deve essere assoluta, e così la sconfitta del socialismo. Si vuole fare in modo, come diceva Hitler prima di Stalingrado, che quel nemico non si rialzi mai più. I capitalisti tedeschi in effetti hanno sempre avuto un’inclinazione per l’assoluto.
Questa finalità del processo, questa volontà di uccidere ancora una volta il socialismo già dato per morto, mostra quale sia il giudizio che il signor Kohl, il governo e anche l’opposizione della RFT danno della situazione. Il capitalismo ha vinto economicamente scavandosi la fossa, cosi come aveva fatto Hitler vincendo militarmente. In tutto il mondo il capitalismo è entrato in una crisi priva di sbocchi. Non gli è rimasta altra scelta che sprofondare in un caos ecologico e sociale oppure accettare la rinuncia alla proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi il socialismo. Ambedue le alternative significano la sua fine. Ma per i potenti della Repubblica Federale Tedesca il pericolo più grave è chiaramente il socialismo. E questo processo deve servire a prevenirlo, così come deve servire a prevenirlo tutta la campagna contro la ormai scomparsa RDT, che deve essere marchiata come stato ingiusto e illegale.
Tutti i casi di morte per ragioni non naturali nel nostro paese ci hanno sempre colpito. Le uccisioni al muro non solo ci hanno colpito umanamente, ma ci hanno anche danneggiati politicamente. Più di ogni altro io porto dal maggio 1971 il peso della responsabilità politica del fatto che si è sparato, in base alle disposizioni sull’uso delle armi da fuoco, contro chi cercava di attraversare senza autorizzazione il confine tra la RDT e la RFT, tra il Patto di Varsavia e la NATO. E’ una pesante responsabilità, certo. Dirò più avanti perché me la sono assunta. Ma ora, in sede di definizione di quella che è la finalità politica di questo processo, non posso fare a meno di sottolineare anche il tipo di mezzi che vengono utilizzati per cercare di raggiungere il fine di diffamare la RDT. I mezzi utilizzati sono i morti al muro. Questi morti devono servire e servono a rendere appetibile ai media questo processo, come altri in precedenza. Tra i morti mancano però le guardie di confine della RDT assassinate. Abbiamo già visto, e soprattutto voi avete già visto, come le immagini dei morti siano state oggetto di mercato, senza rispetto per la pietà e la decenza. Questi sono i mezzi con cui si fa politica e si crea il giusto clima. Così si usano, anzi cosi si abusa dei morti nella lotta che i padroni conducono per mantenere la proprietà capitalistica. Perchè di questo e niente altro si tratta nella lotta contro il socialismo. I morti servono a mostrare quanto la RDT e il socialismo fossero inumani e anche a sviare l’attenzione dalla miseria del presente e dalle vittime dell’economia di mercato. Tutto ciò viene fatto democraticamente, legalmente, cristianamente, umanamente e per il bene del popolo tedesco.
Povera Germania!
E ora entriamo nel merito. I procuratori della città di prima linea ci accusano di omicidio come criminali comuni. Dato che personalmente non abbiamo ammazzato nessuna delle 68 persone la cui morte ci viene contestata nell’accusa, e dato che evidentemente non abbiamo nemmeno ordinato in precedenza che fossero uccisi, ne abbiamo in qualche modo provocato la loro morte, ecco che l’accusa, a pagina 9, mi contesta letteralmente:
« è… di aver ordinato, in qualità di segretario del Consiglio Nazionale della Difesa e responsabile dei problemi della sicurezza del CC della SED, di rafforzare le opere di confine intorno a Berlino (ovest) e gli sbarramenti di confine con la RFT per rendere impossibile il passaggio ».
Più avanti l’accusa mi contesta di aver partecipato in 17 sedute del CND dal 29/1l/1961 all’ 1/7/1983 alle decisioni di: « costruire ulteriori sbarramenti di mine a strappo (dove la parola “ulteriori” fa capire che le forze armate sovietiche avevano già installato questi sbarramenti); migliorare il sistema di sicurezza del confine e l’addestramento all’uso delle armi da parte delle guardie confinarie; impedire gli sconfinamenti». Mi si contesta inoltre di «aver dichiarato il 3/5 1974 che bisognava far ricorso senza scrupoli alle armi da fuoco» (cosa peraltro non vera) e infine di «aver votato a favore del progetto di legge confinaria entrato in vigore il 1° maggio l982».
Le accuse contro di me, o contro di noi, si riferiscono dunque a decreti del Consiglio Nazionale della Difesa, decreti di un organo costituzionale della RDT. Oggetto del procedimento è dunque la politica della RDT, sono le decisioni prese dal CND per difendere e preservare la RDT come Stato. Questo procedimento serve a criminalizzare questa politica. La RDT deve essere marchiata come Stato illegale e ingiusto e tutti coloro che l’hanno servita devono essere bollati come criminali. La persecuzione contro decine di migliaia ed eventualmente centinaia di migliaia di cittadini della RDT, di cui già parla la procura: questo è il vero scopo di questo procedimento, preparato da processipilota contro guardie di confine e accompagnato da innumerevoli altri procedimenti giudiziari discriminatori dei cittadini della RDT, condotti di fronte a tribunali civili, sociali, del lavoro o amministrativi, nonché da moltissimi atti amministrativi. Non è in gioco dunque solamente la mia persona o quella degli altri imputati di questo processo. E’ in gioco molto di più. E’ in gioco il futuro della Germania e dell’Europa, anzi del mondo che, con la fine della guerra fredda e con la nuova mentalità, sembrava dovesse entrare in una fase tanto positiva. Qui non solo si prosegue la guerra fredda, ma si vogliono gettare le fondamenta di un’Europa dei ricchi. L’idea della giustizia sociale deve essere soffocata una volta per tutte. Bollarci come assassini serve a questo.
Io sono l’ultimo a oppormi a norme morali e legali che servano a giudicare e anche condannare gli uomini politici. Ma tre condizioni devono essere soddisfatte: Le norme devono essere formulate esattamente in precedenza. Esse devono valere allo stesso modo per tutti gli uomini politici. La sentenza deve essere pronunciata da un tribunale al di sopra delle parti, un tribunale dunque che non deve essere composto né da amici né da nemici degli accusati. Mi sembra che si tratti di condizioni ovvie, eppure nel mondo attuale non mi sembra che possano ancora essere soddisfatte. Se voi oggi sedete in giudizio contro di noi, lo fate come tribunale dei vincitori contro i vinti. Questo fatto é espressione dei rapporti di forza reali, ma non può pretendere validità giuridica né costituire un atto di giustizia. Basterebbero questi argomenti a dimostrare l’illegalità dell’accusa. Ma poiché non ci sottraiamo al confronto neanche nel particolare, voglio dire io quel che l’accusa, o per malafede o per cecità, non dice. Abbiamo già citato le parole con cui l’accusa inizia l’enumerazione cronologica dei fatti che ci vengono contestati: « I1 12 agosto 1961 l’imputato Honecker, in qualità di segretario del CND e responsabile dei problemi della sicurezza del CC della SED ordinava di rafforzare le opere di confine intorno a Berlino (ovest) e gli sbarramenti di confine con la RFT per rendere impossibile il passaggio ».
Questo modo di vedere la storia è assai eloquente. Il responsabile dei problemi della sicurezza del CC della SED nel 1961 dava disposizioni su un fatto che poteva cambiare la storia del mondo! Qui si supera anche l’autoironia dei cittadini della RDT che chiamavano il loro paese «la più grande RDT del mondo». Va bene che oggi Enno von Löwenstein cerca di ingigantire la RDT per dare così più valore alla vittoria della RFT, ma neanche quest’ala destra del giornalismo politico tedesco riesce a fare della RDT una grande potenza mondiale. Questo rimane prerogativa dell’«autorità più obiettiva del mondo», la procura della repubblica. Ciascuno è padrone di rendersi ridicolo di fronte alla storia a proprio piacimento. Ma in ogni caso la costruzione del muro fu decisa a Mosca il 5/8/1961 in una riunione degli Stati del Patto di Varsavia. In quella alleanza tra i paesi socialisti la RDT era un membro importante, ma non la potenza guida. Questo il tribunale lo potrebbe dare per assodato senza bisogno di dimostrazione.
Dato che noi; come già ha detto Endash; di persona non abbiamo ammazzato nessuno, né abbiamo direttamente ordinato di ammazzare nessuno, l’azione omicida viene ravvisata nella costruzione del muro, nell’averlo tenuto in piedi e nell’imposizione del divieto di lasciare la RDT senza autorizzazione statale. E naturalmente questo non c’entrerebbe affatto con la politica. Così almeno sostiene la giurisprudenza tedesca. Ma non potrà sostenerlo di fronte alla storia o al raziocinio umano. Non farà altro che tradire ancora una volta le sue origini e mostrare di quale spirito sia figlia e dove stia andando la Germania.
Tutti noi che avevamo a quell’epoca responsabilità di governo nei paesi del Patto di Varsavia prendemmo quella decisione politica collettivamente. Non lo dico per scaricarmi dalle mie responsabilità attribuendole ad altri; lo dico soltanto perché così è stato e non altrimenti e io sono convinto che quella decisione di allora, del 1961, fosse giusta e tale sarebbe rimasta finché non fosse terminato lo scontro tra USA e URSS. Quella decisione politica e i convincimenti che la dettarono costituiscono appunto l’oggetto di questo processo. Bisogna essere ciechi o chiudere consapevolmente gli occhi davanti agli avvenimenti del passato per non riconoscere che questo è un processo politico dei vinti contro i vincitori, per non capire che esso significa deformare la storia per motivazioni di ordine politico. Voi ritenete che quella decisione politica fosse sbagliata e considerate me e i miei compagni responsabili penalmente per i morti ammazzati al muro. Ebbene io vi dico che la decisione che voi ritenete giusta avrebbe causato migliaia o milioni di morti. Di questo ero e sono tuttora convinto e credo ne siano convinti anche i miei compagni. è per questa convinzione politica che ci troviamo qui davanti a voi. E voi ci condannerete perché avete un’opinione politica diversa dalla nostra.
Come e perché si sia giunti alla costruzione del muro non sembra che interessi la pubblica accusa. Su questo l’accusa non spende una parola. Cause e circostanze vengono del tutto ignorate, la catena degli avvenimenti storici viene arbitrariamente spezzata. Erich Honecker ha costruito e tenuto in piedi il muro. Stop. Questa é la rappresentazione semplicistica che i giuristi tedeschi riescono a dare della storia. Quel che gli interessa é che i comunisti siano bollati da criminali e come tali condannati. I tedeschi in realtà sono perfettamente in grado di sapere come si è arrivati al muro e conoscere le ragioni per cui al muro si è sparato. Ma poiché l’accusa si comporta come se costruire muri e farvi ammazzare la gente fosse una caratteristica peculiare del socialismo e come se singoli «delinquenti» come me e i miei compagni ne portassero intera la responsabilità, mi vedo costretto, pur non essendo uno storico, a riassumere la storia che ha portato al muro.
Le sue origini si spingono lontano. Ci riportano alla formazione del capitalismo e del proletariato. Ma l’inizio immediato della tragedia dell’ultima fase della storia tedesca si situa nell’anno 1933. In quell’anno, com’è noto, molti tedeschi votarono in libere elezioni per il partito nazista e il presidente Hindenburg, che era stato eletto altrettanto liberamente nel 1932, investi democraticamente Adolf Hitler delle funzioni di capo del governo. Subito dopo i predecessori politici degli attuali partiti dominanti, con l’eccezione della SPD, votarono i pieni poteri, dando a Hitler poteri assoluti dittatoriali. Solo i comunisti prima di quelle elezioni avevano detto: «chi vota Hindenburg vota Hitler, chi vota Hitler vota per la guerra». Al momento del voto per i pieni poteri i deputati comunisti erano già stati allontanati dal Reichstag, molti comunisti erano stati arrestati o vivevano in clandestinità. Già allora la messa fuori legge dei comunisti fu il segnale della fine della democrazia in Germania. Non appena Hitler fu messo a capo del governo, la Germania conobbe il suo primo miracolo economico. La disoccupazione era vinta; i titoli Volkswagen andavano bene e l’animo ardente del popolo portava a scacciare e assassinare gli ebrei. Il popolo tedesco in maggioranza era felice e contento.
