Proseguiamo la pubblicazione a episodi del libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi. In questa puntata la Francia si mostra divisa: il presidente fa il gioco degli anglosassoni, mentre il suo rivale gollista quello del Qatar; per difendere la popolazione libica due ministri, collocati molto a destra, si affidano invece all’ex primo ministro libico Baghdadi Mahmoudi. In questo momento cruciale ogni protagonista è costretto, le viscere contratte per la paura, a schierarsi.
LA CADUTA DELLA JAMAHIRIYA ARABA LIBICA
Tornando alla guerra, la Francia è il paese più coinvolto nelle operazioni militari contro la Libia promuovendone un terzo del totale, mentre gli Stati Uniti soltanto un quinto e il Regno Unito un decimo.
Inizialmente gli eserciti alleati sono soltanto coordinati ma, a partire dal 31 marzo 2011, Washington impone il solo comando della NATO. L’esercito francese finisce sotto il controllo dell’ammiraglio statunitense, James G. Stavridis, e dei suoi vice, il generale canadese Charles Bouchard, il generale statunitense Ralph J. Jodice II e il viceammiraglio italiano Rinaldo Veri. Anche altri Stati non membri del Patto atlantico fanno parte della nuova Coalizione “sulla carta”.
Così, della strategia bellica in generale, lo Stato maggiore francese riesce a sapere soltanto quello che gli viene ordinato e ciò che la NATO si degna di rivelargli. Inoltre, le forze francesi coinvolte sono decisamente mal equipaggiate e disomogenee, per cui dipendono moltissimo dalla NATO.
All’inizio della guerra, la Francia prende parte alla carneficina dei 40 mila uomini dell’esercito libico raggruppati nei pressi di Bengasi, credendo forse che si stessero preparando a massacrare la popolazione. Nel corso dei cinque mesi successivi, si limita a bombardare solamente gli obiettivi a lei assegnati. Tuttavia, ha a disposizione alcune truppe di terra incaricate di coordinare i ribelli, e proprio per questo motivo deve arrendersi all’evidenza e accettare i motivi reali del caos del comando iniziale: gli insorti armati sono pochi e provengono principalmente dal Gruppo dei combattenti islamici libici (LIFG), ossia Al Qaida.
- Solo il ministro dell’Interno, Claude Guéant, e il ministro della Difesa, Gérard Longuet, si preoccupano della deriva francese e chiedono in Consiglio dei ministri il ritiro della Francia dalle guerre di Libia e di Siria. Porteranno avanti un negoziato segreto all’insaputa del presidente Nicolas Sarkozy.
Il ministro della Difesa, Gérard Longuet, viene puntualmente informato a proposito delle immense manifestazioni organizzate da Muammar Gheddafi in Tripolitania e nel Fezzan contro la NATO. Così, in privato, confessa al presidente Sarkozy di essere contrario alla guerra in corso [1]. In particolare, riceve il supporto del ministro degli Interni ed ex segretario generale dell’Eliseo, Claude Guéant, che ha una conoscenza molto approfondita della questione. Un terzo uomo, il direttore centrale per la sicurezza nazionale, Bernard Squarcini, li appoggia.
Il 29 marzo Regno Unito e Francia organizzano un incontro a Londra con i loro alleati chiave. Si decide che gli stipendi versati ai membri del CNLT saranno corrisposti con i fondi libici congelati tramite il Libyan Information Exchange Mechanism (LIEM). Tale decisione è una doppia violazione del diritto internazionale, che infatti proibisce d’interferire in un conflitto interno retribuendo gli oppositori – che sarebbero quindi da considerarsi spie – e naturalmente impedisce di sfruttare a proprio vantaggio i fondi congelati.
È solo allora che Nicolas Sarkozy scopre del tesoro di cui dispone la Libia: 150 miliardi di dollari, tra cui 143 tonnellate d’oro e quasi altrettante di argento. Claude Guéant è autorizzato a inviare l’ex direttore della polizia nazionale, il prefetto Édouard Lacroix, a negoziare con Gheddafi il ritiro francese in cambio di una cospicua parte del tesoro.
- Il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, il francese Dominique Strauss-Khan, viene arrestato a New York sull’aereo che avrebbe dovuto condurlo a Berlino, donde doveva poi recarsi a Tripoli. Il procuratore statunitense in seguito lascerà cadere tutte le accuse contro di lui.
