di Gianni Barbacetto
Drammatica, l’assemblea dei soci Expo di giovedì 28 luglio. Il collegio dei liquidatori, guidato da Alberto Grando, ha preparato un piano di liquidazione da cui risulta che la società ha ancora bisogno di 43 milioni per chiudere tutti i rapporti, i contenziosi e le attività. Ha calcolato che 20 arriveranno in entrate, ne mancano dunque 23, che devono essere versati dai soci, ciascuno in proporzione alle quote possedute: 40 per cento il Mef (ministero dell’economia), 20 per cento ciascuno la Regione Lombardia e il Comune di Milano, 10 ciascuno la Camera di commercio di Milano e la Provincia di Milano (ora diventata Città metropolitana). In soldoni, una decina di milioni dovrebbero essere versati dal governo, 5 circa dalla Regione e altrettanti dal Comune, 3 circa dalla Camera di commercio e altrettanti dalla Provincia.
Ma all’assemblea dei soci è arrivato lo stop: il rappresentante del Mef, Domenico Iannotta, ha rifiutato il piano di liquidazione. Ha detto che il governo non ci sta. Non approva il piano e non ci mette i soldi. Su tutte le furie Gianni Confalonieri, il commissario Expo che rappresenta il governo e che ha rimpiazzato Giuseppe Sala, diventato sindaco di Milano. Incomprensibile il contrasto tra il Mef (dunque il ministro Pier Carlo Padoan), a cui risponde Iannotta, e Confalonieri che rappresenta il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Ora ci sono alcuni giorni per trovare un accordo, altrimenti salta tutto. La società potrebbe portare i libri in tribunale, ma gli effetti peggiori sarebbero quelli d’immagine: crollerebbe la narrazione di Expo grande successo e di Sala ottimo gestore che ha fatto quadrare i conti. Il buco dell’esposizione universale diventerebbe evidente.
Così ora la soluzione che si cerca, più che finanziaria, è politica. Certo è che il buco visibile su cui si litiga, di 23 milioni, è oltretutto solo una parte del buco reale, ben più pesante, anche se abilmente mascherato. Sono infatti almeno 200 i milioni già arrivati ad abbellire i conti di Expo: 80 stanziati dal governo per il futuro polo tecnologico (Human Technopole), che però non saranno spesi in ricerca, bensì serviranno a sistemare i prefabbricati che ospitavano bar, ristoranti e servizi e che in futuro potrebbero accogliere i laboratori di ricerca; 50 milioni già messi a disposizione dalla Regione Lombardia per il cosiddetto progetto Fast Post Expo; altri 75 milioni pagati da Arexpo spa, la società proprietaria dei terreni che è diventata lo sviluppatore immobiliare dell’operazione dopo Expo.
Sono soldi che si aggiungono ai 2,2 miliardi di denaro pubblico spesi per costruire e gestire l’esposizione universale, che alla fine ha avuto ricavi non superiori agli 800 milioni. Azzerato il patrimonio netto, che Sala si era vantato di lasciare positivo al momento della sua uscita, “dimenticando” però i costi di smantellamento e chiusura della società. Con il denaro fresco già arrivato, il “bucone” si è trasformato in “buchino” (23 milioni), sanabile con l’immissione di denaro dei soci. Se però ora il Mef blocca il piano, è tutto da rifare.
Il Fatto quotidiano, 30 luglio 2016