Quando scoppiò la seconda guerra mondiale e le fanfare annunciavano le guerre lampo contro Polonia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Jugoslavia, Grecia, l’entusiasmo non conobbe più confini. I cuori di quasi tutti i tedeschi battevano all’unisono con il loro cancelliere, il più grande duce di tutti i tempi. Nessuno immaginava che l’impero millenario sarebbe durato solo 12 anni. Quando nel 1945 tutto fu ridotto in macerie, la Germania non si trovò padrona del mondo, come prediceva una ben nota canzone nazista, ma totalmente dominata dagli alleati. La Germania fu divisa in quattro zone. Non c’era assolutamente libertà di trasferirsi da una zona all’altra. Nemmeno per gli emigrati tedeschi che, come Gerhart Eisler, volevano ritornare in Germania dagli USA.
Negli USA c’erano piani (per esempio il piano Morgenthau) che prevedevano la divisione perpetua della Germania in vari stati. Proprio in risposta a questi piani Stalin pronunciò le famose parole: «Gli Hitler vengono e vanno, il popolo tedesco e lo Stato tedesco rimangono». Ma l’unità della Germania, che a quel tempo l’URSS voleva fosse mantenuta, non si realizzò. Per effetto della guerra fredda proclamata dagli USA nel 1947, la Germania; con l’accorpamento di due e poi di tre zone, con la riforma monetaria, infine con la costituzione nel maggio 1949 della RFT; fu divisa per un lungo periodo in due parti. Come si vede dalla successione temporale, questa divisione non fu opera dei comunisti, ma degli alleati occidentali e di Konrad Adenauer. La costituzione della RDT seguì in un secondo tempo e fu la conseguenza logica della costituzione della RFT. Ormai si erano formati due diversi Stati tedeschi. Ma la RFT non aveva nessuna intenzione di riconoscere la RDT e stabilire con essa rapporti pacifici. La RFT pretendeva anzi di essere l’unica rappresentante di tutta la Germania e di tutti i tedeschi. Con l’aiuto degli alleati proclamò un embargo economico e cercò per quella via di isolare la RDT economicamente e politicamente. Una politica di aggressione senza guerra: così si può definire la linea seguita dalla RFT nei confronti della RDT. Questa fu la forma che la guerra fredda assunse sul suolo tedesco.
Fu questa politica che portò al muro. Dopo l’ingresso della RFT nella NATO, la RDT aderì al Patto di Varsavia. I due Stati tedeschi si fronteggiarono così come Stati membri di alleanze militari ostili. La RFT era più forte della RDT sotto diversi aspetti: per numero di abitanti, potenza economica, legami politici ed economici. Grazie al piano Marshall e al pagamento di minori riparazioni dovette inoltre sopportare le conseguenze della guerra in misura ridotta. La RFT disponeva di maggiori ricchezze naturali e di un territorio più ampio. Essa sfruttò questa molteplice superiorità in tutti i modi, ma soprattutto promettendo ai cittadini della RDT vantaggi materiali se abbandonavano il loro paese. Molti cittadini della RDT non resistettero a questa tentazione e fecero quello che i politici della RFT si aspettavano che facessero: “votarono con i piedi”. Il successo economico esercitò un’attrazione fatale sui tedeschi dopo il 1945 non meno di quanto era accaduto dopo il 1933.
La RDT e gli Stati alleati del Patto di Varsavia vennero a trovarsi in una situazione difficile. La politica del roll back sembrava coronata da successo in Germania. La NATO si accingeva ad estendere la sua area di influenza fino all’Oder. Questa politica produsse nel 1961 una situazione di tensione in Germania che metteva in pericolo la pace mondiale. L’umanità si trovò sull’orlo di una guerra atomica. Questa era la situazione quando gli Stati del Patto di Varsavia decisero la costruzione del muro. Nessuno prese quella decisione a cuor leggero. Perché divideva le famiglie, ma anche perché era il segno di una debolezza politica ed economica del Patto di Varsavia rispetto alla NATO che poteva essere compensata solo con mezzi militari.
Politici eminenti fuori della Germania, ma anche nella RFT, riconobbero dopo il 1961 che la costruzione del muro aveva diminuito la tensione nel mondo. Franz Josef Strauss scrisse nelle sue memorie: «Con la costruzione del muro la crisi, in modo certo non positivo per i tedeschi, poteva però dirsi non solo sotto controllo ma effettivamente chiusa» (pag. 390). In precedenza Strauss aveva parlato dei piani di bombardamento atomico del territorio della RDT (pag. 388). Io credo che non ci sarebbero stati nè il Trattato Fondamentale [trattato che regolava i rapporti tra le due Germanie concluso nel dicembre 1972, N.d.T.], nè Helsinki, ne l’unità della Germania se in quel momento non fosse stato costruito il muro o se esso fosse stato abbattuto prima della fine della guerra fredda. Penso perciò che approvando la costruzione del muro e mantenendo poi quella posizione nè io nè i miei compagni ci siamo macchiati di alcuna colpa, non solo dal punto di vista del diritto, ma neanche da un punto di vista morale e politico. Rispetto alla storia della Germania è certo solo una nota marginale, ma è il caso di notare che adesso molti tedeschi sia dell’ovest che dell’est vedrebbero volentieri una riedizione del muro.
Ma ci si deve anche chiedere che cosa sarebbe successo se avessimo agito come l’accusa dà per scontato che avremmo dovuto fare. Cioè se non avessimo eretto il muro, se avessimo consentito a chiunque di lasciare la RDT, segnando così spontaneamente la resa della RDT già nel 1961. Non c’è bisogno di particolare fantasia per capire quali effetti avrebbe prodotto una politica siffatta. Basta considerare quel che è successo nel 1956 in Ungheria e nel 1968 nella Repubblica Socialista Cecoslovacca. Le truppe sovietiche, che tra l’altro erano già presenti, sarebbero intervenute anche nella RDT nel 1961, esattamente come avevano fatto negli altri paesi. Anche in Polonia Jaruzelski proclamò lo stato di emergenza nel 1981 per impedire un intervento di quel tipo.
L’acutizzazione della crisi che avremmo provocato se ci fossimo attenuti al modello che l’accusa ritiene essere l’unico politicamente, moralmente e giuridicamente fondato avrebbe comportato il rischio di una terza guerra mondiale. Noi non abbiamo voluto e non potevamo correre questo rischio. Se questo per voi è un crimine pronuncerete voi stessi la vostra condanna di fronte alla storia con la vostra sentenza. Ma questo importerebbe poco. Quel che più importa è che la vostra sentenza costituirà un segnale per riproporre le vecchie contrapposizioni anziché ricucirle. In presenza del pericolo di un collasso ecologico del mondo, voi riproponete la vecchia strategia di classe degli anni ‘30 e la politica di potenza tipica della Germania fin dai tempi del cancelliere di ferro.
Se ci condannerete per le nostre decisioni politiche del 1961; e io penso che lo farete; la vostra sentenza sarà non solo priva di ogni fondamento giuridico, non solo emessa da un tribunale di parte, ma anche una sentenza che ignora totalmente consuetudini politiche e comportamenti di quegli stessi paesi che godono del vostro massimo rispetto come Stati di diritto. In questo contesto non voglio certo, nè potrei elencare tutti i casi in cui negli ultimi 28 anni sono state prese decisioni politiche che hanno avuto un costo di vite umane, perché non voglio abusare del vostro tempo e della vostra sensibilità. E nemmeno potrei ricordarmeli tutti. Ne voglio menzionare soltanto alcuni:
Nel 1963 l’allora presidente degli Stati Uniti Kennedy decise di inviare truppe nel Vietnam per prendere il posto dei francesi sconfitti e far la guerra fino al 1975 contro i vietnamiti che combattevano per la loro libertà, indipendenza e autodeterminazione. Questa decisione del presidente degli USA, che comportava una violazione eclatante dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale, non ha mai ricevuto la minima critica da parte del governo della RFT. I presidenti degli USA Kennedy, Johnson e Nixon non sono mai stati portati davanti a un tribunale e il loro onore non ha subito la minima macchia, almeno non per quella guerra. E in questo caso nè i soldati americani ne quelli vietnamiti hanno potuto decidere liberamente se correre o meno il rischio di morire per una guerra ingiusta.
Nel 1981 l’Inghilterra fece intervenire le sue truppe contro l’Argentina per mantenere le isole Falkland come colonia per l’impero. La “lady di ferro” si assicurò in quel modo una vittoria elettorale e la sua immagine non ne fu minimamente offuscata, neanche dopo la fine delle sue fortune elettorali. Nessuno pensò di accusarla di omicidio. Nel 1983 il presidente Reagan ordinò alle sue truppe di occupare Grenada. Non cè persona che goda di maggior rispetto in Germania di questo presidente americano. Evidentemente le vittime di questa impresa era giusto che fossero ammazzate. Nel 1986 Reagan fece bombardare in un’azione punitiva le città di Tripoli e Bengasi, senza chiedersi se le sue bombe avrebbero colpito colpevoli o innocenti. Nel 1989 il presidente Bush ordinò di portare via da Panama con la forza delle armi il generale Noriega. Migliaia di panamensi innocenti furono uccisi. Ma per il presidente americano ciò non ha comportato la minima macchia, figurarsi un’accusa di omicidio. L’elenco potrebbe continuare a piacere. Anche solo menzionare la condotta inglese in Irlanda potrebbe sembrare ineducato.
Sugli effetti che le armi della Repubblica Federale Tedesca producono tra i Kurdi della Turchia o tra i neri del Sudafrica si pongono interrogativi retorici, ma nessuno fa la conta dei morti e nessuno chiama per nome i colpevoli. Parlo solo di paesi che vengono considerati modelli di stato di diritto e ricordo solo alcune delle loro scelte politiche. Ognuno può agevolmente fare un confronto tra queste scelte e quella di erigere un muro al confine tra Patto di Varsavia e NATO.
Ma voi direte che non potete nè dovete decidere in merito alle azioni di altri paesi e che tutto questo non vi riguarda. Io non credo però che si possa dare un giudizio storico della RDT senza analizzare quel che è accaduto in altri paesi nel periodo in cui la RDT è esistita a motivo della contrapposizione tra i due blocchi. Credo anche che le azioni politiche possano essere giudicate soltanto nel loro contesto. Se voi chiudete gli occhi su quel che è successo nel mondo fuori dalla Germania dal 1961 al 1989 non potete pronunciare una sentenza giusta.
Ma anche se vi limitate alla Germania, mettendo a confronto le scelte politiche dei due Stati tedeschi, un bilancio onesto e obiettivo non può che andare a vantaggio della RDT. Chi nega al proprio popolo il diritto al lavoro o il diritto alla casa, come avviene nella RFT, mette in conto che molti si sentano negare il diritto all’esistenza e non vedano altra soluzione che togliersi la vita. La disoccupazione, la condizione dei senza tetto, l’abuso di droghe, i crimini per procurarsi la droga e la criminalità in genere sono frutto della scelta politica dell’economia di mercato. Anche scelte apparentemente cosi neutre dal punto di vista politico come i limiti di velocità sulle autostrade, sono il prodotto di un assetto statale in cui sono determinanti non i politici liberamente eletti ma i padroni che non sono stati eletti da nessuno. Se il dipartimento per i reati commessi nell’esercizio del potere presso la Corte suprema si curasse per una volta di questi aspetti, presto avrei nuovamente la possibilità di stringere la mano ai rappresentanti della Repubblica Federale Tedesca. Questa volta però a Moabit. Ma questo naturalmente non accadrà perchè alle vittime dell’economia di mercato era giusto che si togliesse la vita.