La situazione si complica il 14 maggio, con l’arresto a New York del direttore generale del Fondo monetario internazionale, il francese Dominique Strauss-Kahn. Se la neutralizzazione del rivale socialista è una buona notizia per Nicolas Sarkozy, ciò che scopre in tale occasione rafforza il suo desiderio di trarre il massimo profitto dalla guerra contro la Libia. Strauss-Kahn è stato arrestato mentre si dirigeva a Tripoli – passando per Berlino – per incontrare Muammar Gheddafi insieme a un collaboratore di Angela Merkel. Il meeting avrebbe dovuto riguardare gli esperimenti monetari della Libia – per esempio, l’abbandono del dollaro USA e del franco CFA? –, per la redazione di un rapporto da presentare al G8 di Deauville, di lì a pochi giorni. Evidentemente Strauss-Kahn è caduto in una trappola che gli ha teso qualcuno che conosceva bene i suoi precedenti. I suoi avvocati si precipitano a Tel Aviv per chiedere aiuto, ma senza successo. Anche in questo caso, i sostenitori del complesso militare-industriale hanno la meglio sui fautori di valuta “apolide” [2].
Mentre i negoziati segreti franco-libici progrediscono, il sottosegretario di Stato Jeffrey Feltman interviene da Washington ordinando a Parigi la loro immediata sospensione.
Nicolas Sarkozy, David Cameron e l’emiro al-Thani istituiscono una nuova banca centrale libica e una nuova compagnia petrolifera che collaborerà con Total e BP. Al CNLT è concesso di vendere petrolio libico sul mercato internazionale – sotto il controllo del Qatar – e di trattenerne i proventi. Ma il guadagno fa gola e nessuno riesce ad aspettare la fine del conflitto. In una lettera indirizzata all’emiro, il CNLT conferma di destinare il 35% del greggio alla Francia, una quota che corrisponde alla percentuale di bombardamenti francesi rispetto a quelli della Coalizione nel suo insieme.
Quando la Cirenaica si separa dal resto della Libia e il suo petrolio torna a essere utilizzato, sul campo di battaglia non accade più nulla di significativo. La gente di Bengasi, avendo riconquistato l’indipendenza, non s’interessa più al futuro della Tripolitania e del Fezzan.
Nei cinque mesi seguenti si recano in Libia svariate personalità francesi, in particolare gli avvocati Roland Dumas e Jacques Vergès, che propongono ai libici di difendere i loro interessi e far sì che venga rimosso il congelamento illecito di beni per 400 milioni di euro in Francia. Chiedono un compenso proporzionale alle cifre in gioco e lasciano Tripoli con 4 milioni di euro in contanti, a titolo di anticipo. In seguito, inviano ad Alain Juppé un fax scritto a mano per chiedergli di precisare a che titolo fosse stato posto il congelamento. La Jamahiriya crolla ad agosto e, di conseguenza, non porteranno a compimento il lavoro per cui sono stati profumatamente pagati.
Un altro avvocato, Marcel Ceccaldi, accetta di difendere Khaled El-Hamedi, figlio di un compagno d’armi di Gheddafi, dopo che la moglie e i figli sono stati presi di mira e uccisi dalla NATO per fare pressioni sul padre [3]. Avvia anche vari procedimenti presso i tribunali internazionali africani per poter poi disporre di fatti giurisprudenziali convenienti davanti alle Nazioni Unite. Dopo la sconfitta, questo vecchio amico di Gérard Longuet diventa consigliere del capo di gabinetto di Gheddafi e negozia il ritiro delle accuse contro di lui in cambio della non pubblicazione delle conversazioni registrate con Ziad Takieddine durante i negoziati e il finanziamento della campagna elettorale di Nicolas Sarkozy. Benché anche Ceccaldi sia un avventuriero, tiene scrupolosamente fede ai suoi impegni, anche dopo la caduta della Jamahiriya.
- Anche Dominique de Villepin è in vendita: con l’amico Alexandre Djouhri tenta d’incontrare Muammar Gheddafi, non in quanto ex primo ministro francese, bensì in nome dell’emiro del Qatar.
L’ex primo ministro, Dominique de Villepin, si reca a Djerba (Tunisia) per chiedere udienza a Tripoli. È tornato a fare l’avvocato per rappresentare l’emiro del Qatar ed è accompagnato da un amico del presidente Sarkozy, Alexander Djouhri, che ha già trattato con la Libia. Presenta la proposta di resa in cambio di una via di fuga sicura per Gheddafi e famiglia. Ricevono alcuni emissari giunti per indagare sul significato di tale iniziativa, ma alla fine non vengono autorizzati a entrare in Libia.
