di Francesco Spedicato – ottobre 2016
I presenti spunti di riflessione sono dettati dalla necessità di una critica “strutturale” e organica sull’argomento di massima rilevanza che rappresenta, per sua urgenza, la madre delle battaglie politiche d’oggi: la questione della riforma costituzionale e lo stravolgimento delle garanzie sociali in essa contenute. Non possiamo cedere alla personalizzazione della campagna referendaria perché tolto un Renzi ce ne sarà un altro. Dobbiamo far politica cominciando col dissipare la nebbia sull’identità di classe dei veri autori delle c.d. “riforme di adeguamento strutturale” che si susseguono da decenni e che hanno avuto la loro impennata da Tangentopoli ad oggi. Così facendo si legherà indissolubilmente l’appuntamento referendario alla lotta politica di critica allo stato di cose presenti.
La Costituzione della Repubblica Italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948 risulta essere un nobile ed alto compromesso tra forze sociali rispondenti a due culture politiche: a) il cattolicesimo-sociale che poneva al centro la difesa della persona; b) il movimento comunista e il Partito Comunista Italiano che incentravano le loro lotte sulle questioni del lavoro e la giustizia sociale. Questi ultimi aspetti sono oggetto della feroce contro-offensiva delle forze reazionarie: nazionali e internazionali. A queste, sino al 1989, si opponeva il Campo socialista, i partiti comunisti e il movimento operaio, e gli “effetti” concreti di questo vuoto si vedono ora, in quanto il protagonismo e l’azione cosciente delle masse popolari organizzate ha saputo tenere testa e, per un certo frangente storico, sovrastare i capitalisti.
Oggi paghiamo le conseguenze della disgregazione post 89 e, perciò, dobbiamo sfruttare questa campagna referendaria ricostituente per fare “politica di fronte” tra le forze politiche e sociali che considerano imprescindibile tutelare, rafforzare e attuare le garanzie sociali espresse nell’impianto costituzionale nato dalla Resistenza antifascista e dallo sforzo del Comitato di Liberazione Nazionale. Osserviamo che proprio lo spirito della Costituzione era già presente durante gli anni della Resistenza partigiana allorquando le organizzazioni comuniste costituirono il nervo della lotta sociale, politica, militare e ideologica al fascismo. Il comandante partigiano Pietro Secchia asserisce che gli uomini della Resistenza non hanno lottato soltanto per cacciare i tedeschi e battere i fascisti, lasciando poi le cose come prima. Essi hanno lottato per dare all’Italia un altro ordinamento. un regime di nuova ed effettiva democrazia, fondato sulla libertà e sulla giustizia. Essi si sono battuti per un rinnovamento totale della nostra vita nazionale, per ricostruire dalle fondamenta la struttura del Paese [Pietro Secchia, Lotta antifascista e giovani generazioni, 1973].
Torniamo all’odierno. Facciamo caso al susseguirsi di provvedimenti presi dai Governi negli ultimissimi anni. Hanno legiferato seguendo dettami ben precisi: essi vanno nella direzione opposta a quella dei principi progressivi – in senso socialista – della Carta costituzionale del 48, la quale stabiliva la priorità del settore pubblico sull’interesse privato, del lavoro sul mercato, della giustizia sociale e della dignità sul profitto, favorendo l’accesso delle classi popolari alla partecipazione politica. L’Art. 3, comma 2 della Costituzione esemplifica quanto detto: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
È doveroso ricordare alcune delle più importanti misure antipopolari degli ultimi tempi. In primis la fulminea modifica dell’Art. 81: ovvero l’inserimento del “pareggio di bilancio” in Costituzione; trattasi della principale causa dell’impossibilità di effettuare politiche pubbliche espansive: così facendo le classi dominanti, rappresentate dal Governo “tecnico” Monti, hanno espropriato della sovranità il popolo italiano. Il centro-sinistra a guida Partito Democratico non si sta rilevando da meno. Il Governo Renzi, ad oggi, si è distinto con i seguenti provvedimenti: a) la “Buona scuola” ha dato carta bianca ai privati, abbattendo i diritti degli studenti e degli insegnanti, incatenando il malandato sistema scolastico italiano, sempre più, alla linea del modello padronale, privatistico e di classe avente marchio di fabbrica USA; b) lo “Sblocca Italia” ha attaccato l’ambiente, favorendo l’ulteriore cementificazione del suolo e lo sciacallaggio del nostro territorio a partire dall’incentivo alle multinazionali degli idrocarburi; c) il neoliberista job act rappresenta un’aggressione violentissima al lavoro favorendo il processo di flessibilità e precarizzazione del lavoro e, pertanto, delle esistenze dei lavoratori e delle loro famiglie/comunità; d) il c.d. Italicum, legge elettorale antidemocratica che fa rimpiangere la “legge Acerbo” vigente nel ventennio fascista; e) dulcis in fundo, la legge di revisione costituzionale Renzi-Boschi.
