di: PAOLO SPIGA
Intrighi e connection sempre più fitte intorno alle banche svizzere, un tempo ‘simbolo’ della potenza & al tempo stesso della segretezza.
E col caso Credit Suisse-UBS rischia di scoperchiarsi il classico vaso di Pandora, che può avere effetti deflagranti per il mondo finanziario occidentale.
Riassumiamo i fatti.
Il 19 marzo scorso il governo svizzero e la Banca Nazionale Svizzera (BNS, l’equivalente della nostra Banca d’Italia) ordinano al più potente gruppo elvetico, il colosso UBS, di acquistare Credit Suisse per 3,2 miliardi di dollari, perché quest’ultima era entrata in grosse difficoltà, dal momento che tra ottobre 2022 e i primi di marzo 2023 i maggiori clienti avevano ritirato la bellezza di 200 miliardi di dollari di depositi: il che aveva portato Credit Suisse sull’orlo del crac.
Secondo un dispaccio diramato il 20 marzo dell’agenzia tedesca Reuters, il governo svizzero e BNS avevano raccolto “260 miliardi di franchi svizzeri, corrispondenti a 280 miliardi di dollari circa, per “sostenere l’accordo”, nel caso di problemi per il passaggio di Credit Suisse sotto l’ombrello UBS.
Ma c’è chi si chiede subito: “Come mai il governo svizzero e la sua banca centrale dovrebbero stanziare l’enorme somma di un quarto di trilione di dollari per l’accordo? Soprattutto considerando che il Paese ha solo 8,7 milioni di abitanti. Non è una cifra eccessiva? Un fatto è certo: Credit Suisse ha 39 trilioni di dollari in derivati ed è esposto a controparti in America, a Londra e altrove. Se questi dovessero fallire, innescando una reazione a catena di altri fallimenti, ciò farebbe saltare in aria il sistema finanziario mondiale”. Chiaro?
Passiamo al ‘Wall Strett Journal’, che il 22 marzo esce con un grosso pezzo, in cui, tra l’altro, viene scritto: “Non era solo Credit Suisse. La stessa Svizzera aveva bisogno di essere salvata”. La celebre testata statunitense riporta una frase di Thierry Burkart, capo del Partito Liberale, la terza forza politica elvetica: “Credit Suisse non è solo un’azienda svizzera. Fa parte dell’identità svizzera”.
Fino a questo momento nessuno ha tirato in ballo la bollente questione dei paradisi fiscali e dei maxi riciclaggi internazionali: che vedono nella Svizzera uno degli avamposti storicamente più ‘affidabili’.
Meno di un anno fa, il 22 giugno 2022, il Tribunale federale svizzero ha condannato Credit Suisse proprio per un’operazione di mega riciclaggio che ha visto protagonista una banda bulgara di trafficanti di cocaina, dopo una minuziosa, complessa inchiesta andata avanti per molti mesi. Batte Reuters il 22 giugno: “Credit Suisse. Trovato colpevole nel caso di riciclaggio di denaro contante per cocaina. Un ex dipendente della banca è stato dichiarato colpevole di riciclaggio di denaro nel processo, che includeva testimonianze su omicidi e denaro infilato nelle valigie”.
I vertici di Credit Suisse si sono dichiarati all’oscuro di tutto. Ma il giudice ha appioppato alla banca una sanzione da 2 milioni di dollari e ha ordinato la confisca di oltre 12 milioni di dollari depositati dal gruppo criminale bulgaro.
UBS, dal canto suo, è entrata spesso nel mirino delle autorità investigative e fiscali di mezzo mondo: americane, francesi, beghe, tedesche e israeliane in prima fila. Stavolta il capo d’accusa è ‘semplicemente’ favoreggiamento dell’evasione fiscale.
Si tratta della sesta banca a livello europeo, con un patrimonio da 1,18 trilioni di dollari. Ed ha anche ben 3,1 trilioni di dollari nel ‘fondo gestione patrimoniale’ che conduce operazioni in totale segretezza. La sua ‘forza’ finanziaria – secondo le stime di alcuni esperti – è pari al 40 per cento del PIL nazionale.
Alcuni giorni fa abbiamo pubblicato un servizio (potete rileggerlo cliccando sul link in basso) su altre ‘acrobazie’ in casa Credit Suisse, a botte di super appannaggi che i vertici bancari nel corso degli ultimi anni si sono ‘auto-attribuiti’. Fino a pochi giorni prima dello scampato crac e dell’inglobamento nel ventre UBS.
13 Maggio 2023
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