Prima Susanna Ceccardi (Lega), poi Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), hanno espresso critiche per il brano del 1971 cantato anche nelle parrocchie e nelle recite di Natale a scuola. A loro avviso racconta una società «aberrante», «marxista», «comunista», «mondialista». A dimostrazione che quando le idee mancano, bisogna provarle tutte
di Dario Ronzoni
Per Susanna Ceccardi, candidata leghista alla Regione Toscana per il centrodestra, è una canzone «comunista». Per Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è un «inno all’omologazione mondialista»: il testo non la appassiona anche se – concede – «la musica è bellissima, ma bisogna non conoscere l’inglese». Insomma, “Imagine”, il celebre brano di John Lennon del 1971, non piace alle donne di destra.
Non serviva raggiungere l’estate del 2020 per scoprirlo. Già nel 2016, per l’esattezza l’8 gennaio, sempre la Ceccardi, all’epoca consigliera comunale per la Lega di Càscina, provincia di Pisa, aveva espresso il suo sconcerto perché 1.300 bambini l’avevano cantata – «idea del sindaco» – sotto il Comune. «La musica sarà anche carina, ma le parole sono aberranti», aveva scritto su Facebook.
«Cosa dice la canzone? Dice “Immagina… immagina un mondo senza religione, senza paradiso, senza proprietà privata. Qualcuno lo ha immaginato davvero questo mondo e lo ha realizzato, si chiama Comunismo e ha fatto un milione di morti».
Il post, ignorato all’inizio, era tornato alla ribalta nel giugno dello stesso anno, quando la Consigliera si era guadagnata il ballottaggio alle comunali (che poi avrebbe vinto).
Le critiche, gli attacchi e le prese in giro la inondarono: «Imagine è un inno alla pace», dicevano gli altri utenti. «Quello che ha fatto la Ceccardi è un abuso», ripetevano altri. Il tema, insomma, era sentito, anche se – va detto – dal punto di vista filologico la nuova sindaca non aveva tutti i torti: lo stesso John Lennon aveva ammesso di essersi ispirato, per il testo, al “Manifesto del Partito Comunista”.
Poco importa: la questione, a distanza di quattro anni e in occasione di una nuova candidatura della Ceccardi, stavolta per la Regione, è tornata di attualità.
A “In Onda”, programma di approfondimento di La7, punzecchiata dai conduttori David Parenzo e Luca Telese, la Ceccardi ha ribadito che si tratta di «una canzone marxista» e che, addirittura, la sua era anche «una considerazione letteraria».
I due giornalisti non ci stanno: «Non usi John Lennon contro John Lennon», rispondeva Telese, mentre Parenzo aggiungeva che «va bene tutto, ma immaginare i Beatles come una succursale di Soros mi pare troppo».
Una battuta, sì. Ma significativa. Perché evocare il finanziere George Soros, impegnato da anni con fondazioni e movimenti a promuovere una società aperta, significa mettere il dito sulla piaga. O meglio sulla spaccatura, tratteggiata nel 2017 sul New York Times dal giornalista tedesco Jochen Bittner, tra “lennonisti” e “bannonisti”.
In questo divertissement politico-letterario, i primi sarebbero, appunto, i liberali cosmopoliti, laici, contrari ai confini (sia per le persone che per le merci), internazionalisti, disposti alla cooperazione, progressisti, pacifisti ed europeisti. Il manifesto che li descrive sarebbe proprio l’odiatissima “Imagine”. Altro che comunismo.
Gli altri, be’, il contrario: nazionalisti, sovranisti, religiosi (ma ostili all’Islam), contrari ai movimenti per i diritti civili, nemici dell’immigrazione.
Non per niente il loro nume tutelare sarebbe Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump che in passato ha cercato di insinuarsi anche nelle pieghe della politica italiana (secondo alcuni, sarebbe stata sua l’idea di spingere Salvini contro il Papa. Non ha funzionato. E forse, visto il grado di efficacia, è ancora lui che suggerisce di colpire “Imagine”? Non si può escludere).
Insomma, da un lato John Lennon, dall’altro Steve Bannon. A distanza di tre anni è ancora così? Quasi. Perché un po’ per stanchezza e un po’ per l’incompetenza dimostrata, il fronte sovranista sembra sempre più debole.
In America, disciolto dall’inadeguatezza di fronte al Covid, il presidente americano sembra avviato a una disfatta epocale, mentre in Europa i suoi omologhi sono stati respinti sul bagnasciuga (per usare espressioni loro gradite) dalle elezioni europee del 2019 e poi dall’accordo recente sul Recovery Fund.
E così, oggi come oggi, della grande prosopopea sovranista italiana rimangono solo alcuni sondaggi in calo, qualche affermazione locale, diversi litigi di coalizione.
Sembra proprio che in assenza di idee e di prospettive, l’unico collante possibile per la destra dell’estate 2020 sia l’odio per un capellone degli anni ’60, con gli occhiali tondi e che faceva scioperi stando a letto. Era un sognatore. Ma a quanto pare non era l’unico.
23 Luglio 2020