Oltre il “combinato disposto” tra legge di revisione costituzionale e l’italicum, desta preoccupazione con quanta leggerezza si legifera in materia di legge elettorale. Notiamo come la macchina dei sondaggi detta la linea politica; infatti, ultimamente, l’atteggiamento del Governo è cambiato nei confronti della legge elettorale appena varata. Così ci appaiono lontane anni luce le parole di Togliatti pronunciate durante il procedimento di approvazione della c.d. “Legge Truffa”: Fra le questioni costituzionali non v’è n’è una tanto vitale per l’ordinamento delle garanzie pubbliche e che tocchi tanto da vicino la vita politica di tutto il popolo quanto la legge elettorale. È palese la valenza politica insita nel meccanismo di elezione in quanto è esso stesso costitutivo: a differenza della deriva maggioritaria accentuatasi dal 1993, il c.d. “proporzionale puro” tendeva ad assicurare una maggiore rappresentanza alle forze politiche e sociali realmente presenti nel Paese.
Il Governo Renzi, come quasi la totalità della politica d’oggi, risponde alle logiche poste in essere dalle istituzioni finanziare internazionali dal termine degli anni ’70 in seguito alla ristrutturazione del sistema capitalista. I sempre più acuti processi di liberalizzazione non hanno solo intaccato la struttura economica e le forze sociali delle società interessate ma anche la sfera politica, sino agli ordinamenti delle singole nazioni. Il processo di esautorazione della spinta popolare organizzata verso l’equità e la giustizia sociale, e quindi anche la possibilità che l’assemblea possa pianificare politiche sociali ed economiche in autonomia, è accelerato dalla progressiva cessione di sovranità politica – ad opera del ceto politico al potere – a istituzioni transazionali provocando l’ottimizzazione dei processi di “governamentalità” propri delle istituzioni finanziarie, come il Fondo Monetario Internazionale o piuttosto la Banca Mondiale.
Quindi, lo stato dell’arte ci suggerisce che non possiamo fare l’errore di indicare nel Governo Renzi la sola causa del problema. Non è stato il cervello della ministro Boschi a dare alla luce questa ulteriore offesa ai diritti sociali. È fondamentale affermare con chiarezza due aspetti di rilievo: il Governo Renzi è solo una pedina in mano all’oligarchia finanziaria. I veri autori, i mandanti, del pacchetto delle “riforme” antisociali e antipopolari sono le forze reazionarie che sono da identificare a partire dagli industriali, la Confindustria, sino alle multinazionali e l’Unione Europea, ovvero la classe sociale oggi dominante: il grande capitale finanziario internazionale.
Ricordiamo gli autori di numerosi appelli a favore del “Si” alla controriforma Renzi-Boschi: la Confindustria, che ha paventato una nuova crisi economica e occupazionale devastante nel caso della vittoria del NO (calo del Pil del 4% nel triennio 2017-2019, diminuzione di 600 mila posti di lavoro e un -17% di investimenti in Italia); il FMI ha “sussurrato” che se l’esito del referendum confermativo dovesse essere opposto agli auspici del Governo Renzi, le ripercussioni saranno pesantissime per l’Italia; la J.P. Morgan, con estrema limpidezza, esprime la “necessità” storica di un rinnovato ciclo di “riforme”: I sistemi politici dei paesi del sud [Europa], e in particolare le loro costituzioni adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea… ovvero: l’ulteriore smantellamento dei diritti sociali a tutto vantaggio del mercato, dei processi di accumulazione del profitto e di sfruttamento.
I rapporti di forza esistenti sono a noi nettamente sfavorevoli. La lotta di classe è tutt’oggi in corso e la sta vincendo l’oligarchia finanziaria imperialista ma siamo persuasi della convinzione di quanto sia fondamentale porre un argine sociale e politico al processo antidemocratico e antipopolare in corso dagli anni ’80, partendo dalla presente campagna per il “No” alla riforma di revisione costituzionale. Dobbiamo considerare la battaglia referendaria non finalizzata unicamente al prossimo 4 dicembre, ma una fertile occasione di efficace lotta politica indirizzata alla ri-politicizzazione, ricomposizione e organizzazione delle forze sociali, e di classe. Pertanto, il “No” dovrà avere natura intimamente politica e progettuale, consapevole del fatto di non dover più sopportare le ingerenze dei padroni del mondo – oltre che nazionali.
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro la cui sovranità appartiene al popolo (organizzato). Non ci resta che rivendicarlo.