Personalmente, sono stato invitato dalla figlia della Guida, Aisha Gheddafi, e ho potuto constatare di persona cosa stesse succedendo. Ho avuto la sensazione di essere stato suggestionato da Fidel Castro, che mi aveva riferito con ammirazione di Muammar Gheddafi, perché il “Comandante” non parlava mai senza una precisa ragione. Ho notato che i quartieri di Tripoli, che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite aveva comunicato essere stati rasi al suolo dagli aerei libici, non erano mai stati bombardati. Ho appurato che il diritto internazionale era a favore della Jamahiriya e ho stilato un programma per ristabilire la verità e salvare il paese a livello diplomatico. Il capo dei servizi segreti, Abdullah Senussi, era però convinto che fossi una spia. Così mi hanno fatto aspettare per avere il tempo di controllare il mio curriculum. La Francia, a quel punto, ha inviato una pseudo-delegazione di supporto alla Libia, formata da “militanti” agli ordini dell’intelligence francese. Hanno redatto un dossier sulla mia opposizione all’accordo concluso tra Libia e amministrazione Bush, dichiarazioni forti che non ho mai tenuto nascoste e che avevano spinto Aisha Gheddafi a convocarmi nel paese per poter appurare i fatti di persona. Questo approccio ha ottenuto il risultato opposto rispetto a quello atteso: mentre il ministro degli Esteri Musa Kusa disertava e si univa agli inglesi, Muammar Gheddafi mi faceva entrare nel governo incaricandomi di negoziare varie alleanze e di preparare l’assemblea generale dell’ONU del settembre successivo, a New York. Considerando che non volevo essere retribuito per un’azione politica, si decise che, se fossi riuscito a far dichiarare illegale l’intervento della NATO da parte delle Nazioni Unite, sarei diventato direttore della redazione di un canale TV in inglese i cui studi erano stati acquistati a Malta, sotto la direzione di Khaled Bazelya. Ad ogni modo, non avrei avuto che poteri relativi, dato che Muammar Gheddafi avrebbe continuato a negoziare attraverso un altro canale con Israele, Francia e Stati Uniti.
Il governo ha in gran parte disertato. Rimangono solamente sei ministri, tra i quali due decisamente incapaci. Tuttavia, nonostante le apparenze, la loro posizione resta poco chiara. Alcuni, come quello del Petrolio Shukri Ghanem, fingono di abbandonare per riottenere il diritto di circolare in Europa e sbloccare fondi libici. Tutti sospettano di tutti. Sospettato di essere passato tra le fila nemiche, un giorno il ministro Abdul Ati al-Obeidi viene arrestato e torturato da Abdullah Senussi. È un errore. Consapevole di poter ancora salvare la sua gente, il ministro continua a lavorare, eroicamente e zoppicante, senza dire nulla.
Come la sua Guida, la Jamahiriya Araba Libica non decide per una politica di alleanze. Una volta iniziata la guerra, non le rimane amico che qualche Stato africano tra cui il Sudafrica, più Cuba, Siria e Venezuela. La Russia di Dmitrij Medvedev la tradisce provocando la forte reazione dell’ambasciatore Vladimir Shamov – che viene costretto a dimettersi – e del primo ministro Vladimir Putin, che aspetta il suo turno [4]. La Cina, con la quale ha un grande contenzioso nel Corno d’Africa, si rifiuta di prendere posizione. Peggio ancora, trascinati dall’aria che tira, alcuni suoi ex alleati le voltano le spalle, proprio come nel caso del presidente del Senegal Abdoulaye Wade: dopo essere stato a lungo particolarmente caro a Gheddafi, è il primo a condannarlo e a dichiararlo pubblicamente.
Temo che il caso dell’imam Musa al-Sadr, scomparso in Libia o in Italia nel 1978, renda difficile la riconciliazione con gli sciiti. Ma probabilmente non è così. Sembra che, nonostante le dichiarazioni pubbliche dei leader libanesi, la sua vera personalità sia ancora offuscata dal dubbio. Ha fondato Amal, il Movimento dei diseredati – oggi guidato dal miliardario Nabih Berri – e ha affrancato gli sciiti libanesi dalla loro condizione. Ma per alcuni sarebbe stato una spia dello Scià e avrebbe influenzato la scissione di Hezbollah dal suo partito.