Non sono io la persona che possa fare un bilancio della storia della RDT. Il momento di farlo non è ancora venuto. Il bilancio sarà tratto in futuro e da altri. Io ho speso la mia esistenza per la RDT. Dal maggio 1971 soprattutto ho avuto una responsabilità rilevante per la sua storia. Io sono perciò parte in causa e oltre a ciò indebolito per l’età e la malattia. E tuttavia, giunto alla fine della mia vita, ho la certezza che la RDT non è stata costituita invano. Essa ha rappresentato un segno che il socialismo è possibile e che è migliore del capitalismo. Si è trattato di un esperimento che è fallito. Ma per un esperimento fallito l’umanità non ha mai abbandonato la ricerca di nuove conoscenze e nuove vie. Bisognerà ora analizzare le ragioni per cui l’esperimento è fallito. Sicuramente ciò è accaduto anche perché noi; voglio dire i responsabili in tutti i paesi socialisti europei; abbiamo commesso errori che potevano essere evitati. Sicuramente è fallito in Germania tra l’altro anche perché i cittadini della RDT, come altri tedeschi prima di loro, hanno compiuto una scelta sbagliata e perché i nostri avversari erano ancora troppo potenti. Le esperienze storiche della RDT, insieme a quelle degli altri paesi ex socialisti, saranno utili a milioni di uomini nei paesi socialisti ancora esistenti e serviranno al mondo futuro. Chi si è impegnato con il proprio lavoro e con la propria vita per la RDT non ha vissuto invano. Un numero sempre maggiore di persone dell’est si renderanno conto che le condizioni di vita della RDT li avevano deformati assai meno di quanto la gente dell’ovest non sia deformata dall’economia di mercato e che nei nidi, negli asili e nelle scuole i bambini della RDT crescevano più spensierati, più felici, più istruiti, più liberi dei bambini delle strade e delle piazze dominate dalla violenza della RFT. I malati si renderanno conto che nel sistema sanitario della RDT, nonostante le arretratezze tecniche, erano dei pazienti e non oggetti commerciali del marketing dei medici. Gli artisti comprenderanno che la censura, vera o presunta, della RDT non poteva recare all’arte i danni prodotti dalla censura del mercato. I cittadini constateranno che anche sommando la burocrazia della RDT e la caccia alle merci scarse non c’era bisogno che sacrificassero tutto il tempo libero che devono sacrificare ora alla burocrazia della RFT. Gli operai e i contadini si renderanno conto che la RFT è lo Stato degli imprenditori (cioè dei capitalisti) e che non a caso la RDT si chiamava Stato degli operai e dei contadini. Le donne daranno maggior valore, nella nuova situazione, alla parità e al diritto di decidere sul proprio corpo di cui godevano nella RDT.
Dopo aver conosciuto da vicino le leggi e il diritto della RFT molti diranno, con la signora Bohley, a cui i comunisti non piacciono: «Abbiamo chiesto giustizia. Ci hanno dato un altro Stato». Molti capiranno anche che la libertà di scegliere tra CDU/CSU, SPD e FDP è solo una libertà apparente. Si renderanno conto che nella vita di tutti i giorni, specialmente sul posto di lavoro, avevano assai più libertà nella RDT di quante ne abbiano ora. Infine la protezione e la sicurezza che la piccola RDT, così povera rispetto alla RFT, garantiva ai suoi cittadini non saranno più minimizzate come cose ovvie, perchè la realtà quotidiana del capitalismo si incaricherà adesso di far capire a tutti quanto fossero preziose. Il bilancio della storia quarantennale della RDT è diverso da quello che ci viene presentato dai politici e dai mass media. Col passar del tempo questo sarà sempre più evidente.
Vorreste trasformare il processo contro di noi, membri del Consiglio Nazionale della Difesa della RDT, in un processo di Norimberga contro i comunisti. Ma questo tentativo è condannato al fallimento. Nella RDT non c’erano campi di concentramento, non c’erano camere a gas, sentenze politiche di morte, tribunali speciali, non c’erano Gestapo ne’ SS. La RDT non ha fatto guerre e non ha commesso crimini di guerra contro l’umanità. La RDT è stata un paese coerentemente antifascista che godeva di altissimo prestigio internazionale per il suo impegno in favore della pace. Il processo contro di noi «pezzi grossi» della RDT deve servire di risposta a quanti dicono «se la prendono con i pesci piccoli, i grossi invece li lasciano scappare». La nostra condanna servirebbe dunque ad eliminare ogni ostacolo per poter perseguitare anche i «pesci piccoli». Finora comunque non è che si siano trattenuti più di tanto dal farlo.
II processo serve a costruire la base per bollare la RDT come Stato ingiusto e illegale. Uno Stato governato da «criminali» e «omicidi» del nostro calibro non può che essere illegale e ingiusto. Chi stava in stretto rapporto con questo Stato, chi ne era cittadino cosciente dei propri doveri deve essere marcato con il segno di Caino. Uno Stato contrario al diritto non può esser retto e governato che da «organizzazioni criminali» come il Ministero per la Sicurezza e la SED. Si invocano colpe e condanne collettive in luogo di responsabilità individuali perchè così si può mascherare la mancanza di prove dei crimini attribuiti. Ci sono pastori e parroci della RDT che vengono dati in pasto a una nuova inquisizione, una moderna caccia alle streghe. Milioni di persone vengono così emarginati e banditi dalla società. Molti si vedono ridurre fino all’estremo le possibilità di esistenza. Basta essere registrati come «collaboratori informali» per essere condannati alla morte civile. Il giornalista autore delle denunce riceve elogi e laute ricompense. Delle sue vittime nessuno si cura. Il numero dei suicidi è un tabù. E tutto ciò ad opera di un governo che si vuole cristiano e liberale e con la tolleranza o addirittura l’appoggio di un’opposizione che non merita questo nome più di quanto meriti la qualifica «sociale». Il tutto con il marchio di qualità dello Stato di diritto che si sono auto attribuiti.
Questo processo rivela tutta la sua dimensione politica anche come processo agli antifascisti. Nel momento in cui la marmaglia neonazista impazza impunita per le strade e gli stranieri sono perseguitati e assassinati come a Mölln, ecco che lo stato di diritto mostra tutta la sua forza arrestando gli ebrei che protestano e perseguendo i comunisti. Per far questo non si lamentano carenze di funzionari e di fondi. Sono cose queste che abbiamo già visto in passato.
Questo processo, se ne vogliamo riassumere i contenuti politici, si pone in continuità con la guerra fredda e nega la nuova mentalità. Esso svela il vero carattere politico di questa Repubblica Federale. L’accusa, gli ordini di cattura e la sentenza del tribunale sull’ammissibilità dell’accusa portano l’impronta dello spirito della guerra fredda. Le sentenze si rifanno a precedenti del 1964. Da allora il mondo è cambiato, ma la giustizia tedesca imbastisce processi politici come al tempo di Guglielmo II. Ha superato ormai la momentanea «debolezza» politica liberale che l’aveva colpita dopo il 1968 e adesso ha recuperato la splendida forma anticomunista di un tempo.
Di noi si dice che siamo dei dinosauri incapaci di rinnovarci. Questo processo fa vedere dove stanno in realtà i dinosauri e chi è incapace di rinnovarsi. Verso l’esterno si fa mostra di grande flessibilità. A Gorbaciov viene attribuita la cittadinanza onoraria di Berlino e magnanimamente gli si perdona di aver elogiato i cosiddetti tiratori del muro iscrivendo il proprio nome nel loro registro d’onore. All’interno invece ci si mostra «duri come l’acciaio di Krupp» e il vecchio alleato di Gorbaciov viene messo sotto processo. Gorbaciov e io siamo stati entrambi esponenti del movimento comunista internazionale. E’ noto che su alcuni punti essenziali avevamo opinioni divergenti. In quella fase però io pensavo che gli elementi di divergenza fossero meno rilevanti di quello che avevamo in comune. Il cancelliere federale non mi ha paragonato a Goebbels, come ha fatto con altri, non glielo avrei mai perdonato. Nè per il cancelliere nè per Gorbaciov il processo contro di me costituisce un ostacolo alla loro stretta amicizia. Anche questo è significativo. Le mie considerazioni terminano qui.
Fate dunque quello che non potete fare a meno di fare. »
Erich Honecker. Il più totale disprezzo del diritto internazionale
Dichiarazione di Erich Honecker del giugno 1992 contro la richiesta di estradizione presentata dal governo della RFT alla Russia e al Cile. Honecker infatti,perseguitato già nella RDT all’indomani della sue forzate dimissioni, si era rifugiato a Mosca e poi, dal dicembre 1991, con la definitiva dissoluzione dell’URSS, alla ambasciata del Cile a Mosca (aveva infatti una figlia a cui appoggiarsi in Cile). Il Cile, che in un primo tempo gli aveva concesso l’asilo politico, cedette però alle pressioni della RFT e la Russia di Eltsin nel luglio 1992 lo estradò a Berlino dove fu rinchiuso nel carcere di Moabit. Il testo è tratto da “Movimento per la pace e il socialismo – Agenzia di Informazione”, anno I, n.17, 15 novembre 1992.
La richiesta di estradizione avanzata dalla Repubblica Federale Tedesca nei confronti miei di ex capo di stato della Repubblica Democratica Tedesca, firmatario dell’atto finale di Helsinki, non ha il minimo fondamento nè giuridico nè politico. La richiesta inaccettabile del governo Kohl ai governi della Russia e del Cile ha per scopo di mettere sotto accusa, calpestando il diritto e le leggi, la Repubblica Democratica Tedesca, la sua forma statale e sociale, la sua direzione politica e militare, per denigrare quello che si vuol mostrare come un «regime ingiusto». In quanto capo di stato effettivo dal 1976 al 1989 della RDT, stato sovrano, membro dell’ONU e riconosciuto in tutto il mondo e anche dalla RFT in espliciti trattati non ho nessuna intenzione di lasciare che il governo della RFT tratti me e gli altri membri della direzione politica e militare della RDT da criminali. Come se quel governo fin dal suo accesso al potere nel 1983 non avesse sempre mostrato di tenere buoni rapporti con me e come se non avessi incontrato per due volte il cancelliere a Mosca, su sua richiesta, e come se quello stesso governo non mi avesse ricevuto nel 1987 a Bonn in occasione di una visita molto ufficiale.
E’ assai penoso vedere come certi esponenti politici della RFT con cui ho avuto da presidente del Consiglio di Stato rapporti corretti basati sul rispetto reciproco e alle cui richieste, dopo discussione, ho sempre risposto positivamente, oggi autorizzino e addirittura incoraggino una caccia alle streghe senza pietà e una condanna già pronunciata in anticipo nei miei confronti. Si calpestano nel modo più ignobile il diritto e le leggi e si rifiuta di trattare correttamente i membri del partito e della direzione dello stato della RDT. Non solo, ma quegli stessi politici esercitano pressioni anche su altri stati che non mi hanno negato il loro appoggio affinchè rifiutino di accogliermi. E così chiedono alla Russia di rifiutarmi il visto di uscita, in modo che io non mi possa recare in un paese di mia scelta. Dal settembre del 1991 sono stato esiliato e, nonostante le ripetute richieste, non ho ricevuto il visto di uscita: eppure il governo della Repubblica Democratica di Corea mi aveva fatto pervenire l’invito, per ragioni umanitarie, a stabilirmi in Corea. Un simile comportamento contraddice tutte le convenzioni internazionali, per esempio la convenzione internazionale dell’ONU «sui diritti politici e civili» ratificata nel 1947. Rifiutare a una persona perseguitata per ragioni politiche il diritto di recarsi nel paese di propria scelta è una violazione di tutte le convenzioni internazionali.
