Gli stragisti di oggi, che hanno provocato 86 morti e 186 feriti alla manifestazione di pace nella città turca di Ankara (di cui nove morti del Partito del lavoro – EMEP tra cui un membro del Comitato Centrale e altri trenta compagni sono rimasti feriti), avranno pensato bene di imitare quanto successo a piazza della Loggia di Brescia, il 28 maggio 1974… E, viste le incredibili somiglianze, forse, c’è da credere che siano state le stesse menti e strutture ad aver pianificato il triste evento di oggi in Turchia.
Uguale il clima di oggi in Turchia come allora in Italia. Straordinarie le circostanze da sembrare una fotocopia del 1974 in Italia dove si è voluto colpire il dissenso che aumenta ad una politica forcaiola e succube dell’imperialismo occidentale, le imminenti elezioni di un politico prossimo alla sconfitta (in Italia, nel 1974, si svolsero le amministrative e pochi mesi dopo le regionali, dove il PCI iniziava a crescere vistosamente) e, infine, diverse guerre nel mondo che venivano contestate da partiti democratici e comunisti.
La manina della CIA in Italia ha sempre preteso, e spessissimo ottenuto, campo libero d’azione per fermare l’insorgente richiesta di pace e giustizia sociale sostenuta, prevalentemente, dai comunisti. Ora c’è da chiedersi se in Turchia non sia successa la stessa cosa.
Siamo sicuri che Erdogan non sappia proprio nulla vista la sua prostrazione con i servizi segreti USA?
MOWA
Turchia, strage alla manifestazione di pace
Doppia esplosione vicino alla stazione di Ankara: 86 le vittime, oltre 186 i feriti. Erdogan: «Un attacco all’unità del Paese». Il Pkk ordina il cessate il fuoco.
Una strage di innocenti. A tre settimane dalle elezioni politiche in programma il primo novembre, la Turchia si ricopre di sangue.
Due esplosioni, attorno alle 10 del mattino del 10 ottobre, alla stazione ferroviaria di Ankara, capitale del Paese, hanno fatto 86 vittime e oltre 186 i feriti, di cui 28 gravi, poco prima dell’inizio di un corteo a favore della pace nel conflitto con i separatisti del Pkk curdo. Ci sono indizi seri che l’attacco sia stato compiuto da due attentatori suicidi, come ha spiegato il premier turco Ahmet Davutoglu, annunciando anche tre giorni di lutto nazionale.
CORTEO CANCELLATO. La manifestazione era stata convocata da diverse sigle, dai sindacati agli ordini dei medici e degli ingegneri. Il corteo pacifista è stato cancellato e gli organizzatori hanno invitato i partecipanti a tornare a casa e chiesto a quelli che stavano raggiungendo la capitale da altre città di tornare indietro nel timore di ulteriori attacchi.
CESSATE IL FUOCO DEL PKK. Dopo l’attentato, il Pkk ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale del conflitto nel Sud-est del Paese in vista del prossimo appuntamento elettorale. Il partito ha spiegato di aver invitato i suoi membri a non compiere più attacchi per garantire la sicurezza del voto, ma di essere comunque pronto a rispondere nel caso dovesse subirne da parte dell’esercito turco. Proprio ieri, 9 ottobre, il vicepremier di Ankara, Yalcin Akdogan, aveva detto che la Turchia non ha intenzione di interrompere le sue azioni contro i guerriglieri curdi.
IL PREMIER: ATTACCO SUICIDA TERRORISTICO. Il premier ha convocato una riunione urgente sulla sicurezza nella sua residenza ufficiale e ha parlato di un attacco suicida terroristico.
«Stiamo assistendo a un enorme massacro. Un atroce e barbaro attacco è stato compiuto. È una continuazione di quelli di Diyarbakir e Suruc», gli ha fatto eco il leader del partito filo-curdo Hdp, Selahattin Demirta, riferendosi all’attentato a un suo comizio a Diyarbakir alla vigilia del voto di giugno, in cui morirono 2 persone, e a quello del 20 luglio a Suruc, con 33 attivisti morti. Tutti ragazzi impegnati per la pace. Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha poi fatto sentire la sua voce: «Condanniamo con forza questo attacco che prende di mira l’unità. Siamo contro ogni forma di terrorismo».
IL GOVERNO VIETA LA DIVULGAZIONE DELLE IMMAGINI. Il governo ha imposto una censura ai media sulle immagini relative all’attacco terroristico, in particolare è vietato pubblicare immagini e video del momento dell’esplosione e di scene cruente «che possano creare un sentimento di panico» nella popolazione. I media che non rispetteranno il divieto rischiano anche una censura totale, compreso il blocco all’accesso per i siti web. Già si segnalano rallentamenti su internet nel paese.
Le tensioni politiche in vista delle elezioni
L’attentato avviene in un clima bollente, in vista delle elezioni politiche anticipate in Turchia. Dopo la tornata elettorale dello scorso 7 giugno l’Akp, il partito del presidente Erdogan ha perso la maggioranza, fermandosi a 258 deputati su 550 dopo 13 anni di vittorie, mentre il partito curdo Hdp è entrato per la prima volta in parlamento. Data l’impossibilità di formare un governo, Erdogan ha annunciato il ritorno alle urne il primo novembre.
Lo scorso 19 agosto otto soldati sono rimasti uccisi dall’esplosione di una bomba al loro passaggio nella provincia di Siirt, mentre quattro sono quelli morti negli scontri nei pressi della città curda Diyarbakir. Lo stesso giorno due uomini hanno lanciato bombe a mano e poi aperto il fuoco contro gli agenti di guardia al palazzo Dolmabahce a Istanbul, sede di alcuni uffici del primo ministro. La notte precedente, sempre a Istanbul, un 17enne era stato ucciso nel quartiere popolare di Esenler nel corso di violenti scontri tra polizia e sospetti militanti dell’Ydg-h, gruppo armato giovanile del Pkk curdo.
PUGNO DURO CONTRO LA STAMPA DI OPPOSIZIONE. Intanto, la magistratura turca prosegue con il pugno duro nei confronti della stampa di opposizione. Di ieri, 9 ottobre, la notizia che un tribunale di Istanbul ha emesso un mandato d’arresto per Bulent Kenes, direttore dell’edizione inglese del quotidiano turco Zaman con l’accusa di aver insultato il presidente su Twitter. Kenes, era però già finito nel mirino dei magistrati: a giugno era stato condannato a 21 mesi di prigione con pena sospesa per un altro tweet ritenuto offensivo nei confronti di Erdogan.
Zaman fa capo al magnate Fethullah Gulen, considerato il nemico numero uno del presidente turco. A dicembre era stato arrestato anche Hidayet Karaca, a capo di un altro gruppo editoriale di Gulen.
L’editorialista del quotidiano Sozcu, Necati Dogru, è invece stato condannato a 11 mesi e 20 giorni di prigione per aver insultato Erdogan, pena che comunque potrà evitare pagando una sanzione.
Stessa sorte per un altro commentatore dello stesso giornale, Ugur Dundar, stavolta per offese rivolte all’ex ministro dei Trasporti Binali Yildirim. Rischia invece quattro anni e otto mesi Baris Pehlivan, direttore del sito OdaTv, per presunti insulti ai figli di Erdogan, Sumeyye e Bilal.