di Lorenzo Baldo e Giorgio Bongiovanni
Leggendo i primi stralci delle dichiarazioni del neo pentito, Vito Galatolo, c’è poco spazio per l’immaginazione. Con l’arresto odierno del boss Vincenzo Graziano le parole del figlio dello stragista Vincenzo Galatolo acquisiscono ulteriore gravità. “Mio padre – ha dichiarato Galatolo jr agli inquirenti – mi riferì che Vincenzo Graziano, sottocapo della famiglia dell’Acquasanta, mi doveva parlare. In occasione di questo incontro mi disse che Girolamo Biondino voleva organizzare un incontro urgente”. Secondo il racconto del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, quel summit tra mafiosi risale al 13 settembre 2012. Ma è l’8 dicembre di quello stesso anno quando il capomafia di Porta Nuova, Alessandro D’Ambrogio, spiega allo stesso Galatolo che “bisognava fare una riunione con Biondino (Girolamo, ndr) nella quale si doveva affrontare l’argomento dell’attentato nei confronti del dottore Di Matteo voluto dal ‘fratellone’ e cioè da Matteo Messina Denaro”. “L’intento di organizzare l’attentato non è mai stato messo da parte – ha sottolineato Vito Galatolo -; una volta ne parlai con Graziano Vincenzo all’interno del Tribunale ed avevamo pensato di posizionare un furgone nei pressi del Palazzo di Giustizia ma non ritenemmo di procedere perché ci sarebbero state molte vittime. Pensammo anche, data la disponibilità della famiglia mafiosa di Bagheria, di valutare se procedere in località Santa Flavia, luogo dove spesso il dottore Di Matteo trascorre le vacanze estive… la presenza di tritolo sul territorio palermitano rende ancora attuale, a mio avviso, il pericolo dell’attentato nei confronti del dottore Di Matteo”.
Di quel tritolo al momento non c’è traccia. E’ evidente che, dopo le prime fughe di notizie sul progetto di attentato al magistrato palermitano, l’esplosivo sia stato spostato da dove inizialmente era custodito. Fin qui la cronaca dei fatti. Che, a rigor di logica, dovrebbe quanto meno evitare analisi affrettate. Nella terra del Gattopardo, però, può accadere anche questo. Al di là dei primi attestati di attendibilità da parte degli inquirenti nei confronti dello stesso Galatolo, tra alcuni addetti ai lavori serpeggiano parecchi “dubbi” sulla “genuinità” di quelle confessioni. Lo stesso ruolo di Matteo Messina Denaro nella realizzazione dell’attentato a Di Matteo viene pesantemente messo in discussione. Quello che sta accadendo attorno a questa vicenda è a dir poco paradossale. Non sono bastati gli esempi in negativo dell’isolamento subìto da Falcone e Borsellino più di vent’anni fa. Certi scenari continuano a ripetersi, cambiano solo i volti dei protagonisti. Allo stesso modo non è cambiato quel silenzio complice di chi avrebbe il dovere di tutelare con ogni mezzo chi, su indicazioni “esterne”, è stato condannato a morte da Cosa Nostra. In una terra pirandelliana come la Sicilia quegli stessi “sepolcri imbiancati” che oggi, con parole o omissioni, contribuiscono alla sovraesposizione di Nino Di Matteo, saranno i primi a presenziare ai funerali di Stato se dovesse verificarsi una nuova strage. In un momento storico tanto critico, nel bel mezzo di una crisi economica senza precedenti, nessuno è immune dalla responsabilità di dover evitare che si possa verificare un nuovo attentato. L’alternativa è quella di esserne complici.
16 dicembre 2014