di Aaron Pettinari e Karim El Sadi – Video
Presentata la relazione del Presidente della Corte d’Appello
Aumentano reati di corruzione, Lo Voi: “A rubare è gente dal colletto bianco e inamidito”
Nonostante gli arresti e le continue azioni di contrasto “Cosa nostra continua ad esercitare il suo diffuso, penetrante e violento controllo sulle attività economiche, imprenditoriali e sociali del territorio”. E’ quanto si legge nella relazione del Presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, pubblicata ieri in vista dell’odierna inaugurazione dell’Anno giudiziario 2020. I numeri sono piuttosto impietosi.
Infatti “se negli anni precedenti il dato statistico aveva mostrato qualche cenno di diminuzione va sottolineato che nell’anno in corso le denunce sono state ben 151 a fronte delle 65 e 69 dei due anni immediatamente precedenti. A livello distrettuale quindi si registra un aumento di ben il 132%”.
“La mafia degli affari, leciti o illeciti, continua a manifestare una forza di penetrazione spesso capillare in quasi tutti i settori che consentono adeguati profitti, anche i più insoliti” e sarebbe “fuorviante con riferimento a Cosa Nostra pensare ad una progressiva trasformazione in un criminale comitato di affari o, peggio, definirla ‘mafia liquida'”.
I dati, ha aggiunto, confermano una “elevata resilienza delle strutture organizzative della Cosa Nostra palermitana che, secondo criteri di comune buon senso, a fronte della costante ed efficace pressione esercitata dalla magistratura e dalla polizia giudiziaria, apparirebbe improbabile, ma che è, invece, una realtà più volte verificata. Sarebbe pertanto un errore gravissimo sottovalutare il potenziale criminale dell’organizzazione, prestando minore attenzione alle attuali pericolose dinamiche associative. Deve continuare il processo di logoramento della forza ‘militare’, territoriale, economica e politica di Cosa Nostra che ha già dato esiti molto positivi e che, mantenendo fermo l’attuale livello dell’attività giudiziaria, potrebbe fornire, già a medio termine, risultati decisivi”.
Le dinamiche di Cosa nostra palermitana nel post Riina
Nella relazione, che stamattina è stata esposta solo nei suoi punti principali, il presidente della Corte d’Appello di Palermo ha riportato quelli che sono stati i movimenti intestini a Cosa nostra riguardo la ricostituzione della commissione provinciale a seguito della scomparsa di Totò Riina. Frasca ha quindi ricordato che tra le famiglie palermitane vi era “quasi l’impazienza” per l’attesa della morte del Capo dei capi, in particolare, “in una certa frangia” dell’organizzazione criminale. Frangia che “deve essere individuata all’interno degli stessi “corleonesi”, anche se non dei fedelissimi, e non solo dei “perdenti”, come sarebbe stato naturale”.
“Da parte di alcuni – si legge nella relazione – si era temuto il verificarsi di gravi fatti di sangue, ma ad oggi si deve escludere, con ragionevole certezza, non solo l’insorgere di una guerra di Mafia, ma anche di episodici e numericamente limitati omicidi di ‘assestamento'”.
Si evidenzi nella relazione che “il 9 maggio del 2018 si è riunita per la prima volta, dopo la cattura di Riina avvenuta nel 1993, la ricostituita commissione provinciale palermitana di Cosa nostra. In quell’occasione – secondo gli inquirenti – la consorteria criminale avrebbe cercato una sua riorganizzazione”. Una mafia, si legge tra le pieghe della relazione, “palermocentrica”, avulsa da contatti con la mafia trapanese, (“Si può ragionevolmente escludere una interferenza del latitante Messina Denaro Matteo nelle dinamiche associative dei mandamenti palermitani”), rafforzata dalla pace siglata tra i “‘corleonesi’, anche i più intransigenti”, e i “‘perdenti’, ormai tornati da qualche tempo sul territorio di origine, che gestiscono indisturbati i loro affari illeciti anche di un certo rilievo”.
Il potere “saldamente nelle mani di Messina Denaro”
Tuttavia il presidente della Corte d’Appello di Palermo ha evidenziato anche che “in provincia di Trapani il potere mafioso resta saldamente nelle mani di Matteo Messina Denaro”. Il superlatitante di Castelvetrano “come è dimostrato da numerosi atti giudiziari oramai irrevocabili, vanta un elevato novero di suoi componenti che hanno ricoperto e ricoprono tutt’ora ruoli di assoluto rilievo all’interno dell’intera provincia mafiosa trapanese”.
“Alcune indagini poi – rimarca Frasca nel documento – hanno svelato intrecci e cointeressenze tra il mondo imprenditoriale più vicino a Cosa nostra trapanese e il mondo della politica, con diverse indagini durante le quali sono state eseguite misure cautelari ed elevate imputazioni nei confronti di ex deputati regionali e nazionali, esponenti politici locali e canditati nelle diverse competizioni elettorali. Consistenti pure le emergenze relative ai rapporti con alcuni dirigenti della burocrazia regionale, coinvolta, in alcune occasioni emerse dalle indagini nei confronti di soggetti contigui a Cosa nostra, in vicende corruttive di notevole rilievo”.