Un modo per giustificare le discriminazioni in una nazione divisa
Il ministro della giustizia della RFT, il presidente del suo gruppo parlamentare alla Camera e il ministro degli affari esteri, anche lui dello stesso partito, che hanno sempre potuto viaggiare liberamente nella RDT per visitare le loro famiglie a Dresda e Halle, si affannano ora a sbraitare che «non si possono impiccare i pesci piccoli e lasciar liberi i grossi». Ma in base a quale legge? Quale legge imporrebbe loro di «impiccare i pesci piccoli», cioè i soldati dell’esercito nazionale del popolo? Di perseguire i soldati che presidiavano i confini e avevano prestato giuramento alla loro patria e non facevano che compiere il loro dovere sorvegliando il confine tra RFT e RDT e tra RDT e Berlino Ovest? Quei soldati dovrebbero essere rimessi subito in libertà e dovrebbe cessare ogni procedimento assolutamente illegale. Del resto i soldati della Bundeswehr e della polizia di frontiera della RFT hanno ricevuto le stesse consegne di sorveglianza e protezione dei confini e le stesse direttive in merito all’uso delle armi da fuoco che erano in vigore nella RDT. La giustizia tedesca non si può neanche trincerare dietro la necessità di «tener conto del giusto risentimento popolare» (sento che la penna mi si rifiuta di scrivere queste parole). E’ una vecchia storia che si è vista assai bene all’opera negli anni 1933-1945. Prima si incita il popolo contro i comunisti, i socialisti, gli ebrei e quanti altri, nutrendolo di menzogne; e poi si parla di «giustificato risentimento popolare». Non si rispetta nè il diritto nè la legge, ma si fanno processi per soddisfare un «sentimento di giustizia». Ma che sentimento di giustizia sarebbe mai questo? La verità è che la condanna della direzione della RDT serve a «giustificare» il fatto che la maggioranza dei cittadini dell’ex RDT sono trattati come tedeschi di serie B e che tutti coloro che erano effettivamente impegnati nella costruzione della RDT si ritrovano puniti sul piano giuridico, politico e sociale. Nell’interesse del popolo tedesco e del suo onore bisogna che questi abusi da inquisizione cessino immediatamente.
“Quando Gorbaciov decise di vendere la RDT…”
Quando Gorbaciov decise di vendere la RDT, l’accordo prevedeva che si tirasse una riga sul passato, per realizzare nel modo più degno e onesto l’unità tedesca. L’unificazione tedesca, come ben si sa, non è merito di Bonn. Ha potuto essere realizzata solo con l’accordo dell’URSS e certo non contro la volontà di quel paese. Non hanno dunque motivo di atteggiarsi a vincitori.
L’unità interna della Germania ancora non è stata fatta. La nazione è sempre profondamente divisa. Quando a Bonn dissi che «il socialismo e il capitalismo non si possono unire più di quanto lo possano l’acqua e il fuoco», era la pura verità, anche se molti non la vollero ascoltare. Per cecità non si è voluto ammettere che popolazioni che per 40 anni hanno vissuto in sistemi sociali così diversi e hanno fatto esperienze così diverse si sono di fatto allontanate l’una dall’altra. Le conseguenze di questo errore di giudizio sono i fallimenti che si possono constatare nei nuovi «Länder» tedeschi.
E la comunità internazionale tace sulle violazioni dei diritti dell’uomo nella Repubblica Federale. Centinaia di migliaia di cittadini che compivano il loro dovere al servizio della RDT sono colpiti dall’interdizione dall’impiego pubblico; milioni di lavoratori sono stati costretti alla disoccupazione; molti ex membri dei partiti e delle organizzazioni sociali, dell’esercito, della polizia, dei servizi di sicurezza sono stati messi al bando della società. E non solo loro, ma anche medici, scienziati, insegnanti, sportivi, artisti. Come sono ipocriti questi politici tedeschi che hanno portato avanti con i loro colleghi della RDT la politica della guerra fredda e della distensione e oggi si arrogano il diritto di essere i soli giudici della politica tedesca degli ultimi dieci anni e, in nome di una pretesa «natura criminale del governo» che non trova nessun appiglio nelle leggi internazionali, incitano la giustizia tedesca a condannare quegli stessi politici con i quali hanno negoziato e collaborato. La giustizia tedesca dovrebbe guardarsi bene dal compiere questo irreparabile errore di voler giudicare mezzo secolo di storia tedesca e internazionale.
Un confine internazionale la cui protezione ha salvato la pace
Il confine tra la RDT e la RFT non era un confine interno tedesco; era un confine riconosciuto dal diritto internazionale. Lo si ritrova nell’atto finale di Helsinki. Non solo, ma la RFT e l’URSS avevano stabilito nel trattato di Mosca del 1970 che «il confine tra RDT e RFT era un confine inamovibile in Europa» e senza questa formulazione non ci sarebbero stati nè il trattato di Mosca nè quello di Helsinki.
L’accusa di incitamento all’omicidio avanzata contro di me e contro altri ex mermbri del partito e della direzione dello stato della RDT non è che un modo di mascherare con un procedimento penale una persecuzione politica. E’ una revanche che il «vincitore» esercita sul «vinto» indifeso. Questa accusa non ha alcun fondamento giuridico nè morale. Essa si basa sulla negazione cosciente degli ultimi sviluppi storici e nega la fine della guerra fredda. E non si limita a questo, ma prosegue la guerra fredda all’interno dei confini tedeschi, dividendo il popolo tedesco in vincitori e vinti, accusati e accusatori. L’accusa lanciata contro di me e contro altre persone, aggiungendosi a una moltitudine di altri atti legali, giuridici e amministrativi, fa della riunificazione tedesca un atto di colonizzazione del territorio della RDT da parte della RFT.
Come presidente del Consiglio di Stato della RDT (dal 1976) e del Consiglio Nazionale della Difesa, nè io nè alcuno dei membri di questi organismi abbiamo mai incitato Hans Albrecht, Heinz Kessler, Willi Stoph e Fritz Strelitz o chiunque altro a commettere un omicidio. Non c’era l’ordine di sparare. La mia attività nel Consiglio della Difesa nazionale era un’attività legale, come avviene nelle istituzioni simili di tutti gli stati secondo i principi di diritto vigenti in tutti gli stati, compresa la Repubblica Federale.
Le mie attività nella resistenza contro Hitler nelle regioni della Saar, dell’Hessen, Württemberg, Baden, Pfalz, del Reno e della Ruhr e a Berlino, l’esperienza che ho vissuto nella Prinz-Albert-Strasse, nella prigione delle «SS-Leibstandarte Adolf Hitler» a Berlino-Lichterfelde, i dieci anni di carcere duro passati nel penitenziario di Berlino-Plötzensee e a Brandenburg-Görde, il mio impegno ai tempi dei bombardamenti su Berlino: tutte queste esperienze hanno condotto me e il mio partito alla conclusione che mai più una guerra avrebbe dovuto partire dal suolo tedesco. Questa è la linea di condotta che ho seguito in tutti i miei atti.
Vengo accusato perchè in una seduta del Consiglio di Difesa nazionale, il 3 maggio 1974, al punto 4 dell’ordine del giorno, relativo alla «situazione al confine tra RDT e RFT, a Berlino Ovest e alla frontiera marittima», avrei pronunciato le seguenti parole: «Bisogna impegnare tutti i mezzi e impiegare tutti i metodi per impedire le violazioni del confine e respingere le provocazioni di Berlino Ovest; bisogna continuare senza pietà a far uso delle armi da fuoco e lodare i compagni che le usano». Questa accusa non corrisponde nè alla forma nè alla sostanza dei fatti.
Le decisioni, conclusioni, missioni, istruzioni, direttive, ecc. che emanavano dal Consiglio di Difesa nazionale venivano notificate in protocolli ufficiali. Ciò vale anche per il protocollo, da me ratificato, della 45ª sessione del Consiglio tenutasi il 3 maggio 1974. In quel protocollo non c’è alcun elemento che possa confermare l’accusa contro le quattro persone summenzionate.
Gli incidenti mortali dai due lati del confine della RDT possono essere giudicati moralmente, politicamente e giuridicamente solo nel contesto storico in cui sono avvenuti. La costruzione del muro di Berlino fu il risultato degli avvenimenti politici che si erano sviluppati dalla fine della seconda guerra mondiale. Le quattro potenze alleate contro la Germania fascista erano divenute nemiche. La guerra fredda rischiava di trasformarsi in guerra calda. In Germania si costituirono due stati indipendenti, prima la Repubblica Federale e, in seguito, la Repubblica Democratica. E i due stati tedeschi furono incorporati in opposte alleanze militari. Tutto ciò aveva condotto nel 1961 a una situazione in cui c ‘era il pericolo imminente di una guerra nucleare. Franz Joseph Strauss, per esempio, lo spiega nelle sue memorie. Ed è in quella situazione che gli stati del Patto di Varsavia presero la decisione comune di proteggere i confini tra il patto di Varsavia e i paesi della NATO, e in particolare il confine della RDT, ma anche altri, con i mezzi che in seguito furono adottati. Fu certo un fatto spiacevole, che colpì molte famiglie tedesche nei loro rapporti familiari. Ma nessuno può sapere quali sofferenze sarebbero state imposte ai tedeschi e agli europei se quelle decisioni non fossero state prese. Nell’ambito delle funzioni che ricoprivo all’epoca io giudicai quella decisione corretta e ad essa mi associai. Sono dunque disposto ad assumerne la corresponsabilità. Ma non sono disposto a farmi trattare da criminale nè a tacere quando i miei compagni sono trattati da criminali.
Del resto la storia giudicherà se i miei compagni ed io stesso abbiamo corrisposto alle esigenze che l’idea umanista del marxismo impone ai comunisti. Io ho tradotto in pratica questa idea con convinzione e continuerò a farlo in avvenire. La storia però giudicherà anche se il trattamento inflitto oggi ai cittadini della RDT, in particolare agli accusati nel «processo alle guardie del muro» e ai membri del partito, corrisponde alle concezioni che si dicono cristiane e liberali. Da parte mia resto convinto che la sorveglianza della sicurezza dei confini tra il Patto di Varsavia e la NATO ha dato all’Europa 40 anni di pace.
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ALLEGATO: “ Non avevano tutto, ma avevano molto” –
Documento dei Collettivi operai tedeschi, Arbeitskreis, 1993
Il socialismo burocratico di Stato nella Repubblica Democratica Tedesca non era un grande magazzino nel quale i sogni del socialismo, realizzati, erano disposti negli scaffali.
Dal cumulo di macerie che capitale e guerra si erano lasciati dietro era nato uno spazio sociale, nel quale i vizi principali del capitalismo erano stati eliminati: povertà e disoccupazione di massa erano sconosciuti nella RDT.
Qualificazione professionale, istruzione, formazione e sanità erano i pilastri della vita sociale della RDT. Non dipendevano dalla congiuntura e dal mercato. Su molti punti importanti erano state create le condizioni affinché le donne raggiungessero una vita indipendente, alto e basso non distavano di molto.
Quello che nella RFT viene chiamato il “terzo inferiore”, non esisteva nella RDT.
Era stata abrogata la proprietà privata delle aziende: in questo modo nella vita lavorativa entravano in gioco principi diversi dalla produttività e dal profitto.
La denazificazione è stata realizzata in modo conseguente nella scuola e nelle strutture statali, senza naturalmente poter sostituire un intero popolo.
Le condizioni di vita nella RDT hanno deformato di meno gli esseri umani, di quanto la truffa capitalistica abbia deformato i tedeschi occidentali.
“La lotta per l’esistenza non era una frusta che opprime tutto quello che intralcia la vita sociale” (Roth).
“Il poco raggiunto”, come qualcuno sprezzantemente dice, significava che per tutti era ovvio, quello che gli strati poveri della RFT possono solo sognare.
La qualità e il progresso di uno Stato, di una società si dimostrano:
– in quanto poco alto e basso sono distanti l’uno dall’altro
– in quale misura sia stata raggiunta una reale equità nell’assicurazione e nella soddisfazione dei bisogni materiali principali
– in che misura le strutture sociali favoriscono la convivenza ed evitano i contrasti.
Secondo questi metri viene chiesto alle strutture sociali della vita degli esseri umani:
– se nelle strutture sono ancorati la competitività, oppure la solidarietà e la compartecipazione
– se la base dell’economia sono il profitto e lo sfruttamento, oppure il conseguimento dei bisogni vitali
– se il proprio mantenimento brutalizza gli individui ed induce all’uso della violenza oppure se vengono socialmente preferite le capacità degli uomini alla convivenza.
La qualità e il progresso di uno Stato, di una società, si possono misurare
– se sono assicurate le condizioni di partenza per uno sviluppo indipendente delle donne, che favoriscono sempre la repressione di strutture patriarcali
– se la società è indirizzata alla cooperazione degli esseri umani nelle decisioni e nella creazione delle strutture
– se gli esseri umani hanno parità di diritti nella produzione e negli altri settori lavorativi e se tutti vengono considerati partecipanti alla vita lavorativa
– se tutti i membri della società vengono qualificati e in genere istruiti
– se la cultura diventa un arricchimento della vita di tutti: come apertura dei tesori padronali custoditi e deteriorati e come liberazione e sviluppo dell’arte di vivere.
