Il golpe civico-militare-imprenditoriale-religioso-mediatico avviato dall’oligarchia, con l’importante aiuto degli Stati Uniti, è stato raggiunto in marzo del 1976, ma si stava preparando molto tempo prima in funzione dei deliri e delle complicità del governo di Isabel Peron e di Josè Lopez Rega in prima istanza ed in seguito la forte connivenza tra la vedova di Peron ed i suoi seguaci (Italo Luder, per esempio) con i settori più reazionari della cuspide militare.
Realmente tutto stava decadendo da quando Peron aveva deciso di interrompere brutalmente con tutti i settori più combattivi del peronismo, la cosiddetta “primavera camporista” che solo è durata due mesi e che ha dato speranze a coloro che durante 17 anni avevano sopportato il carcere, le torture e anche le sparizioni (dobbiamo ricordare il lavoratore metallurgico Felipe Vallese), ciò che è stato chiamato “la prima resistenza”, e posteriormente “la seconda” con data iniziale della gesta dell’ “Aramburazo”.
Il vecchio Generale, abituato a manipolare come un pendolo, da destra a sinistra e viceversa, le passioni ed i pensieri politici del suo Movimento, non ha potuto sopportare che gli disputassero lo spazio del potere e nemmeno che in quell’ “avventura” erano coinvolti quei giovani militanti che erano cresciuti con il “Peron o Morte” sulle labbra, e che però sentivano ora che per essere coerenti era necessario continuare andando avanti verso la concretizzazione di una Patria Socialista.
Ciò che è venuto dopo è più o meno conosciuto: il frustrato rincontro del leader con il suo popolo ad Ezeiza, dove le bande fasciste, incluse nel “peronismo”, hanno assassinato centinaia di lottatori e lottatrici, il posteriore discorso di Peron accusando le vittime invece dei carnefici, la conformazione del governo, sotto il coordinamento di Lopez Rega, però con l’indubitabile appoggio del generale, di quell’embrione criminale che è stata la Tripla A. Però la rottura tra i militanti della tendenza Rivoluzionaria e Peron, sintetizzata in quel doloroso atto della Plaza de Mayo, in cui il Generale ha insultato, non solo quelli che avevano lottato perché lui ritornasse, ma ha anche rotto definitivamente la possibilità di che il peronismo camminasse su una strada rivoluzionaria verso il socialismo.
Peron ha eletto, come tante volte i burocratici sindacali e politici, sapendo che molti di loro erano parte del gruppo di sostegno ed appoggio logistico (oltre a partecipare concretamente negli assassinati di militanti) dei mercenari della Tripla A. Dopo questo suicidio politico, Peron è morto e con lui se ne è andato l’ultimo gran referente di un momento che avrebbe potuto essere glorioso per le classi popolari, però che non lo è stato per limitazioni ideologiche, che ciclicamente si ripetono in alcuni movimenti di caratteristica progressista.
All’ora di rompere con il modello capitalista, nonostante sia avanzato lo stato in cui siano i settori di base legati a queste esperienze di potere, appare sempre un freno (ideologico) e comincia una rapida involuzione.
IL CROLLO DEL PENDOLO
Dopo la morte di Peron, lo scontro tra i peronisti di sinistra e degli elementi del fascismo di un Movimento che li ha tenuti sempre nelle sue file, è diventato insopportabile per la società, che ogni giorno si svegliava contando morti e più morti.
A partire da questo momento, e con tutti questi antecedenti a suo favore, – l’auge, la scomposizione, e la caduta di un peronismo che abbandonava la possibilità di disputare il potere all’oligarchia ed ai suoi patroni imperialisti, è che appare con maggiore chiarezza una foto di come si era avviato nell’ombra l’idea interventista dei settori più “bestiale” delle Forze Armate.
Approfittando della pazzia del governo di Isabel e delle sue conseguenze “caotiche ed anarchiche” (due parolacce che i militari ed i gruppi di destra usavano sempre quando volevano dare uno dei loro golpe) bastava solo aggiungere un po’ più di legna al fuoco affinché la caduta si precipitasse.
Il proclama golpista del generale Videla alla fine del 1975 a Tucuman, dove i combattenti mantenevano con sacrificio tremendo un’esperienza di guerriglia rurale, lasciava chiaro che in breve tempo, quel governo “peronista” sarebbe stato una cosa del passato.
A differenza da altri periodi in cui il militare interveniva nelle situazioni derivate dall’azione del governo, in tutti questi ultimi mesi avevano preferito mantenersi come osservatori di fronte ad un potere politico ed alle sue conseguenze, più al di là della sua attiva e criminale partecipazione nella lotta anti-guerrigliera. Così preparavano il terreno per quello che sarebbe presto diventato una delle dittature militari più orribili del continente.
Questo potere militare sapeva perfettamente che come mai antecedentemente, prima, durante e posteriormente al ritorno di Peron, decine di migliaia di giovani con armi o senza di loro, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università e in qualsiasi parte del paese che lo esigeva, avevano occupato uno spazio di costruzione di un potere popolare, avevano una formazione politica di grande profondità, erano austeri e rifiutavano il consumo capitalista, immaginando per la loro generazione e le future l’idea di vivere per sempre in una nuova società senza sfruttatori né sfruttati.
