Giulio Regeni, con molta probabilità è stato vittima inconsapevole di un sistema rodato dai servizi segreti anglosassoni, quello di “scagliare la pietra e, poi, nascondere la mano“, per evitare di essere coinvolti.
Non è la prima e non sarà, purtroppo, l’ultima volta che i servizi segreti anglosassoni si intromettono nelle questioni dei paesi altrui. Infatti, per l’Italia erano, addirittura, disposti a fare un golpe pur di non perdere il predominio ed evitare che il PCI andasse (si badi bene!), con le elezioni, al Governo.
Coloro che hanno infarcito la testa al mondo di essere portatori di civiltà e progresso (come i loro “cugini” statunitensi) non si sono fatti scrupoli di programmare, nel secolo scorso, un golpe in un paese, come l’Italia, che stava cercando, giustamente, la sua autonomia dopo il periodo della Seconda Guerra Mondiale; una guerra, non dimentichiamolo, voluta a tutti i costi da chi aveva forti interessi a farla sorgere e… programmare. E, anche in quel caso, c’era lo zampino degli anglofoni.
Indecenti le parole dell’allora ministro degli Esteri inglese, Ernest Bevin, che dichiarava: “Se le elezioni politiche del prossimo aprile [1948 ndr] dovessero sancire la vittoria del blocco socialcomunista, le nostre misure sarebbero risultate vane. Di conseguenza, potrebbe essere necessaria una nuova guerra mondiale per liberare l’Italia dal comunismo, così come è già avvenuto per affrancarla dal lungo giogo fascista”. O quanto scritto nella quarta parte del rapporto elaborato da B. Crowe, del Foreign Office, del 1976, intitolata: “Intervento sovversivo o militare contro il PCI” – “Questa opzione copre una serie di possibilità: dalle operazioni di basso profilo (come quelle previste dall’IRD) al supporto attivo alle forze democratiche (finanziario o di altro tipo), con l’obiettivo di dirigere l’intervento a sostegno di un colpo di stato incoraggiato dall’esterno.”
Ricordate, anche, “quando nel 1990 Saddam richiese il premio pattuito, cioè l’annessione del Kuwait (inventato da un giovane ufficiale britannico di nome Winston Churchill che nel 1919 tracciò con una matita sulla carta geografica del sudovest irakeno la sagoma del nuovo staterello), ricevette in cambio l’ attacco militare di Desert Storm, la prima guerra del Golfo“?
Anche in quell’occasione fecero pagare la vita a molti innocenti pur di arricchire le loro “aristocratiche” natiche.
Si chieda, ad esempio, al servizio MI6 se era programmata l’uccisione di un italiano per rompere i buoni rapporti con l’Egitto.
Quanto avrebbero guadagnato in termini di instabilità tra i due paesi (Italia-Egitto) con la vita di Regeni?
Non dimentichiamo che gli inglesi fecero cose analoghe per il Canale di Suez e che non si fecero scrupoli ad uccidere tutti coloro che non si allineavano alla loro politica imperiale.
Altro che progressista!
Altro che fare la sceneggiata di quelli che se ne vorrebbero andare dall’Europa quando sappiamo tutti che gli USA non lo permetterebbero mai in quanto non concederebbero mai a questo Continente di decidere in autonomia. Dimostrazione, di ciò, sono le fandonie che si raccontano in terra tedesca (ma non solo) sulla politica economica dei russi e l’espansione della NATO (sorta per contrastare – dicevano – l’URSS che non c’è più da tempo) verso Oriente sta a dimostrare l’infondatezza delle loro tesi.
Una monarchia non potrà mai essere democratica è un ossimoro troppo stridente con la logica ed il buon senso. Per il capitalismo e la monarchia gli abitanti del pianeta sono sudditi e non cittadini.