Ogni Stato, ogni società si misura anche secondo le sue relazioni con altri Stati, altre società e non-cittadini:
– sono strutturalmente esclusi lo sfruttamento e l’oppressione di altri paesi?
– il nazionalismo e la propensione alla guerra non hanno posto nelle relazioni estere?
– la società è strutturata in modo tale che nel medio periodo il razzismo verrà scalzato, e che nel breve periodo non avrà più impulso?
PENSIERO BASE E SUA REALIZZAZIONE
Le caratteristiche principali della società della RDT erano la sicurezza sociale degli esseri umani e l’ampia parificazione delle possibilità di vita. Non era la ricerca del profitto, il trarre da ogni cosa il proprio vantaggio, non era il valore del denaro che determinavano le relazioni tra gli uomini, bensì i loro bisogni sociali e culturali. La RDT era anche il tentativo di affermare l’aiuto reciproco quale principio sociale.
Lavoro e organizzazione del lavoro
La disoccupazione, alla quale gli uomini occidentali sono ormai abituati, non esisteva nella RDT. La piena occupazione era la caratteristica principale della garanzia materiale e sociale.
All’interno delle aziende i lavoratori/trici avevano una posizione forte: non potevano essere licenziati. L’obiettivo dell’uguaglianza non veniva sacrificato alla necessità di aumentare la prestazione lavorativa tramite la differenziazione dei salari. La differenza tra chi guadagnava di meno e chi guadagnava bene non raggiungeva nella RDT in nessuna azienda un rapporto maggiore di di 1 a 3 (rispetto all’1 a 25 della RFT). Più del 90% delle donne era professionalmente attivo, come anche il 10% dei pensionati.
Nessuna azienda della RDT si poteva sottrarre a quello che era ovvio, e cioè che gli handicappati partecipassero alla comunità dei lavoratori. Nell’occidente capitalistico certe cose non sono ancora ovvie e l’economia privata come anche il servizio pubblico possono affrancarsi dagli stessi obblighi legali; allo stesso tempo sempre più persone subiscono degli infortuni a causa di un sistema “produttivo” e “con alte prestazioni”.
La produttività del lavoro nella RDT era il 50% di quella della RFT (paragonata alla Gran Bretagna: il 45%).
I metodi per l’aumento della produttività, noti nell’occidente capitalistico, mancavano nella RDT: differenziazione dei salari, alti ritmi di lavoro, aumento della tecnicizzazione, più turni di lavoro. I lavoratori/trici avevano voce in capitolo nella pianificazione aziendale, e l’ultima parola spettava a loro e non alla direzione.
L’orario di lavoro era leggermente più lungo, però si potevano fare le spese ed andare dal medico durante l’orario di lavoro, cosa impensabile nella maggior parte delle aziende occidentali.
La maggior parte dei lavoratori/trici svolgeva lavori prevalentemente manuali con un basso grado di automazione.
Avevano anche un atteggiamento piuttosto scettico riguardo all’introduzione di tecnologie moderne, anche se avrebbe significato la diminuzione del lavoro fisico, ma in compenso sarebbero aumentati altri pesi (maggior concentrazione, maggior capacità di reazione, maggior precisione, più rumore).
Molti rapporti sociali erano organizzati in relazione all’inserimento nell’impresa. Le persone lavoravano per anni nello stesso collettivo. Molti trascorrevano insieme le ferie, i figli frequentavano lo stesso asilo-nido aziendale; il lavoro piaceva, se piaceva il collettivo.
Anche se le condizioni sociali della RDT subivano molte meno limitazioni paragonate all’occidente capitalistico, anche qui c’erano delle persone che non ce la facevano o diventavano dei criminali. Anche nella RDT c’era un sistema giudiziario e carcerario con tutti i suoi orrori. Era però ovvio che i detenuti rilasciati ottenessero nuovamente una casa e un lavoro e potessero partecipare alla vita della comunità, senza che di loro si dovesse inutilmente occupare un esercito di assistenti sociali e di psicologi.
DONNE
“La RDT oggi è naturalmente ancora uno Stato di uomini, però ha una legislazione spiccatamente favorevole alle donne. E questa non la dobbiamo solo ad un atteggiamento solidale dei comunisti uomini, ma soprattutto al lavoro politico e all’iniziativa delle comuniste donne nel partito, nelle organizzazioni e nelle commissioni parità di diritti non servono a nulla alle donne se hanno il doppio degli obblighi. Queste leggi quindi non garantiscono solo diritti, ma portano anche all’insoddisfazione, aumentano la loro insoddisfazione” Irmtraud Morgner (1975).
L’esistenza e la forma di vita delle donne nella RDT non possono essere liquidate con l’unica valutazione femminista che non sarebbe stata raggiunta l’abolizione delle strutture e delle modalità di vita patriarcali e sessiste.
La possibilità di una propria (indipendente dagli uomini) sicurezza esistenziale, così come il sentimento di vita che ne scaturisce e la consapevolezza in quanto donna per la massa delle donne, sono le premesse indispensabili per rompere le strutture patriarcali nella società.
Le donne non elimineranno la loro specifica oppressione se poche predicano la giusta utopia femminista ed altrettanto poche smaniano per una carriera dirigenziale nell’ambito di progetti di valorizzazione della donna, bensì se creano le condizioni per cui tutte le donne possono essere presenti in tutti i settori sociali. Di conseguenza sarà inevitabile l’abrogazione di forme di produzione e di sfruttamento capitalistiche – con dispiacere per alcune femministe.
Nell’ex RDT il 92% delle donne era professionalmente attivo. Ed erano anche maggiormente presenti nelle “professioni maschili” rispetto alla RFT.
Maternità e attività professionale o anche istruzione professionale, studio, formazione erano altamente compatibili. A due anni dalla cosiddetta “libertà”, solo il 3% delle donne della RDT vogliono essere esclusivamente casalinghe. Devono e vogliono lavorare, perché la professione fa parte del loro progetto di vita altrettanto di una qualificazione, della formazione professionale, della maternità, dell’indipendenza materiale.
Dal 1972 ogni donna della RDT aveva il diritto di determinare autonomamente il momento e la sequenza temporale delle nascite. L’aborto era concesso nelle prime 12 settimane della gravidanza. Anche se la legge sull’interruzione della gravidanza era probabilmente l’unica della RDT ad essere stata emanata con il voto contrario della Camera Popolare, si era comunque affermata l’opinione che uno sviluppo socialista della società contrastava con l’obbligo a gravidanze non desiderate.
E’ una consapevolezza elementare delle donne della RDT quella di guadagnarsi da sole da vivere, di non rendersi materialmente dipendenti dai loro mariti. Nella RDT la famiglia piccolo-borghese era rimasta il modello di convivenza. Visto che erano state create la basi materiali per vivere senza il “sostegno della famiglia”, molte donne decisero, con i loro figli, di prendere un’altra strada.
Il cliché diffuso in occidente della donna, una bella, appagata madre, orgogliosa del suo uomo e della piccola famiglia, sempre a casa ma autorealizzata, non trovava spazio nella RDT.
“Le operaie della Braunkohle AG, Lausitz se ne infischiano altamente delle rappresentanti della IG Chimica-Carta-Ceramica, che esprimono il concetto femminile di una donna, il cui uomo guadagna abbastanza da poter pagare un viaggio a Majorca. E che alla fine ha bisogno di accettare solo un lavoro part-time (FR 7.3.93)”.
Anche nella RDT c’erano dei chiari segni dell’esistenza di strutture patriarcali: troppe donne nelle professioni peggio retribuite, doppia oppressione, troppe poche donne in funzioni politiche e amministrative
Però nella lotta contro il patriarcato le donne della RDT erano decisamente più avanti di quanto lo sono adesso unite alle donne della RFT.
In seguito alla colonializzazione patriarcale della RFT, le donne della RDT sono i 2/3 di tutti i disoccupati.
Vengono trattate secondo criteri strettamente sessisti. Sono stati abrogati tutti i diritti e le leggi progressiste della RDT sulla parità, tutte le strutture sociali, le prestazioni assistenziali sono state ridotte al livello della RFT.
Viene limitata la decisione sull’interruzione della gravidanza. Le donne sono le prime ad essere licenziate. Esiste un divieto di professione di fatto per le donne nei “lavori maschili”. Il numero delle donne nei settori qualificati diminuisce costantemente a favore dell’aumento del numero delle donne nelle categorie a salario più basso.
I settori produttivi, come l’industria tessile, nei quali erano impiegate principalmente le donne, sono stati quasi completamente chiusi. Su 350.000 impiegati nell’industria tessile, nel marzo 1992 ne erano rimasti solo 60.000.
La BASF che ha acquistato l’industria chimica di Schwarzenheide e espelle brutalmente le donne dalla produzione. In generale le donne vengono licenziate con maggior facilità.
Sotto l’oppressione dei nuovi padroni, per non cedere e non tornare al focolare, anche per le donne della RDT vale quanto segue: 40% di diminuzione delle nascite nel 1991, 50% nel 1992, un tasso di sterilizzazione enormemente alto e anche in donne molto giovani.
E nonostante ciò: una sicurezza di vita indipendente è ancora un orientamento di vita per le donne della RDT, nonostante le condizioni catastrofiche.
CASE e ABITAZIONI
Dato che tutti lavoravano e c’erano molte abitazioni ad affitti bassi, nella RDT non c’erano senzatetto. Da decenni i canoni di affitto erano fissati dallo Stato e si aggiravano sul 2-3% del reddito medio. I nuovi conglomerati abitativi costruiti dallo Stato nelle vicinanze delle strutture produttive erano particolarmente ambìti per le buone condizioni abitative. C’erano anche tutte le strutture socialmente utili come le scuole, gli asili-nido, i supermercati, gli ambulatori, i ristoranti i centri giovanili ed altre strutture di servizio. Grazie alla vicinanza con il posto di lavoro la strada per andare in fabbrica era più breve e quindi anche meno pericolosa che nella RFT.
Alla fine del 1989 c’erano circa 7 milioni di abitazioni (6,7 milioni di nuclei familiari); di questi 2,1 milioni erano stati costruiti dopo il 1945; 1,3 milioni erano vecchie costruzioni risanate; 3,6 milioni erano state costruite prima del 1939, di queste 2,5 milioni prima del 1918. Questa statistica dimostra che nel settore dell’edilizia è stato fatto moltissimo, ma anche che la metà degli appartamenti era molto vecchio, in parte inabitabile, e quindi bisognoso di ristrutturazione. Nella RDT c’erano le condizioni sociali per migliorare le necessità abitative, nella RFT questa possibilità non esiste.
Nella RFT continua a calare il numero delle case popolari. Le case vecchie vengono trasformate in abitazioni di lusso e scompaiono così dal mercato popolare. Questo ha conseguenze catastrofiche per persone con un reddito basso e per le famiglie con bambini. Gli affitti sono esorbitanti e raggiungono spesso il 40% del reddito. La spazio abitativo è diventato un lusso per chi guadagna bene e per i ricchi. Non è in vista una soluzione del problema e neppure una sua attenuazione.
Istruzione e formazione
Nella RDT l’educazione, l’istruzione e la formazione professionale erano organizzati a livello statale e formavano un tutt’uno. I principi educativi e gli obiettivi educativi si compenetravano fin dagli asili-nido.
Il principio base era rendere possibile ad un numero quanto più ampio possibile di persone l’accesso ad una formazione teorica e pratica. Tutti avevano il diritto e il dovere di conseguire una formazione professionale.
La parità di opportunità era stata realizzata mediante l’accesso gratuito a tutte le istituzioni e l’assistenza pedagogica durante il giorno. Questo consentiva non solo la qualificazione e la possibilità di lavorare per le madri, ma anche eliminava gli svantaggi causati dalla diversa provenienza sociale fino dalla scuola.
Un altro principio era l’apprendimento per tutta la vita, questo significava che ad ogni età le persone della RDT avevano la possibilità di approfondire gli studi.
