Evgeny Morozov: “L’accordo è un trucco, Apple paga per sembrare la coscienza del web”
L’intervista. Evgeny Morozov insegna a Stanford e da anni critica il mito “dell’innocenza” di Silicon Valley. “Interventi come quello con il fisco italiano non fermeranno Big data”
di FRANCESCA DE BENEDETTI
ROMA. I milioni di dollari che Apple restituirà al fisco italiano sono solo uno zuccherino, «il make up che trucca la realtà: la politica, e noi con lei, è succube del potere dei giganti della Silicon Valley». Evgeny Morozov a 31 anni è già uno dei più autorevoli critici della rete. Insegna a Stanford e colleziona un successo editoriale dopo l’altro: l’ultimo in arrivo in Italia questo mese è “Silicon Valley. I signori del silicio”; il primo è del 2011: “L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet” (entrambi Codice edizioni). Volete continuare a credere al “mito dell’innocenza” dei colossi tech? Non leggete.
Apple ha raggiunto con l’Italia un accordo: pagherà 318 milioni di dollari, invece degli 880 richiesti, per risolvere le sue dispute con il fisco.
Altri Paesi e aziende potranno seguire l’esempio. Un successo?
«Solo a prima vista. All’Italia serviva una “vittima di alto profilo” per mostrare la sua serietà nella lotta all’evasione, un messaggio rincuorante nei giorni dell’affaire banche. Ma la Mela paga allo Stato molto meno di ciò che gli deve: ciò mostra chi ha il potere davvero. Se i governi facessero sul serio, imporrebbero una mega-multa».
Dopo la morte del fondatore di Apple, lei scrisse “Contro Steve Jobs”. Ora c’è Tim Cook: dice di difendere la privacy, restituisce soldi al fisco. Lei ancora non si fida?
«La strategia di Cook è la stessa di Jobs: Apple vuole apparire come “la coscienza” della Silicon Valley, almeno in fatto di privacy. Sa perché? Per Cupertino commerciare in sogni è più profittevole che far guadagni sui dati: ha lo stesso modello di business di un vecchio marchio di lusso. Non è poi tanto nuova questa new economy».
Oltre la retorica c’è di più. Lei lancia l’allarme: stiamo sottovalutando i signori del silicio.
«Google è pronta a occuparsi della nostra salute, Facebook a pagarci la connessione (per poi offrirci solo i servizi che vuole), ma non lo fanno nel nostro interesse. Basano tutto sui nostri dati, conoscono ogni aspetto della nostra vita e non hanno competitor. Perciò questi Golia stanno cominciando a conquistare e privatizzare ogni tipo di servizio: educazione, salute, comunicazione. Svegliamoci, non c’è solo big energy o big pharma. C’è anche big data, aziende che fanno fortuna sui dati e sono in grado di imporre un’agenda comune. Stanno cercando di usurpare l’interesse pubblico in nome del profitto».
Conta poco qualche milione recuperato o una sentenza Ue per proteggere la privacy.
La politica, l’Europa, sono sempre più impotenti?
«Non c’è una vera visione politica, né una vera politica industriale. In Europa pesano le grandi aziende, siano quelle Usa o quelle tedesche preoccupate che le altre gli “rubino il pranzo”. Le Corti tentano di difendere i diritti e la solidarietà, ma intanto il mondo si orienta verso i miti dell’efficienza e della competizione. E perché non cedere ai giganti quando ti fanno credere che “è tutto gratis”? La politica ha rinunciato a regolare i monopoli e dà ormai per scontato che la Silicon Valley sia l’unica detentrice dei servizi d’informazione. Accettandolo come un dogma, apre la strada alla privatizzazione di tutti gli altri servizi. Siamo di fronte al più grande trasferimento di potere della Storia recente. E mentre la Valle si sostituisce a ciò che rimane del Welfare State, nessuno – neppure la sinistra – fa davvero i conti con questo. I grandi esclusi rimangono i cittadini e i loro interessi».
Con il 2016 arriva il suo nuovo libro: ci dica cosa aspettarci dal futuro.
«Seduti sul trono dei nostri dati, i signori del siicio sfrutteranno la loro capacità di raccogliere e usare le informazioni. Colonizzeranno così sempre di più la politica, la società, l’economia: ogni settore li vedrà vittoriosi. E solo un criterio li guiderà: la logica di mercato. Ciò significa lavoro ancora più precario (saremo tutti come i guidatori Uber), responsabilità sempre più sulle spalle del cittadino (a partire dalla salute, con i sensori che ottimizzano tutto). La mia visione è buia: a meno che non ci sia un intervento radicale a tutti i livelli (dati, infrastrutture, algoritmi), fronteggeremo un capitalismo ancor più violento, rapace e distruttivo. In più, la retorica del self empowerment ci farà confondere il nostro oppressore con il nostro successo ».
Nessuna speranza?
«Ne ho solo una: che finalmente i dati vengano considerati come il lavoro e la terra. Dovremo pensarli come qualcosa di cui non possono beneficiare solo le aziende, con cui non possono giocare come gli pare. Al momento però, se anche ci “riprendessimo” i dati, un gigante come Google sarebbe l’unico che ha le risorse per fare di quei dati qualcosa di utile».
4 gennaio 2016