Attribuisco grande importanza al ripristino dei legami con l’Iran – che accetta di ricevere una delegazione di altissimo livello – e con la resistenza libanese. Tra i giornalisti inviati a Tripoli, riconosco la fotografa statunitense Tara Todras-Whitehill, della quale sono a conoscenza del ruolo che ha ricoperto per conto del Mossad nell’assassinio di Rafiq Hariri. Così propongo di trattenerla a Tripoli, di informare il Libano e di preparare l’estradizione, come segno di buona volontà. Mi sbaglio: Muammar Gheddafi porta avanti i contatti con gli israeliani e manda uno dei suoi figli a negoziare a Tel Aviv. Abdullah Senussi esita ancora una volta ad arrestarmi. Todras-Whitehill mi tratta con aria di sfida quando ci incontriamo di nuovo.
- La celebre giornalista-fotografa newyorkese Tara Todras-Whitehill sarebbe un agente del Mossad. Secondo l’inchiesta dell’ex ispettore di polizia giudiziaria della Germani dell’Est, Jürgen Cain Kulbel, ha svolto un ruolo centrale nell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafic Hariri.
La Guida sprofonda nell’irrazionalità. Accoglie una beduina che cade in trance: tramite la sua voce, gli angeli gli parlano. In questo modo, lo convince del fatto che tutto andrà per il meglio, che a certo punto gli Stati Uniti si ritireranno, così come hanno spinto per il conflitto: senza spiegazioni. Questa donna e la sua famiglia impongono un greve oscurantismo. Non è possibile alcuna discussione. Quando faccio qualche domanda ingenua, suo padre mi risponde che “accetta di parlare con l’infedele” – in questo caso il sottoscritto – e che “ciò non gli dà fastidio”.
Il 27 giugno l’esercito francese bombarda l’antenna della televisione libica, esattamente nel momento in cui Youssef Shakir – stella del giornalismo ed ex membro di Al Qaida – mi concede la parola.
Credendo di poter coinvolgere l’opinione pubblica come testimone, la Jamahiriya autorizza la stampa straniera a seguire il conflitto. Centinaia di giornalisti da tutto il mondo si precipitano sul luogo per seguire i bombardamenti NATO. Succede che, a volte, questi manchino il bersaglio colpendo un edificio e ignorando l’altro. In ognuno di questi casi, il passaggio dei giornalisti è seguito immediatamente da un secondo attacco. Non riuscendo a identificare chi sia in contatto con la NATO, Muammar Gheddafi decide di raccogliere tutti i giornalisti al Rixos Hotel per poi impedire loro di uscire se non accompagnati da agenti di polizia. Qui vengono anche installati gli uffici del portavoce del governo, Musa Ibrahim, e mentre il suo team lavora a pieno ritmo, di colpo vengono hackerati tutti i computer. I dati scorrono a tutta velocità sugli schermi e le tastiere non rispondono, quindi si deve staccare la corrente per impedire l’azione dei pirati informatici. Anche in questo caso è impossibile sapere quali “giornalisti” abbiano organizzato una simile operazione. A questo punto, Abdullah Senussi decide di utilizzare il software che ha acquistato da una società francese che gli permette di hackerare tutte le e-mail di un account dal momento della sua creazione, entrando nella memoria del server che le conserva. I risultati sono sconvolgenti. Quasi tutti i giornalisti, compresi i francesi ed esclusi i russi, i sudamericani e il corrispondente dell’AFP, sono spie al servizio principalmente della CIA e dell’MI6. Prima di recarsi in Libia si sono scambiati domande di candidatura e ordini di missione via e-mail con le loro centrali.
In generale, le troupe televisive sono composte da tre o quattro persone. Il reporter di guerra che appare sullo schermo è un corrispondente della centrale, che fornisce informazioni riguardanti tutti i teatri d’azione. La maggior parte di loro ha già avuto esperienze nelle guerre in Afghanistan e Iraq prima di arrivare in Libia, ma, malgrado le apparenze, non sono molti. Due tecnici – di solito membri delle forze speciali sotto copertura – provvedono a immagini e audio. Infine, i team statunitensi includono in aggiunta un produttore che in realtà è un agente operativo in missione.
