di Gianni Barbacetto
Nel paradiso delle toghe, Francesco Saverio Borrelli chiacchiera amabilmente con il collega Walter Mapelli. Il procuratore di Milano scambia qualche idea sul mondo con il magistrato di Monza, poi procuratore a Bergamo. A Borrelli è arrivata la notizia che giù, nella Milano dove per tanti anni ha fatto il magistrato, hanno deciso di assegnargli, il 7 dicembre, l’Ambrogino d’oro alla memoria. La medaglia che premia i milanesi illustri è un riconoscimento che fa piacere agli umani. Borrelli, che non era vanitoso in vita, ora che va a cavallo e ascolta musica nei cieli ha aumentato il suo distacco dalle lusinghe del mondo.
L’Ambrogino d’oro non gli era stato concesso quando era vivo, perché la politica comunale che decide i premi civici con il bilancino della lottizzazione non era riuscita a perdonargli di aver fatto e lasciato fare ai suoi magistrati Mani pulite. Ora che ascolta Wagner nelle praterie celesti, il veto è caduto. Ma con una strana compensazione: che lo stesso premio sia riconosciuto anche a un politico a lungo indagato. La par condicio postuma della giustizia: il procuratore premiato insieme all’imputato, Borrelli accanto a Filippo Penati.
Il procuratore di Milano ne sorride con il magistrato di Monza, che Penati l’ha mandato a processo. Mapelli, al pari del collega milanese, considera gli avvenimenti di cui è stato protagonista con il distacco di chi vede ormai dall’alto le cose del mondo. E risponde con la sua consueta ironia alle domande dell’amico, che gli chiede come andarono davvero le vicende giudiziarie del politico con cui si troverà a dividere il premio civico che ricompensa i cittadini la cui vita è da indicare come esempio per chi resta ad agitarsi laggiù, nelle nebbie sempre più rare di Milano.
Mapelli racconta all’amico, con il suo solito sorriso, la lunga indagine sul “Sistema Sesto”. Nel 2011 Penati schivò l’arresto, soltanto perché il gip non lo concesse, pur riconoscendo “gravi indizi di reato”. Era accusato di aver intascato una supertangente di 5 miliardi e 750 milioni di lire, pagata da un imprenditore come anticipo di una mazzetta complessiva di 20 miliardi di lire, per ottenere di poter costruire sull’area dove sorgevano le acciaierie Falck, a Sesto San Giovanni, dove Penati era sindaco. Il processo per concussione non si fece, perché arrivò la prescrizione. L’ex sindaco aveva giurato che l’avrebbe rifiutata, ma poi si assentò dall’aula proprio nel momento cruciale e la prescrizione scattò. Non sapremo mai, dunque, se le accuse dell’imprenditore a Penati erano false. Nessun giudice ha potuto valutare le prove dell’accusa e gli argomenti della difesa.
Per altre imputazioni minori – relaziona Mapelli a Borrelli – arrivarono assoluzioni. Anche se con sentenze che affermano che il “Sistema Sesto” esisteva, come “luogo di incontro tra gli interessi di imprenditori spregiudicati e le esigenze di finanziamento della politica” e, in particolare, “degli eredi del Pci, che da sempre amministravano Sesto San Giovanni”. Da ultimo, la Corte dei conti nel luglio 2019 ha condannato Penati a risarcire, insieme a undici coimputati, un danno di 44,5 milioni di euro per aver comprato, da presidente della Provincia, un pacchetto di azioni dell’autostrada Milano-Serravalle, facendo realizzare al gruppo Gavio una plusvalenza di 176 milioni.
Penati, che riposa in pace come il suo accusatore Mapelli, non si curerà di quel che succede quaggiù. Se ne cura invece il sindaco che distribuirà gli Ambrogini d’oro, Giuseppe Sala, che si è già dichiarato felice per il premio all’ex sindaco di Sesto San Giovanni: “un giusto risarcimento”. Chissà se il 7 dicembre spiegherà ai milanesi e ai familiari di Borrelli e di Mapelli che cosa quell’Ambrogino d’oro risarcisce.
21 novembre 2019