Luca Grossi
In tempi di emergenza sanitaria si fanno scorte di viveri, di acqua o di beni di prima necessità ma in America la tendenza è ben diversa. Qui si comprano armi e munizioni fino all’esaurimento, soprattutto negli Stati più colpiti dal Coronavirus: la California, New York e Washington.
Nel primo semestre del 2020, infatti, stando ai dati ufficiali forniti dal National Instant Criminal Background Check System (NICS) dell’FBI, analizzati dal Brookings Institute di Washington, si è verificato un incremento significativo delle vendite di otre tre milioni di armi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Una vera e propria corsa alla paura di fronte a un possibile disfacimento dell’ordine sociale. In molti sembrano avere la percezione che il Paese sia ormai arrivato ad un punto di non ritorno e che “si stia arrivando ad una fine”, come affermato da un compratore fuori da un’armeria.
“La gente è incerta, sono preoccupati per la direzione a lungo temine del nostro Paese”, ha detto Jay Winton che gestisce un negozio di armi di Santa Fe, che in questi giorni ha esaurito tutto quello che aveva in magazzino.
La tensione è arrivata a livelli altissimi e c’è il timore che possa degenerare in uno scontro aperto se emergessero contestazioni sul risultato elettorale di martedì tre novembre. La cosa sconcertante è che, invece di attuare un celere cambiamento di rotta, le autorità del Paese più armato del mondo spingono sul pedale dell’acceleratore. Basta leggere le parole del primogenito dell’attuale Presidente in carica, Donald Trump Jr, con la pubblicazione di un tweet in cui afferma: “Non né hai bisogno finché né hai bisogno”. Poche parole riprese ed elogiate dalla National Rifle Association, la potente lobby che difende a spada tratta gli interessi dei grandi produttori di armi.
Lo stesso Presidente Donald Trump si è sempre speso su certi argomenti. Lo aveva fatto in un discorso dal palco di Dallas, nel 2018, agli aderenti della NRA. “La mia amministrazione e i conservatori al Congresso sono stati eletti per difendere i vostri diritti”, aveva affermato per poi aggiungere che gli attacchi del 13 novembre 2015 a Parigi avrebbero ridotto il numero di morti se le vittime fossero state armate. “Nessuno ha un’arma a Parigi e tutti ricordiamo le 130 persone (uccise) e l’enorme numero di persone orribilmente ferite: sono stati brutalmente uccisi da un piccolo gruppo di terroristi che avevano armi, che con calma li hanno uccisi uno per uno. Vieni qui, boom, vieni qui, boom, vieni qui” diceva, facendo con la mano il gesto di un jihadista che sparava alle vittime. Era la terza volta che Trump parlava di fronte alla potente lobby, che lo ha sempre considerato un alleato, fin dai giorni iniziali della sua campagna elettorale.
Ma non è affatto vero che armando le persone si ottiene una società più sicura e più giusta. Ne è testimone la disperata situazione negli U.S.A dove questa politica ha prodotto negli anni una lunga lista di morti e di tragedie. Come il massacro nell’agosto del 2019 a El Paso quando un uomo armato aprì il fuoco uccidendo 20 persone, oppure l’efferata carneficina avvenuta nella scuola elementare di Sandy Hook nel 2012.
I familiari delle vittime di questi massacri hanno urlato il loro dolore durante questi anni chiedendo che si prendano le adeguate misure, ma ogni volta che si cerca di attuare una legislazione più restrittiva sul possesso di armi da fuoco, politici e lobby pro armi si appellano al Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che dice: “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere armi non potrà essere infranto.”
Gli Stati Uniti sono il Paese che si fregia del titolo di portatore di libertà e dei valori democratici, ma in questi tempi incerti vediamo solo lotte di potere e pericolose manovre interne che non stanno risolvendo i secolari problemi che ha la nazione. Se non verranno risolti la situazione è destinata solo a peggiorare e le armi non salveranno di certo vite umane.