Dalla metà degli anni ’80 gli asili-nido erano gratuitamente a disposizione di TUTTI i bambini dalle 6 alle 19. Solo per i pranzi era necessario un contributo minimo. L’orario giornaliero era fissato secondo un progetto educativo statale. Responsabili erano gli enti territoriali o, nelle aziende più grandi, le aziende stesse. La scuola era per tutti il politecnico decennale ad indirizzo generale. Quasi tutti gli studenti mangiavano insieme in mensa e partecipavano alla conduzione della scuola: dalla prima alla quarta classe nel dopo-scuola, dalla quinta alla decima classe potevano partecipare a comunità lavorative extra-scolastiche scelte secondo gli interessi personali.
Al politecnico venivano insegnate materie non solo teoriche ma anche pratiche: dalla prima alla quarta classe lavoro meccanico e giardinaggio, dalla quinta alla decima classe disegno tecnico e approccio al modo di produzione socialista.
Il rapporto insegnanti-studenti era stato continuamente migliorato. Agli inizi degli anni ’80 era 1:20 ed alla fine degli anni ’80 avrebbe dovuto essere 1:10.
Per i soggetti handicappati esistevano strutture specializzate con annesse particolari strutture di formazione professionale, dove potevano, compatibilmente con il loro handicap, apprendere una professione.
Dopo la decima classe era disposto il passaggio alle diverse scuole di formazione professionale a seconda del bisogno sociale di operai specializzati, tecnici o scienziati. C’erano tre possibili strade:
– un corso biennale con diploma di operaio specializzato che era seguito dal 90% dei giovani. Il diploma era riconosciuto a livello internazionale come altamente qualificato.
– il proseguimento della scuola superiore per altri due anni portava alla maturità che era la condizione per entrare all’università. Criterio di selezione era innanzitutto la capacità, in seconda linea l’impegno sociale in un’associazione giovanile e in terza linea valeva il principio che l’accesso alla maturità era regolato secondo la struttura sociale della popolazione della regione. Così veniva trasformato in realtà il principio socialista per cui la maggioranza dei posti a scuola erano riservati ai figli della classe operaia. Questa normativa presuppone una forte identificazione politica con un sistema poiché questo significa anche che non tutti i figli delle élite dirigenti accademiche, anche se questi si trovano nelle migliori condizioni, vengono automaticamente ammessi a scuola.
– la terza possibilità era conseguire contemporaneamente in tre anni maturità e diploma di specializzazione.
Il sistema scolastico della RDT era la base per l’alto livello industriale che la RDT aveva raggiunto. Le persone erano compartecipi di un sistema che gli dava un orientamento e un’ampia offerta di possibilità di studio teoriche e pratiche che permettevano di scoprire e sviluppare interessi personali.
Mantenimento base
Accanto ad un’istruzione accurata, un posto di lavoro garantito, una casa a basso costo, i bassi prezzi dei generi alimentari basilari facevano sì che le persone non soffrissero la miseria.
Nonostante questi incontestabili successi, esistevano anche dei problemi: la sicurezza sociale era diventata per molti qualcosa di ovvio. I prezzi dei beni di prima necessità erano mantenuti bassi grazie alle sovvenzioni statali, una buona istruzione e scarse contraddizioni sociali erano dati per scontati. Per contro i beni di consumo erano molto cari o addirittura introvabili, non reggevano al confronto con la diversità di modelli, il design e la qualità occidentali; le persone avevano sì abbastanza soldi, ma non potevano comprare quello che la televisione occidentale prometteva. Il significato che la maggior parte dei cittadini della RDT attribuiva alle possibilità consumistiche è da ricondurre alla continua influenza della televisione occidentale. E’ chiaro che il contatto immediato con uno dei paesi più ricchi del mondo desta sogni consumistici che non potevano coincidere con la realtà della RDT.
D’altro lato il ruolo che il soddisfacimento dei bisogni consumistici aveva per i cittadini della RDT ha anche un altro motivo: la SED credeva che l’identificazione con gli ideali socialisti fosse raggiungibile se la popolazione aveva a disposizione sufficienti possibilità di consumo. La popolazione da anni era abituata ad una condizione che soddisfaceva le prime necessità a condizioni estremamente favorevoli, che assicurava il costante aumento del livello dei consumi e che si caratterizzava per un atteggiamento assistenziale dello Stato nei confronti del cittadino. La passività indotta dalla Stato e l’orientamento consumistico che per molto tempo avevano garantito la stabilità, mostravano i loro limiti. Le possibilità di consumo rimasero – in mancanza di altri punti di orientamento – una misura decisiva per la soddisfazione dei cittadini nel loro Stato.
Contraddizioni
I problemi economici con i quali la società della RDT doveva combattere, mostravano anche contraddizioni tra l’orientamento politico e le necessità economiche.
Le sovvenzioni statali erano il 20% del bilancio dello Stato. Gli affitti, le tariffe per l’energia elettrica e i trasporti, i generi alimentari erano sovvenzionati. L’abolizione delle sovvenzioni avrebbe colpito in modo tangibile grandi settori della popolazione, gli strati a reddito più basso, i pensionati e i single ed avrebbe inasprito le differenze sociali. L’abolizione delle sovvenzioni sarebbe stata economicamente giusta, ma politicamente sbagliata. Il partito manteneva il sistema delle sovvenzioni perché vedeva nel livellamento delle possibilità di vita una caratteristica essenziale del socialismo.
L’aumento della produttività sul lavoro era anche in contraddizione con le conquiste sociali del socialismo. Un lavoro e l’indispensabile per vivere erano garantiti a tutti indipendentemente dal loro rendimento.
Una tutela quasi assoluta dai licenziamenti, un orario di lavoro ridotto, una posizione forte degli operai all’interno delle imprese contrastavano con l’innalzamento degli obiettivi del piano. Non veniva colto il nesso tra la propria prestazione e il progresso della società, per quanto questo venisse propagandato dal Partito e dagli organi dello Stato a favore dell’assunzione di una responsabilità politica verso la società. Gli appelli a tutti i lavoratori, diretti a sostenere che più lavoro significava aumento degli approvvigionamenti, non avevano quasi nessun effetto in quanto tendevano ad un’iniziativa privata controllata dallo Stato, ma osteggiavano sempre un coinvolgimento realmente attivo.
Economia pianificata significava ancora che c’erano pochi prodotti inutili, minori rifiuti, che venivano sprecate meno risorse.
Come Stato industriale la RDT non poteva sottrarsi alla necessità di spingere per il progresso tecnologico; soprattutto nel settore della microelettronica dovettero essere impiegate forze enormi, perché la RDT non poteva avvalersi della possibilità degli scambi di tecnologie (come ad esempio la RFT che cooperava con il Giappone e con gli USA). La RDT era il paese industriale più sviluppato nel blocco dell’est e i suoi partner commerciali si muovevano ad un livello inferiore. Gli esperti dovevano formarsi da sé. I mezzi impiegati massicciamente in questo settore mancavano in altri settori.
La RDT, diversamente dall’occidente capitalistico, non ha potuto contare sulle risorse derivanti dallo sfruttamento del Terzo Mondo.
La RDT produceva in proprio il 60% di tutti i beni industriali prodotti dal mercato mondiale, per continuare a restare indipendente dal mercato mondiale strutturato in modo capitalistico. Questo enorme assortimento di prodotti comprimeva la produttività perché i prodotti potevano essere poco specializzati e potevano essere prodotti solo in serie limitata.
La decisione di produrre quasi tutto in proprio – in un’economia popolare di 17 milioni di persone – così come gli ingenti investimenti nel settore della microelettronica – portarono a delle strettoie nella preparazione dei materiali per il processo produttivo e nell’approvvigionamento di materiali per la popolazione contribuendo all’insoddisfazione e all’indifferenza dei produttori sia nelle aziende che nella vita quotidiana.
La costruzione dell’ordinamento sociale nella RDT era strutturato in modo tale da trovare delle soluzioni sociali per le sacche di povertà ereditate dalla Repubblica di Weimar. Le tematiche poste dal movimento operaio prima del 1933 diventarono il filo conduttore: nessuna disoccupazione, case, servizio sanitario statale, istruzione inferiore e superiore gratuita.
Il gruppo dirigente della RDT tornò dall’Unione Sovietica e mise in pratica quello che aveva imparato prima dell’esilio dalla base del movimento operaio. Ma ritornò anche con una formazione che aveva superato, ignorato oppure sopportato la riduzione stalinista del pensiero comunista.
Anche a partire da questo, la prospettiva di un’attività e di una partecipazione degli uomini nella società in modo polivalente rimaneva seppellita.
Però la RDT non era affatto solo un progetto degli esuli comunisti a Mosca. Dopo il 1945 militarismo, razzismo, fascismo e guerra erano stati messi direttamente in relazione con l’ordinamento sociale, nel quale i baroni dell’acciaio e del carbone (Siemens e IG-Farben) avevano posizioni centrali e di comando.
Le richieste di espropriare il grande capitale e la grande proprietà terriera, di pianificare la produzione e di affermare una giustizia sociale diventavano sempre più forti in ogni settore sociale.
Nelle prime elezioni dei consigli di fabbrica nella zona della Ruhr i candidati del KPD (Partito Comunista Tedesco) ottennero più del 50% dei seggi. Nel settore delle miniere i seggi delle elezioni dei consigli di fabbrica del 1946 vennero assegnati nel seguente modo: KPD: 666; SPD (socialisti): 632; CDU (cristiano-democratici): 240; senza partito: 169.
Nel giugno del 1946, in un referendum in Sassonia, il 77,7% aveva votato per la socializzazione dei monopoli e delle aziende che erano di proprietà di attivisti nazionalsocialisti e criminali di guerra. La stessa richiesta nel dicembre del 1946 nell’Hessen era stata approvata con il 71% dei voti.
Questo fa parte della base storica del tentativo di costruire una società non-capitalistica in suolo tedesco.
Il risentimento a livello emotivo contro la classe dirigente capitalistica tedesca e contro le altre élite tedesche che avevano governato durante due grandi guerre con un’imparagonabile scia di sangue, non era però un movimento socialista politicamente e moralmente qualificato e di ampio respiro.
Il numero di coloro che avrebbero potuto essere il motore della costruzione socialista era basso. Dovevano affrontare anche il compito di conquistare ad una prospettiva socialista che avrebbe cambiato profondamente gli esseri umani quello che fino ad allora era stato il popolo del nazionalsocialismo. Inizi di avvicinamento e una corresponsabilità offensiva delle masse tedesche che hanno trasformato il regime nazista in un problema sociale, hanno respinto sempre di più il seguente modello di scambio di cooperazione: approccio delicato con la maggioranza che si voleva conquistare, gli ex cittadini del Reich, che avevano involontariamente cambiato vita nel 1945 seguendo il nuovo ordine socialista. Quando questa cooperazione è diventata un risarcimento volontario, è stata la migliore cosa che potesse uscire da un passato cattivo. Quando invece non faceva che perpetuare dei semplici meccanismi di adattamento, senza rivestirlo di nuovi contenuti, allora il risultato era contraddittorio: la direzione verso l’estero – irrinunciabile nella Germania del dopo-fascismo – non produceva automaticamente una disponibilità al cambiamento per un nuovo esperimento sociale. Concreti risultati positivi della RDT hanno tolto in parte il terreno ad un rifiuto a priori del socialismo, hanno fornito le basi per un accordo con il nuovo ordine. I dubbi latenti non vennero superati subito completamente. Formarono una base costante per un’erosione interna del socialismo realizzato istituzionalmente.
Le condizioni che facevano da cornice, nelle quali nella RDT erano state costruite le strutture socialiste erano inizialmente condizionate dal fatto che la Germania occidentale doveva pagare i danni di guerra all’Unione Sovietica. Questo non derivava da obiettivi imperialistici, bensì dallo stato di bisogno materiale di uno Stato distrutto dalla guerra. Ancora prima della domanda di quale sia la misura per il “successo” di un’economia e di una società, è un dato di fatto inconfutabile che la società della RDT fosse oberata in modo molto più pesante di quella della RFT con le riparazioni di guerra.