I bombardamenti quotidiani – benché di solito estremamente ben mirati – feriscono o uccidono una quantità consistente di “vittime collaterali”. Inoltre, alcuni obiettivi vengono scelti in modo criminale, per lasciare un segno e costringere le popolazioni alla resa.
Si fa politica in tre alberghi: tutti i leader politici, a eccezione della Guida, sono raggruppati, per la loro sicurezza, al Radisson Blu; gli ospiti stranieri vengono ricevuti dal Corinthia, che accoglierà il governo provvisorio; mentre i giornalisti sono sotto sorveglianza presso l’hotel Rixos, che verrà poi parzialmente distrutto.
- Gérard Longuet, ministro della Difesa, e Alain Juppé, ministro degli Esteri. I due uomini si detestano cordialmente: il primo – ex militante del partito di estrema destra Occident – ha tentato invano di opporsi alla guerra contro la Libia; il secondo – un falso “gollista” – ha organizzato invece l’impegno della Francia.
La NATO organizza un incontro segreto presso il Joint Force Command di Napoli. Per la Francia, il rappresentante è il ministro degli Esteri, Alain Juppé, non il ministro della Difesa Gérard Longuet, che si è opposto alla guerra. Nel 2004 Juppé, ex primo ministro, era stato condannato dalla Corte di appello di Nanterre a 14 mesi con la condizionale e a un anno d’ineleggibilità per peculato. La sentenza, estremamente clemente – in primo grado era stato condannato a 10 anni di ineleggibilità –, l’aveva spinto a lasciare la Francia e a stabilirsi in Québec. In realtà, ha trascorso lunghe settimane a Washington e per ambizione è diventato un neoconservatore. Alla domanda circa la sua presenza alla riunione di Napoli, il gabinetto di Alain Juppé risponde che il ministro non ha potuto recarvisi perché in vacanza.
Per costituire l’Esercito di liberazione nazionale, la Francia sceglie i generali Abdul Fatah Iunis e Khalifa Belqasim Haftar. Il primo, fino a febbraio, è stato uno dei compagni di Gheddafi, quindi non è chiaro come la DGSE sia riuscita a convincerlo, visto che per di più continua a mantenere contatti con Saif al-Islam Gheddafi. Haftar ha tradito il suo paese durante la guerra del Ciad e ha lavorato per la Francia e gli Stati Uniti prima di essere costretto a fuggire e a stabilirsi a Langley (USA), vicino al quartier generale della CIA. Iunis viene arrestato, torturato, mutilato e ucciso alla fine di luglio, il suo corpo parzialmente carbonizzato e sbranato. Benché tutti fingessero di non sapere cosa fosse successo, è stato giustiziato – dopo essere caduto nella trappola tesagli da Mustafa Abdel Gelil – dagli uomini di Abdelhakim Belhadj della Brigata dei martiri del 17 febbraio (Al Qaida).
- L’ex primo ministro libico Baghdadi Mahmoudi conduceva negoziati segreti con il ministro francese della Difesa, Gérard Longuet. Era molto fedele a Muammar Gheddafi ma denunciava il comportamento canagliesco di parecchi figli della Guida. Dopo la guerra sarà condannato a morte e infine liberato a luglio 2019, grazie al suo avvocato Marcel Ceccaldi.
Poco prima dell’inizio della riunione di Napoli, un negoziatore segreto inviato da Nicolas Sarkozy lascia Tripoli su un motoscafo. Si è già presa la decisione di porre fine alla questione: da quel momento sarà impossibile entrare o uscire da Tripoli per via aerea, terrestre e marittima. Nel frattempo, il Parlamento francese autorizza l’attacco alla Libia. All’Assemblea nazionale – dove nulla si sa di quello che avviene dietro le quinte – il presidente del gruppo sarkozista, Christian Jacob, non esita a rendere ipocritamente omaggio ai militari in missione (“Questi soldati, a volte giovanissimi, si impegnano a difendere il nostro paese e i nostri valori, rischiando la vita. Sappiamo ciò che dobbiamo loro e tutta la Francia è consapevole del significato del loro sacrificio”), rivelando così che sono stati inviati esclusivamente nel contesto di una guerra coloniale di conquista, assai distante rispetto ai valori repubblicani. “La bandiera francese sventola a Bengasi e per noi rappresenta una fonte d’immenso orgoglio”, urla tra gli applausi dei colleghi.