Infatti, i servizi segreti inglesi hanno monitorato senza ritegno i loro concittadini sostenendo che erano: “…le colonne della democrazia e della libertà” e quando un “parlamentare ha chiesto in diretta tv: «Tanti soldi eppure gli attentati del 7 agosto 2005 non li avevate previsti. Perché?». Risposta dei capi dei servizi segreti : «Nessuno sa leggere la sfera di cristallo». Degni del miglior humour di Ian Fleming.”
MOWA
Regeni forse ucciso per i suoi contatti con una spia inglese infiltrata
In uno dei gruppi di ricerca di Giulio Regeni si nascondeva un infiltrato dei servizi segreti inglesi. È una ragionevole certezza maturata in questi giorni negli ambienti dell’Intelligence italiana. Era finora noto che all’origine delle torture e del delitto del dottorando friuliano ci fosse il sospetto, da parte degli apparati egiziani, che si trattasse di una spia della Gran Bretagna.
Ma adesso emerge un aspetto preoccupante che, se fosse confermato, potrebbe avere importanti conseguenze a livello diplomatico. Per la realizzazione dei suoi report, il ventottenne laureato a Cambridge avrebbe infatti lavorato in contatto – probabilmente a sua insaputa – con un infiltrato degli 007 dell’MI6. Dai servizi italiani non filtra il nome della società al centro dei sospetti. Occorre dunque indagare negli ambienti in cui è maturata la passione di Giulio per il mondo arabo. Nel 2005, vinse una borsa di studio allo United World College America West, in New Mexico, sede principale dell’Armand Hammer United World College of the American West, una scuola biennale orientata allo studio dei conflitti. All’Università di Cambridge è arrivato nel 2011. È riuscito a farsi mandare al Cairo con un incarico per l’Organizzazione per lo sviluppo industriale delle Nazioni Unite. Tra il settembre del 2013 e quello 2014 ha lavorato alla Oxford Analytica. In Egitto era «visiting scholar» all’American University al Cairo.
Giulio è stato dunque strumentalizzato? Una pedina inconsapevole nello scacchiere dello spionaggio internazionale, sull’asse Londra-Il Cairo?
Se così fosse, sarebbero inevitabili ripercussioni sugli equilibri tra Italia e Gran Bretagna. Come non tenere conto del fatto che un nostro connazionale sarebbe stato coinvolto in un’attività di raccolta dati accanto a un infiltrato inglese? Giulio Regeni, in altri termini, potrebbe essere stato stritolato in un vortice di richieste estorte con brutali torture fino alla morte.
«Nostro figlio non era una spia e chi sostiene il contrario offende la sua memoria», ribadiscono Claudio e Paola Regeni. Di sicuro era una spia l’infiltrato britannico che è riuscito a spacciarsi per un ricercatore.
Nella ragnatela di delicate relazioni diplomatiche c’è anche la difficoltà di ottenere il materiale documentario dell’indagine (video, tabulati, verbali e referti medici) dall’Egitto. Qui infatti, a differenza dai Paesi europei, la polizia e il potere giudiziario non hanno autonomia rispetto a quello esecutivo. La cooperazione con i nostri inquirenti viene sbandierata solo a parole, ma non si concretizza in una reale trasmissione degli atti necessari a stabilire la verità. Giovedì prossimo, a un mese esatto dal sequestro, scatta dunque la deadline del pm della procura di Roma Sergio Colaiocco, che coordina il pool di carabinieri del Ros e poliziotti dello Sco in trasferta al Cairo.
Occorre mettere un punto fermo nella scarsa circolazione di indizi e reperti. Ma anche in questa circostanza, è evidente che la partita è destinata a diventare politica. C’è la necessità di capire chi si cela dietro la mano assassina: Polizia o servizi deviati egiziani? Un complotto anti Al Sisi dei Fratelli Musulmani per incrinare il rapporto con il nostro Paese? Una vendetta contro il mondo della ricerca inglese, terreno fertile di infiltrati?
Intanto, alcuni parlamentari di Westminster capitanati dal deputato laburista per il seggio di Cambridge, Daniel Zeichner, hanno iniziato a chiedere al governo l’avvio di un’inchiesta pubblica ufficiale sul delitto.
20/02/2016