Sulla scia della guerra fredda poi, la RDT doveva fungere da Stato parziale della cintura di sicurezza sovietica. L’assegnazione al campo socialista e la sicurezza diventarono un compito primario.
Infine la RDT diventò uno Stato-fronte nella guerra fredda.
Con il piano Marshall venne introdotto uno sviluppo fortemente industriale per la RFT, che avrebbe dovuto consentire un gioco di distribuzione socialpolitico. Questo sviluppo era altresì inteso come arma stabile contro lo Stato confinante al di là della cortina di ferro.
La RDT è stata obbligata al confronto con un secondo Stato tedesco che presentava una crescita, una tecnologia ed un successo sul mercato mondiale basandosi su una struttura industriale immensamente più ampia e che poteva quindi facilmente conquistare, tramite lo sbandieramento di possibilità di consumo, l’adesione alla schiera dei dominatori internazionali.
Per la RDT non valevano altri confronti, come ad esempio con la capitalistica Irlanda, che aveva ed ha una struttura industriale simile alla RDT.
Da sempre si può distribuire solo quello che si ha prodotto. Se si paragonasse il modo con cui l’Irlanda e la RDT distribuiscono quello che producono, allora la valutazione sarebbe chiaramente a favore della RDT.
La sottrazione di forza lavoro qualificata era un grave problema per l’economia della RDT. Dopo la costruzione del muro nel 1961 la RFT attingeva sempre più spesso ai cosiddetti “Gastarbeiter” per il suo fabbisogno di forza-lavoro.
ANTIRAZZISMO E ANTIFASCISMO: COMPONENTI DELLA SOCIETA’ DELLA RDT
Razzismo e antisemitismo nella RDT
L’antisemitismo e il razzismo sono componenti dell’ideologia fascista che continuano ad esistere anche dove la morsa fascista è stata distrutta.
Salta agli occhi che la direzione della RDT non ha mai avviato nella società una campagna offensiva contro l’antisemitismo, il razzismo e l’odio verso lo straniero.
In un dibattito sulla storiografia rispetto all’antisemitismo e allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti (portato avanti da numerosi storici della RDT, e pubblicato da Konkret nr. 5 e 9 del 11/92 e 3/93), Kurt Pätzold afferma: “Gli storici della RDT non hanno compiuto uno studio completo che avrebbe mostrato come milioni di persone sono state aizzate contro gli ebrei, oppure, e questo vale per la maggior parte del popolo, erano completamente indifferenti al loro destino o si comportavano in modo passivo per inerzia mentale, o anche perché “almeno in parte lo consideravano giustificato“.
E ancora, sui motivi dell’inesistenza di questo studio:
“Questo dipendeva comunque indirettamente dall’atteggiamento verso le questioni interne della direzione del Partito e dello Stato dell’appena costituita RDT, che si stava formando sugli iniziali cambiamenti socioeconomici e che poi si rafforzò con la Guerra Fredda.
Per la RDT la partecipazione alla costruzione di una società alternativa era la migliore, e unica, forma di risarcimento per la persecuzione nazista e per le sue conseguenze e che la propria biografia dei tempi del nazismo era superata.
La storiografia della RDT si interessava dell’intreccio dei rapporti tra teoria e pratica dell’antisemitismo e gli interessi delle grandi società di capitali e il ruolo della grande borghesia ai diversi livelli della persecuzione degli ebrei iniziando dall’arianizzazione dei membri del consiglio di sorveglianza e della direzione, fino all’arianizzazione delle proprietà ebraiche dalle banche alle imprese industriali ed infine nello stesso processo di annientamento di massa“.
Quanto meno la storiografia e la pubblicistica della RFT hanno accettato i risultati dei gruppi di investigazione e di inchiesta USA che avevano studiato il ruolo delle società di capitali non ebraiche nel business dell’arianizzazione, e quanto più si estendeva l’ignoranza delle affermazioni del Tribunale di Norimberga, e tanto più gli storici della RDT si sentivano in dovere di scoprire nuovi fatti e di fare in modo che vecchi fatti non venissero dimenticati”.
Jürgen Kuczinsky, in uno dei dibattiti pubblicati da Konkret, dice che dal 1950 non ci sarebbe stato nella RDT nessun segno concreto di antisemitismo, e comunque non all’interno della direzione del Partito e dello Stato.
Addossa la responsabilità alla direzione del KPDSU per le aggressioni antisemite nella politica della RDT, delle quali lui stesso è stato una vittima.
Invece il rapporto biografico di Eschwege, che è stato pubblicato dopo la caduta del muro, è in contraddizione con queste affermazioni (Eschwege: “Straniero tra i miei simili”).
Olaf Groehler riassume la situazione e i dubbi aperti come segue:
“La politica interna della RDT era lungi dall’essere antisemita, salvo la vistosa eccezione degli anni dal 1950 al 1953, che era nell’aria fin dal 1948, quando su pressione della SMAD (Amministrazione Militare Sovietica della Germania), vennero sostituiti i funzionari ebrei nella SBZ e vennero decise limitazioni di soggiorno per gli immigrati occidentali ebraici, e dal novembre 1949 ebbero luogo delle verifiche sui compagni, nelle quali si indagava anche sulla provenienza ebraica. Oggi è ancora controversa solamente la questione di quanto forte fosse la dipendenza in questo settore della SBZ/RDT dall’Unione Sovietica di Stalin, quali sbagli sono stati indotti e quali invece sono il frutto di valutazioni proprie” (Konkret, 3/93).
Per chi aveva il potere decisionale politico la protezione delle minoranze e la richiesta della solidarietà internazionale erano una chiara componente del programma sociale; ma a ciò non fecero seguito iniziative sociali indipendenti, che cercassero di combattere il razzismo e l’antisemitismo in ogni radicamento ed espressione.
La RDT non era una paese dai confini aperti, però non si può valutare la componente minima di stranieri/e rispetto alla popolazione totale come l’espressione di un ordinamento statale e sociale razzista. Si deve trarre la conclusione che l’economia strutturata in modo non capitalistico organizzava diversamente il reclutamento della forza lavoro.
La RDT, secondo le idee socialiste, ha tentato di qualificare nella società tutti gli esseri umani allo stesso modo e di garantire lavoro a tutti. Bisognava evitare l’arruolamento di schiavi salariati dall’estero.
Per coprire il fabbisogno di forza lavoro naturalmente anche la RDT ha occupato lavoratori/trici sotto contratto. Però l’assunzione di stranieri/e o la migrazione di forza lavoro tra Stati aveva importanti differenze dall'”occupazione degli schiavi salariati” dell’Europa occidentale.
Gli immigrati nella RDT venivano assunti quasi esclusivamente non individualmente, bensì collettivamente sulla base di Trattati tra i vari Stati. I contratti statali regolavano spesso dettagliatamente le condizioni del trattamento dei lavoratori/trici.
Si possono distinguere le seguenti varianti della forma di trattamento:
– l’utilizzo di forza lavoro straniera collegata ad accordi circa l’istruzione e la specializzazione professionale
– muratori e tecnici su incarico delle loro aziende di provenienza
– pendolari solo per distanze ravvicinate
– lavoratori stagionali nel settore non industriale
– scambio di tecnici e specialisti.
La maggior parte dei lavoratori/trici sotto contratto era giunto negli anni ’80 dal Vietnam, essi erano assunti per quattro o cinque anni nella RDT.
Negli ultimi tempi era sempre più difficile venire incontro alla richiesta di istruzione e di specializzazione. La maggior parte dei vietnamiti era occupato nel settore tessile ed elettronico e questo non corrispondeva necessariamente ai loro interessi di qualificazione, anzi era piuttosto un aspetto di sprezzo o anche semplicemente il pregiudizio razzista che “i piccoli delicati asiatici” avevano “le dita così agili”.
Il salario era lo stesso dei colleghi tedeschi, i dettagli rispetto alle tasse, alle assicurazioni sociali ecc. erano sempre regolati dai contratti statali.
Gli immigrati erano alloggiati principalmente in unità abitative aziendali, vivevano spesso isolati dal resto della popolazione. Gli alloggi erano stretti, spesso controllati e regolamentati da portieri.
L’assistenza agli stranieri/e, sia dal punto di vista organizzativo che sociale, era affidata alle aziende. In ultima analisi il livello di integrazione nella coesistenza dipendeva dall’impegno e dall’organizzazione delle aziende, perché le aziende avevano un’importanza centrale nella struttura sociale della RDT.
Quanto più aumentava la pressione economica nella società della RDT, e quanto più si sentiva la mancanza di merci, tanto più fasce sempre più ampie della popolazione si infervoravano contro “gli stranieri/e”, in particolare contro i Polacchi e i Vietnamiti, che “si compravano tutto”. L’aumento dell’inimicizia verso lo straniero è stato individuato e tematizzato inizialmente da settori della chiesa.
Quando nel 1987/88 nella RDT gruppi violenti di skinheads di destra, hanno iniziato sempre più spesso ad aggredire brutalmente gruppi religiosi, stranieri e minoranze c’è stato un atteggiamento rigido da parte dello Stato contro questa tendenza, ma non una campagna massiccia contro il razzismo.
E’ difficile valutare quanto abbiano contribuito le innumerevoli attività e progetti di solidarietà internazionale ad un radicamento di un orientamento non razzista, cioè allo smantellamento del modello razzista che derivava da un passato lungo secoli.
Già nella denazificazione, affrontata precocemente, era stata dichiarata guerra ad importanti pilastri del razzismo e del fascismo.
La denazificazione aveva vari aspetti e varie tappe.
Fino al 1948 erano state licenziate più di mezzo milione di persone dall’amministrazione della scuola, della giustizia, dell’economia e da tutti gli altri settori pubblici.
In via di principio non era consentito né all’università, né agli asili nido di assumere ex membri del Partito Nazionalsocialista (NSDAP) oppure membri dirigenti delle sue diramazioni.
Per garantire la funzionalità delle strutture pubbliche si dispose in seguito che in nessuna scuola il numero dei maestri che erano appartenuti al NSDAP poteva superare il 10%.
Anche se molti nazisti si erano trasferiti in occidente, circa 25.000 criminali nazisti erano stati condannati da Tribunali militari sovietici e da Tribunali della RDT, rispetto ai 14.000 condannati nella RFT (dove invece erano molto più numerosi).
Inoltre il riconoscere l’antifascismo e il contribuire alla costruzione della nuova società venivano considerati come una prova credibile di allontanamento dal nazionalsocialismo, così anche nella RDT non sono mancati gli esempi di funzionari nazisti riciclati che hanno imparato con destrezza ad orientarsi vantaggiosamente negli apparati che si stavano costituendo e nelle professioni dove mancava personale. A ciò si è aggiunto il fatto che non è mai stato sollevato seriamente il problema del massiccio allontanamento dei nazisti dalle istituzioni statali.
La denazificazione aveva a sua volta fatali conseguenze: per occupare gli uffici pubblici con persone affidate, vennero assunti vecchi membri del KPD, togliendoli dalle fabbriche, e vecchi nazisti vennero assunti in prova nella produzione.
Ciò ha a sua volta influenzato negativamente la costruzione delle imprese socialiste.
Antifascismo
A partire dall’espropriazione, dalla punizione e dalla lotta ai personaggi e ai funzionari nazisti, l’antifascismo è stato posto come un valore sociale positivo nella RDT. Era un compito ed un dovere delle istituzioni sociali.
Già nel giugno del 1946 le truppe di occupazione sovietiche avevano espropriato i beni dei criminali nazisti e di guerra per colpire i profitti e le élite dei funzionari del dominio nazista. Vennero vietate le organizzazioni della destra radicale e la loro stampa. Nelle scuole l’antifascismo era uno dei temi centrali.
La storia della resistenza antifascista veniva trasmessa in varie forme: rappresentazioni in tutti i settori sociali, la pubblicazione di numerose biografie ed altri scritti e la costruzione di più di 4000 monumenti e lapidi di commemorazione.
Kurt Pätzold, professore di storia all’Università Humboldt di Berlino, ricorda (Konkret 11/92) che gli intendenti e i registi teatrali, i produttori di film e gli scrittori, per tutta la durata dell’esistenza della RDT, si sentivano obbligati a tematizzare l’educazione antifascista.