Parlando invece della mafia agrigentina si evidenzia la capacità di “alcune famiglie mafiose agrigentine di infiltrare talune logge massoniche”. Inoltre si sottolinea come “da almeno quattro anni, si è verificata una impressionante serie di fatti di reato quali omicidi e tentati omicidi, nonché il rinvenimento di veri e propri arsenali di armi da cui desumere la progressiva recrudescenza di fatti criminosi di sangue nel territorio”.
Traffico di stupefacenti la prima fonte di reddito per Cosa nostra
Il presidente ha inoltre evidenziato che è il traffico di stupefacenti “la principale fonte di reddito di Cosa Nostra”. Droga che viene acquistata, di norma, “dalle o con le organizzazioni calabresi e campane e spacciata, di regola, mediante organizzazioni dedite a tali attività non direttamente riconducibili a Cosa Nostra che, però, ha solitamente un referente di fiducia nell’ambito di tali organizzazioni”. Una gestione che “frequentemente” avviene “a livello mandamentale”, “proprio per questo – si legge – un significativo sforzo investigativo è stato ed è indirizzato verso il contrasto di tale attività criminale”. La seconda fonte di reddito invece, viene evidenziato, è costituita dalle estorsioni. “In particolare nei periodi di ‘crisi’, immediatamente successivi ad un’intensa attività cautelare, ciascun mandamento mafioso ricorre soprattutto alle estorsioni che sono lo strumento più semplice da adottare o rimodulare in tempi brevi”.
Frasca ha altresì evidenziato anche come nonostante la “meritoria attività” di alcune associazioni antiracket, “affidabili e realmente attive sul territorio, rimane esiguo il numero delle vittime che, di loro iniziativa, denunciano gli autori delle estorsioni. Sono più numerose quelle che confermano il quadro probatorio già di per sé completo” e “non è certamente irrisorio il numero di quelle che, anche di fronte all’evidenza, negano i fatti. Si tratta di un fenomeno – ha aggiunto – che merita attenta riflessione per le sue implicazioni sociali e culturali”.
Prescrizione e durata dei processi
Questa mattina al centro del dibattito vi è poi stato il tema della prescrizione. Un argomento che, ha detto Frasca, “proprio per la sua delicatezza e per la sua rilevanza impone a giuristi, avvocati e magistrati un approccio scevro da pregiudizi ideologici o condizionato da interessi corporativi, per analizzare con coerenza e onestà intellettuale la questione nella sua rilevanza scientifica e nelle sue ricadute pratiche”. “E’ molto diffusa – ha aggiunto – l’insoddisfazione per l’attuale regolamentazione della prescrizione, individuata spesso come strumento che garantisce l’impunità soprattutto per gli imputati cosiddetti eccellenti, contribuendo ad alimentare un diritto penale diseguale”. “Peraltro, occorre riconoscere che la prescrizione allo stato appare l’unica medicina sintomatica per trattare la patologia cronica da cui è affetto il nostro processo: la sua lentezza. – ha spiegato – Ed è proprio questa, quindi, la patologia da affrontare, perché incide in modo determinante sulla efficienza del processo, valore che deve stare a cuore a tutti, avvocati, magistrati, operatori del diritto, senza distinzioni di sorta, perché è un bene posto a garanzia dei diritti dei cittadini”.
Se la corruzione fa danni “come la mafia”
E’ stato invece evidenziato dal Procuratore capo di Palermo, nel suo breve intervento, il problema della crescita dei fenomeni di corruzione e reati contro la pubblica amministrazione.
“La corruzione fa danni come la Mafia – ha detto Lo Voi -, anche se non spara produce danni all’economia e all’intera società civile. C’è troppa gente che ruba e ruba le risorse pubbliche della società, si tratta di colletti non solo bianchi ma bianchi e inamidati. Corrotti e corruttori traggono dalla mafia preziosi insegnamenti, adottano cautele negli incontri per evitare intercettazioni, usano comunicazioni criptiche quando parlano tra loro, hanno incontri riservati avendo cura di lasciare i telefoni, riciclano come i mafiosi e autoriciclano. Comportamenti prima tipici solo dei mafiosi ora nella routine di corrotti e corruttori. Ciò rende le indagini più difficili”.
Secondo il Procuratore capo “le politiche anticorruzione non hanno funzionato o funzionano poco. Così non c’è alcuna deterrenza. Sono cambiate le contropartite, non solo soldi ma lavori o consulenze per amici. Comincio ad avere nostalgia per il vecchio reato di interesse privato in atto d’ufficio. Occorre una presa di coscienza, la corruzione fa danni come la MAFIA. Quindi la sola risposta giudiziaria non basta”.
01 Febbraio 2020