Mentre spiego ai miei amici che il Consiglio atlantico non avrebbe mai permesso alla NATO di bypassare il mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU e di bombardare Tripoli, Washington calpesta la costituzione dell’Alleanza. Orchestrando una vera e propria congiura, istituisce un “Comitato di difesa” segreto a Napoli cui vengono invitati a partecipare soltanto gli Stati più vicini (Francia, Italia, Regno Unito, Turchia) e alcuni amici della zona (Arabia Saudita, Israele, Qatar). In tale occasione si definisce congiuntamente come utilizzare le risorse della NATO per mettere il Consiglio atlantico davanti al fatto compiuto.
- L’ex compagno di Martin Luther King, Walter E. Fauntroy, testimonierà di aver personalmente visto soldati regolari francesi e danesi decapitare, a fianco degli jihadisti, prigionieri libici. Tornato negli Stati Uniti sarà accusato di truffa e costretto a fuggire a Dubai. La vicenda si chiuderà qualche anno dopo.
Il resoconto delle decisioni prese durante la riunione precisa e chiarisce tutti i loro obiettivi: tra questi compaio anch’io, che sono l’oggetto della missione per eliminarmi assegnata alle forze speciali francesi. Alcuni mandati di cattura – per una quindicina di libici e il sottoscritto – vengono quindi spiccati a Tripoli all’indomani della sua caduta. Con i miei compagni, però, riesco a mettermi in salvo grazie all’aiuto diplomatico e di alcune persone – tra cui Walter E. Fauntroy, ex membro del Congresso degli Stati Uniti ed ex assistente di Martin Luther King Jr. – insieme a troupe televisive francesi e russe appena arrivate. Una volta tornato nel suo paese, Fauntroy testimonierà di aver visto con i propri occhi soldati francesi e danesi – insieme ad Al Qaida – decapitare prigionieri libici.
La presa di Tripoli è una pioggia di fuoco che dura tre giorni. Vengono uccise circa 40 mila persone, senza distinzione tra militari e civili: una replica del massacro compiuto dalle truppe italiane nel 1911. Tutti i blocchi predisposti presso gli incroci principali della città sono bombardati, mentre gli elicotteri inglesi planano tra le strade per mitragliare indiscriminatamente qualsiasi obiettivo si trovino innanzi. La città non è stata difesa adeguatamente perché il governatore militare è stato corrotto dalla NATO e ha fatto rientrare i soldati appena prima dell’attacco.
Durante la battaglia, Muammar Gheddafi si rifugia in un bunker sotto l’hotel Rixos, dove in precedenza sono stati riuniti i “giornalisti” stranieri la cui presenza impedisce alla Coalizione di ricorrere alle forze aeree. La brigata di Al Qaida, capeggiata dall’irlandese Mahdi al-Harati – agente della CIA che ha preso parte all’operazione turca della Freedom Flotilla per Gaza – circonda il parco sotto il comando delle forze speciali francesi. L’hotel viene difeso da Khamis Gheddafi e i suoi uomini.
Quando la sconfitta è ormai certa, i Gheddafi fuggono a Sirte. Per quanto mi riguarda, incontrerò prima le Guardie della rivoluzione che la Repubblica islamica dell’Iran ha inviato in mio soccorso, poi fuggirò alla volta di Malta a bordo di una piccola nave noleggiata dalla Repubblica ceca per conto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Prima della partenza, io e i miei compagni saremo perquisiti dalla NATO, dai Senussi, dai Fratelli musulmani e da Al Qaida. I passeggeri sono stati selezionati di comune accordo tra NATO – che ha appena cambiato idea sul mio conto – e i gheddafisti, perché i due gruppi consentissero loro di superare il fronte. A bordo mi ritrovo così in compagnia dell’ex amante di Saif al-Islam e con le forze speciali italiane che hanno scatenato la guerra sparando dai tetti contro i manifestanti e la polizia a Bengasi, il 16 febbraio 2011.
Giunta a Sirte, la Guida negozia con alcuni israeliani affinché possa dirigersi verso il Ciad. È una trappola: arrestato dalle forze francesi e da Al Qaida, viene violentato, torturato e ucciso il 20 ottobre.
Ben lungi dal deporre le armi, i “rivoluzionari” libici – ossia Al Qaida – si ritrovano, come in Afghanistan e poi in Jugoslavia, con il vento in poppa.