Attribuisce soprattutto anche alle loro opere, note anche oltre i confini statali, il fatto che, grazie alla formalizzazione e alla ritualizzazione di un antifascismo di Stato, si fosse formato un atteggiamento ben radicato del “Mai più fascismo” che cercava e trovava espressione.
Che l’educazione antifascista prosperasse tra i giovani è comprovato da studi sulla conoscenza della storia tra i giovani della RDT. L'”antifascismo coerente della RDT” rappresentava per molti giovani una importante fonte di identificazione con il proprio paese. Ad esempio un sondaggio del marzo 1989 ha rilevato che il 61% delle persone considerava l’antifascismo coerente come un motivo di identificazione con la RDT. Questa consapevolezza politica rappresentava per molti una caratteristica fondamentale di identificazione con la società della RDT.
Per questo, parte dell’educazione antifascista è rimasta ancorata nella coscienza delle persone.
A riprova di ciò sta il fatto che un recente sondaggio ha rilevato che molti più cittadini della RDT, rispetto a quelli della RFT (77% contro 61%), condanna la violenza della destra radicale.
Crisi dell’antifascismo: crisi delle strutture della RDT
La formazione del pensiero socialista e dei principi socialisti dovette inizialmente avvenire anche con il metodo della direzione esterna. Quello verso cui si tendeva veniva contrassegnato da semplici valutazioni ‘buono-cattivo’. Queste manovre degli scambi degli anni di passaggio rimasero in vigore. Si formò però anche sempre di più una realtà di due mondi in contrasto tra loro: quello delle comunicazioni ufficiali-dichiarazioni per slogan da un lato, e dall’altro quello della vita reale, delle esperienze personali e delle aspettative.
L’impostazione della società aveva scalzato il sistema dei propri valori e dei propri obiettivi senza i quali non può essere piantato alcun palo contro le false promesse consumistiche del capitalismo e contro la logica del proprio vantaggio personale.
La RDT è crollata nel 1989 anche a causa dell’erosione dei suoi stessi meccanismi di integrazione che avevano permesso l’impostazione della società e le prime forme organizzative che avrebbero creato il nuovo ordine in una situazione in cui ampi settori erano contrari ed esitavano.
Negli anni ’80 la società della RDT aveva perso la capacità di sviluppare nuove soluzioni. L’impostazione originaria della società continuava ad offrire una sicurezza di vita in forme diverse: molti riconoscono solo oggi la portata di questa base fondamentale. Chi era cresciuto nella RDT non riusciva più a trovare in soluzioni della questione sociale risalenti al tempo di Weimar, una risposta soddisfacente alla propria ricerca di un orientamento per la vita individuale e comunitaria. Nel semplice mantenimento di un bastione contro l’imperialismo e contro il capitalismo si perse la coscienza della necessità di produrre una trasformazione sociale del mondo e delle esperienze. Se questa non si verifica allora si formano necessariamente delle controtendenze che sono la reazione al rifiuto della società.
Sia che si tratti dell’idiozia della privatizzazione che è sempre un terreno fertile per l’ideologia piccolo-borghese, sia che si tratti della ripresa di simboli e segnali banditi dalla società. In questo senso il piccolo movimento degli Skinheads che esisteva nella RDT era il precursore della crisi del sistema.
Neppure l’antifascismo della RDT riusciva a bloccare l’erosione della consapevolezza socialista nei giovani. Nella seconda metà degli anni ’80 si evidenziò una distanza sempre maggiore dalla politica della SED, l’aumento della depoliticizzazione e un progressivo avvicinamento alla RFT.
Nella RDT esistevano dei segmenti neonazisti e di estrema destra. Nell’agonia della società della RDT, a partire dalla metà degli anni ’80, uscirono attivamente ed aggressivamente allo scoperto. Mentre fino al 1984/85 il potenziale di estrema destra si espresse quasi esclusivamente nelle sottoculture (nazipunk, skinheads, hooligan), dal 1986 è iniziata una strutturazione politica del movimento. “Studiano” materiali e documenti fascisti e si fanno spedire dall’occidente videogames antisemiti e nazisti.
L’aumento degli episodi di violenza ad opera dei gruppi della destra ha indotto la RDT ad arrestare 400 persone tra il gennaio del 1988 e l’ottobre del 1989.
L’apertura dei confini ha portato ad un’invasione di radicali di destra dalla Germania occidentale. Tutte le organizzazioni della destra occidentale hanno cercato immediatamente di mettere piede nella RDT, di costruire strutture e di attirare i gruppi che già esistevano o gli skinheads nelle loro organizzazioni.
Quando lo slogan “noi siamo il popolo” è stato trasformato nello slogan “noi siamo un popolo”, la destra è riuscita in parte a capeggiare anche le manifestazioni del lunedì. Non pochi di quelli che in seguito all’amnistia erano usciti dalle prigioni della RDT indossavano erano già pronti per saltare nei nuovi tempi e nei nuovi movimenti.
Settori di affluenza della destra alla fine della RDT
Dopo l’annessione era inevitabile una brutale disillusione: il massiccio ritiro dell’orientamento sociale in vigore fino ad allora, l’improvvisa perdita di una prospettiva di vita sicura, la svalutazione degli ambiti di vita che fino ad allora avevano avuto valore, la capitalizzazione selvaggia di tutti i settori di vita portano gli individui, a causa del “bagno acido della concorrenza”, nell’isolamento di una società non solidale.
Le vecchie strutture di regole e di valori sono crollate, si sono perdute la sicurezza e la certezza dei rapporti, la “benedizione” dell’economia di mercato si è dimostrata per molti una truffa, il capitalismo alla fine si è dimostrato essere proprio quello che avevano studiato nella teoria.
La mancanza di orientamento unita ad un declassamento sociale ed economico che costringe di fatto ad una lotta per la sopravvivenza individuale, offre sufficienti strutture psicologiche per accettare la soluzione socialdarwinistica fissata dal capitalismo, alla quale si possono facilmente frammischiare forme di orientamento neofasciste.
Se l’antifascismo era collegato, quale fattore di identificazione con la RDT, con strutture reali, che escludevano una visione del mondo repressiva e piccolo borghese, tutto questo però non è servito, dopo il crollo delle strutture della RDT, da chiaro orientamento della popolazione.
NECESSITÀ E RIVOLUZIONE MANCATA
Nel 1945 le persone che vivevano in Germania si trovavano davanti i 60 milioni di morti della Seconda guerra mondiale, le montagne di cadaveri assassinati dal lavoro, dalla tortura e dal gas. Si trovavano davanti a cumuli di macerie della Germania, dovevano affrontare il freddo e la fame.
Loro stessi erano devastati moralmente, deformati dall’educazione, dalla guerra e dalla propaganda e segnati dalla partecipazione, o comunque dalla mancanza di opposizione, a crimini indicibili.
Se si voleva ricominciare da capo, era la minoranza degli antifascisti che doveva prendere in mano la situazione: mettere in moto processi sociali ed assumere funzioni direttive sociali e politiche.
Nel 1945 era necessaria una dittatura nell’istruzione: il divieto di tutte le organizzazioni e della propaganda nazista e il controllo dell’accesso alle funzioni di istruzione e di educazione era indispensabile.
Il cambiamento nella RDT partì dalla lotta contro le strutture fasciste e contro la propaganda fascista:
– espropriazione
– ridistribuzione
– produzione secondo i canoni marxisti.
Ogni imposizione di strutture sociali tendeva all’affermazione del governo di molti. Questa affermazione può verificarsi, per il progetto di una società socialista, solo tramite il processo di un rivoluzionamento progressivo dei rapporti sociali. Il suo obiettivo è lo sviluppo delle possibilità di co-formazione degli esseri umani nei confronti della propria realtà sociale.
Lo stesso settore dell’imposizione delle nuove regole e della dittatura dell’istruzione deve essere determinata dall’obiettivo: ogni necessità repressiva deve essere accuratamente motivata; le motivazioni devono avere validità anche in futuro ed essere indirizzate alla popolazione come futura co-formazione. Anche l’imposta cooperazione di massa ha bisogno di spiegazioni vere e coraggiose: il parlamentarismo con i brogli elettorali rendono le menzogne e la codardia una componente del sistema politico.
Senza il coraggio della contraddizione, di quello che si vede con i propri occhi, e senza il coraggio della verità non è possibile avviarsi sulla strada dello sviluppo di rapporti socialisti tra gli esseri umani.
L’esperienza e il pericolo della controrivoluzione impongono alla società socialista la massima attenzione. Nella lotta alla controrivoluzione si devono progressivamente consolidare i valori socialisti. Limitarsi alla creazione di rapporti di adesione non prepara il terreno per il progresso socialista.
Quando la scoperta dei covi della controrivoluzione fa in modo che i/le comunisti/e con opinioni differenti finiscano sotto gli ingranaggi della repressione, la normale attenzione verso il pericoloso soffocamento delle necessarie spiegazioni passa attraverso una strada più ampia. Le insurrezioni di Berlino est nel 1953 e quelle del 1956 in Ungheria e in Polonia hanno creato il pretesto per inasprire la repressione anche contro i dissidenti di sinistra. Realmente però il pericolo incombeva da destra e contro questo si sarebbe dovuto mobilizzare tutte le forze di sinistra, dato che l’occidente faceva di tutto per destabilizzare gli Stati socialisti. La creazione di pace ed ordine ovunque dà solo momentaneo respiro, perché in realtà riduce la base dell’ordine sociale.
E’ una verità del percorso socialista che la società socialista non potrà mai concorrere con il capitalismo per quanto riguarda il livello delle possibilità di consumo; tra l’altro perché la società socialista si dà altre priorità e perché indirizza le condizioni della produzione non solo ai risultati, ma ai diritti degli esseri umani in quanto produttori: non può e non deve essere raggiunta la stessa brutalità nello sfruttamento dell’uomo e della natura. Un alto livello di vita non è affatto estraneo al socialismo.
Deve essere profondamente radicata la prospettiva di un percorso socialista con proprie strutture e valori; l’annuncio, alla fine del 27 piano quinquennale, di “superare l’occidente” è stato uno sbaglio che continua a vendicarsi.
Solo una realtà, fondata anche moralmente sul socialismo, può resistere alle promesse e alle tentazioni del meccanismo della concorrenza occidentale di potere ottenere dei vantaggi per sé stessi anche a spese degli altri.
Gli attivisti e i dirigenti della costruzione socialista devono quindi conquistarsi credito negli esseri umani mediante la loro forza di convincimento personale e il loro esempio.
Nella RDT è notevole quello che è stato raggiunto nonostante la mancanza di rivoluzione.
Soprattutto la RDT ha dimostrato che contro le regole dello sfruttamento capitalistico possono essere realizzate effettivamente altre strutture sociali che avevano creato nelle stesse forme distorte della RDT la premessa e la possibilità per una vita umana. Per quanto l’antifascismo della RDT potesse essere ritualizzato, era pur sempre una sicurezza di vita per gli stranieri/e che vivevano nel paese, per gli ebrei, che adesso devono accontentarsi di un antifascismo non imposto legalmente e che nasconde un’unico fatto: una minaccia permanente.
“Naturalmente ho fatto l’esperienza che la RDT era ancora molto distante dalla realizzazione dei propri ideali sociali. Ciononostante rimane per me la parte migliore della Germania, più umana, più sociale, più giusta, più collettiva, più orientata verso gli ideali degli esseri umani che verso la legge dei lupi”
(Inge Viett nella sua lettera di addio al Collettivo operaio di Magdenburg nel 1990 dopo l’arresto).
Che il socialismo sia finito nella RDT, che sia stato annientato il modello delle strutture non capitalistiche, è stata una catastrofe che ha creato le basi per la barbarie dello sfruttamento e dell’imperialismo.
La controrivoluzione ha utilizzato tutto il suo arsenale, eccetto l’intervento militare, per far cadere il socialismo. I processi contro le persone che avevano portato l’ordine sociale nella RDT sono una messa in scena servile che vuole dichiarare il socialismo un crimine e alla lunga distruggere ogni sviluppo antimperialista e antifascista.
Marzo 1993 – Arbeitskreis RDT (Collettivi operai della RDT)
Fonti Aginform, DDRblogs, CUC