Occorre da parte delle istituzioni una presa di posizione netta sulle cause dell’archiviazione provvisoria del 1960, la spiegazione delle tante archiviazioni “definitive” degli anni 90, la messa a disposizione per tutti delle carte
di Isabella Insolvibile
In occasione del centenario della nascita di Arrigo Boldrini, commemorato alla Camera, la presidentessa Laura Boldrini ha voluto ribadire il debito del Parlamento, e del Paese, nei confronti dei partigiani, ricordando che «se il Parlamento esiste ed è il cuore della Repubblica democratica lo dobbiamo proprio a loro». È la sintesi del concetto espresso, dinanzi a un’aula stracolma di partigiane e partigiani – «padroni di casa», li ha definiti la presidentessa – in occasione della celebrazione ufficiale del 70° della Liberazione, lo scorso aprile. A distanza di qualche mese, Laura Boldrini ha confermato al presidente Smuraglia il proprio impegno, personale e istituzionale, per «la desecretazione dei documenti sulle stragi nazifasciste in Italia che erano stati nascosti per decenni nel cosiddetto “armadio della vergogna”» (http://presidente.camera.it/5?evento=951).
Riguardo al materiale da desecretare, ritengo sia necessario un breve riepilogo. I fascicoli originari del cosiddetto «armadio della vergogna», cioè le pratiche prodotte dal materiale d’inchiesta raccolto dall’immediato dopoguerra e in modo illecito archiviato «provvisoriamente» nel 1960, sono disponibili alla consultazione degli studiosi dal febbraio 2006, quando, conclusi i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta che aveva per oggetto proprio le «cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti» (ottobre 2003-febbraio 2006, XIV Legislatura), la stessa Commissione ha ritenuto di dover versare all’Archivio storico della Camera dei deputati i fascicoli stessi e la documentazione raccolta nel corso della propria attività. Ovviamente, i fascicoli sono disponibili in copia in quanto gli originali, recuperati nel 1994, vennero trasmessi, come dispone la legge, alle procure militari di competenza. Ne consegue che la Commissione parlamentare li ebbe a disposizione in duplicato, e tali duplicati ha versato all’Archivio della Camera.
Al materiale prodotto fino al 1960 si è aggiunto, nelle copie a disposizione della Commissione, e quindi degli studiosi, il materiale d’inchiesta (se presente) successivo al rinvenimento dell’armadio nel 1994 e relativo agli anni fino al 2006. Le Procure hanno prodotto la documentazione recente in modo diverso, talvolta consegnando esclusivamente gli atti indispensabili – eventuale iscrizione di nominativi nel registro degli indagati, successivi provvedimenti d’archiviazione –, talaltra fornendo anche l’eventuale materiale d’inchiesta. Di conseguenza, la documentazione completa può ritrovarsi solo presso i Tribunali militari di competenza (1) che, tuttavia, rispondono alle richieste di consultazione in modo disomogeneo: ad esempio, un’esperienza recente ha dimostrato che il Tribunale militare di Roma risponde positivamente – sulla scorta, comunque, di richieste strettamente circostanziate e motivate – a domande di consultazione provenienti dall’ambito della storiografia, mentre di segno totalmente negativo è la risposta del Tribunale data a organi di stampa, nonostante il parere positivo della Procura (2).
Dunque, preliminarmente, sarebbe necessaria un’uniformazione delle procedure e una completa messa a disposizione del materiale a vantaggio di ogni cittadino, qualsiasi sia la necessità che spinge a voler consultare i fascicoli. La documentazione successiva al rinvenimento dell’armadio è forse addirittura più importante di quella originaria – ormai quasi integralmente confluita nella storiografia – in quanto il trattamento giudiziario successivo al 1994 è specchio del rapporto tra il Paese contemporaneo e il suo passato più doloroso. L’illecita archiviazione provvisoria del 1960 fu responsabilità di un Paese che cedette a pressioni esterne e colpe nazionali, condannando le vittime e i sopravvissuti delle stragi nazifasciste a una giustizia negata. Dopo l’apertura del vaso di Pandora rappresentato dall’armadio della vergogna era lecito aspettarsi l’avvio di un processo che avrebbe portato, almeno, a un’istituzionale assunzione di responsabilità e, da un punto di vista giudiziario, all’avvio di un processo di giustizia di transizione, per quanto tardiva. Per quanto tardivamente, appunto, in vent’anni da allora a oggi avrebbero potuto farsi inchieste serie e anche un numero di processi molto più elevato di quanto in realtà è stato, come sembra dimostrare il primo studio del materiale d’indagine successivo alla scoperta dei fascicoli (3).
