Dopo la firma di 71 senatori depositate in Cassazione per il referendum costituzionale, il Consiglio dei Ministri, lunedì scorso, ha fissato la data per la consultazione. Il 29 marzo i cittadini e le cittadine saranno chiamati ad esprimersi sul taglio dei parlamentari approvato da Camera e Senato lo scorso ottobre, che prevede la riduzione da 630 a 400 per il numero dei deputati e la riduzione da 315 a 200 per il numero dei senatori.
La cosiddetta “riforma Fraccaro“, dal nome dal sottosegretario del M5S che ne era il primo firmatario, cambia anche il rapporto numerico di rappresentanza sia alla Camera dei deputati, sia al Senato, per cui occorrerà ridisegnare i collegi elettorali con un’altra legge.
Taglio parlamentari: la peculiarità del referendum
Il referendum del 29 marzo sarà un referendum confermativo della legge costituzionale che predispone la riduzione del numero dei parlamentari dalla prossima legislatura. In particolare, la legge modifica gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione italiana.
A differenza del referendum abrogativi, quelli cioè che chiedono la cancellazione di una legge approvata, il quesito referendario chiederà di confermare o meno il provvedimento approvato dal Parlamento, perciò se si vota “sì” la legge verrà confermata, se si vota “no” la legge verrà abrogata.
La particolarità di rilievo di questo tipo di referendum, detto anche costituzionale o sospensivo, è che non è necessario raggiungere il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto, ma qualunque sia l’affluenza alle urne, vincerà l’opzione che avrà raccolto più preferenze.
Se dalle urne referendarie dovesse uscire un voto favorevole al taglio dei parlamentari, la legge avrebbe definitiva attuazione e dopo la riforma l’Italia avrebbe un’incidenza di rappresentanza dello 0,7 ogni 100mila abitanti conquistando il “primato” di questa speciale classifica.
Per entrare in vigore, tuttavia, sarà necessario ridisegnare i collegi elettorali con un’apposita legge, modificare le norme che regolano l’elezione del presidente della Repubblica, sciogliere le Camere e indire nuove elezioni.
I rischi per la democrazia
L’approvazione della legge sulla quale gli italiani e le italiane dovranno esprimersi il 29 marzo è stata possibile grazie ai voti del Movimento 5 stelle, che ne ha fatto un proprio cavallo di battaglia, ma anche del Pd, Italia Viva e Leu, per quanto riguarda la maggioranza. Dall’opposizione, invece, sono arrivati i voti di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. In entrambi gli schieramenti sono presenti distinguo personali.
La ragione più utilizzata per giustificare il provvedimento è il risparmio economico, stimato in 58 milioni di euro lordi all’anno: circa 0,95 euro a cittadino all’anno.
Attualmente con 951 eletti (considerati anche i senatori a vita) l’Italia è il secondo Paese dell’Unione Europea con il maggior numero di parlamentari, ma in realtà l’incidenza degli eletti in rapporto alla popolazione è tra le più basse d’Europa.
Visto l’ampio schieramento politico a favore del taglio, la battaglia dei comitati per il no sembra essere tutta in salita. Ma alla forza dei numeri, i detrattori della riforma oppongono la forza della ragione.
“NoiNo” è il nome del coordinamento dei comitati che si oppongono alla riforma. Tra loro sono presenti costituzionalisti, giuristi, semplici cittadini, ma anche una quindicina tra deputati e senatori dissidenti.
“La nostra è la stessa posizione che avevamo in occasione del referendum costituzionale del 2016”, afferma ai nostri microfoni il costituzionalista Enzo Palumbo, anima del comitato “NoiNo”.
Quello che i detrattori della riforma sostengono è che il taglio dei parlamentari sia operato in modo lineare senza alcuna giustificazione.
“I pilastri della democrazia liberale sono due – sottolinea Palumbo – Da un lato la separazione e la limitazione dei poteri, dall’altro l’equilibrio e la contendibilità del potere. Questa riforma non solo riduce la rappresentanza, ma concentra il potere con un’arma a doppio taglio, che al tempo stesso concentra il potere verso l’alto e riduce la rappresentanza e la distribuzione del potere verso il basso”.
La tempistica di indizione del referendum
Il costituzionalista mette in guardia anche sui tempi che sono intercorsi tra il via libera della Cassazione e la giornata in cui effettivamente si voterà. “Sono appena 66 giorni, mentre nel 2016 erano stati 118. Questo significa che i cittadini non avranno il tempo per informarsi e fare una scelta ponderata e anche la partecipazione al voto ne sconterà le conseguenze”.
Palumbo punta il dito contro il governo, dal momento che il Consiglio dei Ministri ha scelto la data all’indomani delle elezioni regionali con una scadenza così ravvicinata di cui beneficerebbe e che darebbe ad una delle sue componenti, il M5S, una soddisfazione nel momento di crisi che sta attraversando.
ASCOLTA L’INTERVISTA AD ENZO PALUMBO: