di Enzo Tarsia
Egr. direttore dr. Ezio Mauro,
Lei è una persona che stimo, siamo quasi coetanei, della stessa parte politica e per quanto i percorsi di vita siano distanti anni luce, hanno in comune un elemento: siamo entrambi passeggeri.
Questa strana premessa ispiratami da Umberto Eco (durante un’interessante corsa sul mio taxi) per chiederLe come mai un uomo di cultura del Suo livello che richiama continuamente nei discorsi i valori etici, la legalità ed il rispetto delle regole, deroga da questi ragionamenti, quando il soggetto interessato è la categoria dei taxisti?
Il 15 Marzo scorso la copertina del Venerdì di La Repubblica pubblica un’inquietante immagine con il titolo: “Taxi killer: l’uomo che ha decimato una categoria”. All’interno un pessimo servizio giornalistico in cui veniva illustrato il “pensiero filosofico” dell’industriale a capo di Uber e riassumibile nello slogan “Uber è tutto, i taxisti sono degli stronzi e i regolamenti non contano”.
Filosofia e metodi spicci e ultraliberisti di cui purtroppo il Suo giornale sembra condividerne la sostanza. Anche dopo la recente sentenza di Milano infatti che puntigliosamente esamina e denuncia “il salto di qualità con Uber-Pop dell’abusivismo, la concorrenza sleale di un servizio del tutto assimilabile a quello regolare dei taxi” e sospende questa applicazione su tutto il territorio nazionale, La Repubblica del 27, 28 Maggio e 11 Giugno dedicano incredibilmente un enorme spazio (90%) alle ragioni pro Uber.
Una società fra l’altro che non paga le tasse in Italia, tantomeno i contributi agli autisti.
Come mai Direttore?
Mi verrebbe da chiederLe con chi si schiererebbe il quotidiano da Lei diretto se per ipotesi un giorno gli equivoci centri massaggi decidessero di qualificarsi come “centri di fisioterapia” e i tanti santoni e ciarlatani che ci sono in circolazione decidessero a loro volta di esercitare come psicoterapeuti esponendo una semplice targa e rendendosi facilmente rintracciabili con un App?
O ancora se in barba agli agenti comunali, dei privati cittadini indossando una pettorina con scritto “Ausiliari della sosta” andassero per le strade ad esigere multe?
Se cose di questo genere dovessero realmente accadere in Italia immagino quale finimondo giustamente si scatenerebbe e quale reazione sui media.
Invece niente di tutto questo nel nostro caso. Anzi alcuni settori economici e mediatici compresa La Repubblica, nonostante le nostre denunce sull’abusivismo e le irregolarità uberine, si stanno cinicamente accanendo contro i taxisti in un crescendo di faziosità e odiosità sociale che francamente si fatica a sopportare.
Mi spiace ricordarlo ma in questi ultimi quattro anni intrisi di odio nei nostri confronti, ben due colleghi (Luca Massari e Alfredo Famoso) a Milano sono stati violentemente aggrediti e uccisi durante il servizio.
Faccio onestamente il mio lavoro da 24 anni (negli ultimi condividendo la pagnotta con mio figlio rimasto disoccupato) ricevendone non di rado gratificanti riscontri. Lo stesso penso si possa dire per la grande maggioranza dei colleghi, tant’è che Milano è risultata quarta su ventidue città europee in termini di qualità di servizio.
Non voglio con questo dire che siamo perfetti, ma credo Lei sappia benissimo che le amministrazioni locali dispongono di ampi poteri per migliorare il servizio.
Perché parlare genericamente del servizio taxi prescindendo dalle specificità delle singole città?
Perché La Repubblica continua a screditarci omettendo questi dati?
Leggere sempre su La Repubblica interviste a sottufficiali dell’aeronautica, manager in pensione e personaggi vari diversamente annoiati o incuriositi da facili guadagni con Uber (a costo zero) che sottraggono lavoro ai taxisti che si sono spaccati la schiena per tanti e tanti anni per comperarsi la licenza, fa veramente male.
Questa sorta di “liberi tutti” verso la giungla sociale in nome del peggior liberismo, sulla pelle e con la professione altrui, lo trovo veramente sconcertante per un giornale che si richiama a certi valori. In un paese in cui la corruzione è oramai così diffusa e annidata nelle istituzioni dello stato da far dire all’Assessore alla legalità del Comune di Roma, dr. Alfonso Sabella (ex PM antimafia): “Con il sistema normativo che abbiamo in Italia, se io mi accorgo che un determinato dirigente non fa bene il suo lavoro o è corrotto, non posso fare nulla, lo devo tenere, è arduo persino trasferirlo. Prenda tutti i burocrati indagati in Mafia-Capitale: sono ancora dirigenti del comune, anche se non nello stesso posto dove avrebbero commesso gli illeciti. In Italia è la normalità. Ma così non si può andare avanti”.
Se l’Assessore alla legalità del comune descrive questo quadro, possiamo immaginare in quegli uffici, sotto quei dirigenti inquisiti, cosa ci possa essere con le imbarcate di assunzioni clientelari e parentali che ci sono state.
Quanto lavoro ci sarebbe per una buona politica se si volesse intervenire seriamente nei settori forti e paludosi della PA per sradicare dalle fondamenta la corruzione che rappresenta insieme alla criminalità organizzata, le priorità assoluta per il risanamento del Paese.
L’attenzione invece del governo e dei media si è concentrata per lungo tempo sui lavoratori del settore privato per cancellare l’articolo 18 che tutelava contro i licenziamenti privi di giusta causa e sui 35.000 taxisti in favore di Uber. Il mondo capovolto con sotto i più deboli. Come al solito. Altro che cambiare verso.
Se PD e La Repubblica derogano da certi valori fondamentali della sinistra e si sponsorizzano multinazionali tipo Uber, c’è poco poi da stupirsi della disaffezione dalla politica e dai recenti risultati elettorali: dalla vittoria dell’impresentabile De Luca alle sconfitte in Liguria, ad Arezzo e Venezia.
Lei Direttore insieme al fondatore Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelskj, Stefano Rodotà, Umberto Eco, Roberto Saviano, per citare solo alcune ottime penne di La Repubblica, arricchite quotidianamente i miei pensieri con stimoli interessanti.
Vorrei proprio poter continuare a farlo. Con l’onestà intellettuale che Le riconosco mi auguro voglia tener conto di queste riflessioni riservandone magari un adeguato spazio sul giornale. Diversamente me ne farò una ragione e da semplice uomo della strada, nonchè passeggero di questo mondo, continuerò a lottare per la giustizia e per la difesa di un onesto lavoro anche senza La Repubblica, contro l’arroganza e le “innovative” forme di barbarie della multinazionale Uber.
Grazie dell’attenzione.
Cordiali saluti