Non solo vedevano la possibilità di crearsi con un governo di mediano termine, ma erano convinti di che avrebbero conquistato il cielo per assalto. Questa percezione era calata profondamente nel nemico più diretto, rappresentato dai militari che, rinunciando ai principi degli eserciti di San Martin, preferivano adorare un totem involto nella bandiera a stelle e strisce, ed in funzione di ciò e dell’odio viscerale contro tutto quello che significasse peronismo rivoluzionario o marxismo, hanno deciso di intraprendere una nuova Crociata.
UN PROCESSO FATTO ALLA MISURA DI WASHINGTON
Tra marzo del 1976 ed aprile del 1982 le tre forze armate hanno applicato tutti gli insegnamenti della Scuola delle Americhe e la strategia di annichilazione della Scuola Francese utilizzate in Algeri ed in altri paesi dell’Africa. Tutto per imporre un progetto economico ad uso e consumo del FMI, della Banca Mondiale e delle multinazionali più voraci.
Il risultato: un maggiore indebitamento, distruzione dei benefici sociali acquisiti durante anni di lotta, illegalità delle entità sindacali e dei partiti politici di sinistra. Per avviare queste politiche da fame, c’era bisogno di una repressione senza precedenti con sparizioni (30 mila non è una cifra inventata ma un dato oggettivo di quello che è stata questa barbarie), campi di concentramento, incarceramenti di massa e centinaia di migliaia di sfollati involontari.
E in questa situazione letale ci sono state resistenze di tutti i tipi. Da conflitti dei lavoratori che hanno sfidato il potere militare con scioperi fino ad azioni armate di organizzazioni che, nonostante fossero decimate dalla repressione, non smettevano di tentare di ricreare un clima di combattimento contro un nemico di questo genere.
RESISTERE È VINCERE
Era difficile conoscere queste insorgenze organizzate o spontanee, dovuto alla grande censura informativa, però sono esistiti innumerevoli esempi di lotta, che analizzate al presente acquisiscono un’importanza maggiore per essere state avviate nei momenti di repressione durissima.
Erano protagonisti di queste ultime, decine di militanti giovani appartenenti od autonomi dalle strutture formali dei nuclei politico-militari, o dai gruppi di base, che per ragioni di sicurezza o perché semplicemente perdevano i contatti, continuavano la lotta secondo i loro propri criteri di auto difesa.
Bisogna inoltre risaltarlo proprio adesso che la destra tenta di imporre nuovamente la modalità del discorso unico, dal peronismo rivoluzionario e anche da organizzazioni marxiste si avrebbero potute armare strutture di controinformazione, tanto utili nei tempi di buio totale. Per aver formato parte di una di loro, faccio notare il lavoro in questo senso spinto da Rodolfo Walsh e quelli che lo hanno accompagnato nell’esperienza dell’Agenzia di Notizie Clandestine (ANCLA).
Dopo la resa umiliante delle Malvine, la dittatura ha cominciato a preparare il suo ritiro, nella misura in cui i suoi settori popolari, alcuni dei quali erroneamente avevano appoggiato questa avventura convocata da Galtieri, rinnovavano con più forza il loro rifiuto al modello autoritario imposto dalla forza armate.
Difatti, non c’è stata una caduta strepitosa, ma un trasferimento da un modello che appoggiava il terrorismo di Stato ad un altro rappresentato da una serie di governi che appoggiavano la democrazia borghese e rappresentativa.
Tutte queste istanze sono state contestate nelle strade e questo sforzo è stato l’ariete principale affinché arrivasse il Kirchnerismo al governo, ed ha permesso di dare via libera ai processi di lesa umanità, che sono riusciti ad incarcerare innumerevoli genocidi.
QUESTO OSCURO PRESENTE
Ora, a 40 anni da quegli anni di piombo, non c’è dubbio che il panorama locale e regionale sia cambiato superlativamente. Almeno nella recente inaugurata esperienza di Macri cominciano a visualizzarsi atteggiamenti, gesti e iniziative legate a frammenti del discorso autoritario della dittatura.
Il paese vive un’altra dittatura, questa volta “democratica”, legittimata dai voti, nella stessa maniera che quella del 76 lo è stata dalle armi e dal beneplacito dei settori delle frange reazionarie della popolazione.
La società, per lo meno quella parte che ha dato il voto a Macri sta diventando rapidamente fascista, tanto come il lancio dei decreti di involuzione da parte del governo. La vendetta impera in tutti gli ordini del ritorno della destra e si stanno percorrendo strade che andranno a finire con più attacchi contro i diritti umani e contro la volontà di un ampio settore del popolo che vuole difenderli e farli diventare più profondi.
Di fronte a queste situazioni, la resistenza di quelli che si sentano militante da tutta una vita è quasi un obbligo. Nella stessa maniera in cui, nei tempi della dittatura militare, ci sono sempre stati uomini e donne che non sono rimasti zitti di fronte all’ingiustizia, o lavoratori che hanno sfidato licenziamenti e la presenza militare nelle fabbriche, oggi è necessario ricordare i motivi, i sogni ed il coraggio dei nostri 30 mila fratelli e sorelle, che hanno sfidato tutte le avversità e hanno combattuto una lotta per il socialismo fino alle ultime conseguenze.
Carlos Aznarez, giornalista, ricercatore argentino, direttore del giornale Resume Latinoamericano e titolare della Cattedra Bolivariana