IL TRASFERIMENTO DEI COMBATTENTI LIBICI IN SIRIA
Ancor prima della caduta definitiva di Tripoli, gli Stati Uniti fanno incontrare presso l’hotel Corinthia i propri agenti del Consiglio nazionale di transizione libico e del comando di Al Qaida. L’edificio è protetto dai servizi inglesi, mentre nella città si continua a combattere e le strade deserte sono disseminate di cadaveri. L’ex numero 3 di Al Qaida, Abdelhakim Belhadj, viene nominato governatore militare della capitale.
Il 26 agosto Alain Juppé dichiara a Le Parisien: “Quando mi chiedono del costo dell’operazione – il Ministero della Difesa parla di un milione di euro al giorno – io faccio notare che è anche un investimento per il futuro. Le risorse del paese sono state confiscate da Gheddafi, che ha accumulato riserve d’oro. Questo denaro deve essere impiegato per lo sviluppo della Libia; una Libia prospera rappresenterà un fattore di equilibrio per la regione”.
Il 1° settembre una conferenza-lampo internazionale ratifica a Parigi il “cambio di regime”: meno di un decimo dei 50 miliardi di dollari libici congelati viene sbloccato, ma non si sa che fine abbiano fatto i restanti 100 miliardi di quel tesoro.
- Nicolas Sarkozy e David Cameron celebrano a Bengazi la vittoria costata 120 mila morti. Ma la vittoria contro chi? Contro Muammar Gheddafi, contro la Tripolitania o contro i libici?
Il 15 settembre Nicolas Sarkozy, Alain Juppé e Bernard-Henri Lévy si recano – insieme a David Cameron – a Bengasi, scortati da centinaia di poliziotti e militari francesi e inglesi. Vengono accolti trionfalmente da 1500 persone “scelte” e prendono possesso del petrolio che si sono conquistati. Con un breve discorso, il presidente Sarkozy annuncia che la Francia si pone al fianco non solo della Libia, ma di “tutti i popoli arabi che vogliono liberarsi dei loro leader”. Il suo pensiero è dunque già rivolto a un attacco in Siria per arraffarne gli enormi giacimenti di gas.
L’emiro al-Thani si frega le mani, mentre la stampa internazionale lo celebra quale difensore della democrazia, proprio lui che pratica la schiavitù nel suo paese (Kafala). La conquista della Libia gli è costata “soltanto” 20 mila tonnellate di armi e 400 milioni di dollari.
- Dopo la caduta della Jamahiriya Araba Libica, la confraternita dei Senussi ripristina la schiavitù.
Si noti che, dopo il rovesciamento della Jamahiriya Araba Libica a Tripoli, gli abitanti di Bengasi fermano i neri che non sono riusciti a fuggire, li mettono in gabbia e poi in mostra come se fossero animali. Riemerge così l’antica tradizione schiavista delle popolazioni nomadi beduine nei confronti dei neri sedentari.
- Dopo aver trasformato Amnesty International in lucrosa impresa che sollecita donazioni, Ian Martin è diventato rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Libia. Vitali Tchourkine, ambasciatore russo al Consiglio di Sicurezza, ha rivelato che Martin ha trasferito combattenti di Al Qaeda prima in Turchia, poi in Libia, facendoli passare per “rifugiati”.
Nel novembre 2011 il rappresentante speciale di Ban Ki-moon ed ex segretario generale di Amnesty International, Ian Martin, organizza il trasferimento via mare verso la Turchia di 1500 jihadisti di Al Qaida [5]. Ufficialmente questi uomini – soli e armati – sono “rifugiati” e rientrano sotto l’autorità di Abdelhakim Belhadj – che non per questo ha lasciato l’incarico a Tripoli – e di Mahdi al-Harati. Sbarcati in Turchia, vengono portati con bus noleggiati al MIT (servizio segreto turco) a Jabal al-Zuya, in Siria: rappresentano la prima unità dell’Esercito siriano libero (ESL) sotto il comando francese. Belhadj tornerà in Libia a Natale, essendo stato riconosciuto in Siria da un giornalista spagnolo di ABC. Mahdi al-Harati creerà quindi un altro gruppo, la Liwa al-Umma (Brigata della Nazione islamica), per addestrare i combattenti siriani. Nel settembre 2012 tale gruppo tornerà a integrare l’Esercito siriano libero.
(Segue…)
Traduzione
Alice Zanzottera
Rachele Marmetti
20 dicembre 2019
La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.