I “CONSIGLI” INTERCETTATI NEL 1990 IMBARAZZANO ANCORA L’EX TESORIERE PSI
di Emiliano Liuzzi
Anche l’ex ministro, così come Amato, vengono chiamati a testimoniare, e nel depositare le motivazioni della sentenza, i tre giudici del collegio del tribunale di Pisa, Alberto Bargagna, Carmelo Solarino e Alberto De Palma, esprimono disappunto. “Suscita perplessità”, scrivono, “il fatto che Vassalli chiami la vedova di Barsacchi a Roma per parlarle, quasi a non voler dire cose compromettenti per telefono”. Espliciti lo sono anche sulla posizione di Amato, oggi giudice della Consulta: “È preoccupato solo di evitare una frittata intendendo per tale un capitombolo complessivo del partito. Ma come mai – si chiedono i giudici – nessuno di questi eminenti politici si è sentito in dovere di verificare tra i documenti giacenti nella segreteria centrale del partito per quali tramiti fossero arrivati a Roma quei 270 milioni riconducibili alla tangente?”. Amato e Vassalli vennero chiamati a testimoniare, dissero che non c’era nessuna congiura, e tornarono a Roma. Nessuna congiura, ma un malaffare da quattro miliardi di lire, poi diventati sette, affidati al costruttore Luigi Rota in cambio di una tangente. Finì con quattro condanne, tra i sette e i due anni, e il riconoscimento dell’estraneità nei confronti del senatore Barsacchi, l’uomo che gli imputati volevano incolpare. Finì con le condanne e iniziò una telefonata di Amato fa alla vedova del senatore: “Troverei giusto che tu entrassi in quel maledetto processo e dicessi che quello che dicono di tuo marito non è vero. Punto. Ma senza un’operazione che va a fare quello non è lui, ma è Caio, quello non è lui ma è Sempronio. Hai capito che intendo dire? Tu dici che tuo marito in questa storia non c’entra. Questo è legittimo”.