Quindi, in sintesi, sarebbe opportuno che il materiale venisse reso consultabile in modo integrale, possibilmente presso un archivio pubblico quale potrebbe a ragione essere quello della Camera dei deputati.
In secondo luogo, presso tale archivio dovrebbero essere resi consultabili anche i materiali della Commissione parlamentare ancora catalogati come «riservati» o «segreti». Questi comprendono i fascicoli personali di alcuni procuratori militari coinvolti a vario titolo nella creazione dell’armadio, documentazione sui consiglieri del ministro della Difesa tra il 1960 e il 1995, materiale del SIFAR e del SISMI in parte relativo a criminali di guerra italiani, documentazione NATO e Ministero degli Esteri riguardante, anche, trattative italo-tedesche e con Paesi terzi in merito ai crimini e ai criminali di guerra (4). Va notato, a margine, che molto di questo materiale ancora non disponibile sembra riguardare proprio i presunti criminali di guerra italiani, e che suscitano estrema curiosità e interesse classificazioni come «Anno 1957. Germania – riarmo tedesco forniture dall’Italia». In sintesi, anche i lavori della Commissione sono specchio del delicato rapporto tra il passato e il presente del nostro Paese.
In terzo luogo – ed è un elemento sul quale l’ANPI, e non solo, insiste a ragione da tempo – è necessaria e anzi indispensabile una discussione pubblica e una presa di posizione definitiva, da parte delle istituzioni, sulle due relazioni, di maggioranza e di minoranza, tra loro contraddittorie, con le quali la Commissione parlamentare d’inchiesta ha concluso i suoi lavori.
Dunque, ciò che manca e che va chiesto ai rappresentanti delle istituzioni come la presidentessa Boldrini, non sono i fascicoli dell’armadio, ma, in primis, una presa di posizione definitiva sulle cause dell’archiviazione provvisoria del 1960 e, in secundis, la spiegazione delle tante archiviazioni “definitive” degli anni Novanta. Oltre alla possibilità, per ogni cittadino, di farsi autonomamente la propria opinione, vedendo le carte.
Isabella Insolvibile, membro del Comitato scientifico dell’INSMLI,
borsista dell’Istituto Storico Germanico
Note
1) Dopo la riforma del 2007, i tribunali militari italiani sono solo tre, Verona, Roma e Napoli, che assumono le funzioni, e quindi raccolgono la documentazione, anche dei tribunali soppressi di Torino, La Spezia, Padova, Cagliari, Bari e Palermo.
2) P.V. Buffa, Nazifascismo, quelle stragi impunite per preservare le relazioni italo-tedesche, “L’Espresso”, 4 agosto 2015, http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/08/04/news/stragi-nazifasciste-quei-fascicoli-archiviati-dell-armadio-della-vergogna-1.223928?refresh_ce
3) I. Insolvibile, Archiviazione “definitiva”, la sorte dei fascicoli esteri dopo il rinvenimento dell’armadio della vergogna, “Giornale di storia contemporanea”, XVIII, 1, 2015.
4) Una sommaria descrizione del materiale è presente nell’Indice generale dei documenti acquisiti dalla Commissione, pubblicato nel quarto volume dell’opera che raccoglie i resoconti delle sedute: Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti (istituita con legge 15 maggio 2003, n. 107). Resoconti stenografici delle sedute della commissione e di audizioni svolte in missione, relazioni, indici ed elenchi, Roma, Camera dei deputati, 2007.