Aaron Pettinari
La Corte d’Assise d’Appello dice sì all’audizione dei pentiti Bruzzese e Fondacaro
Acquisito il verbale del pentito defunto, Gerardo D’Urzo
Incontri diretti tra Silvio Berlusconi, Bettino Craxi ed i vertici della ‘Ndrangheta per spingere l’ascesa politica dell’ex Cavaliere. I summit tra Cosa nostra e la criminalità organizzata calabrese per definire la strategia stragista. E poi ancora il ruolo di Giuseppe Graviano; la delusione su Marcello Dell’Utri che non aveva mantenuto i patti; l’appoggio della massoneria occulta per il neonato partito politico Forza Italia. Sono questi alcuni degli argomenti che i collaboratori di giustizia Marcello Fondacaro, Girolamo Bruzzese e Gerardo D’Urzo (deceduto nel 2014 nel carcere di Pavia) hanno raccontato ai magistrati.
Elementi che potrebbero rafforzare l’atto d’accusa della Procura generale al processo d’appello ‘Ndrangheta stragista che vede imputati il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e il capomafia di Melicucco, Rocco Santo Filippone.
Entrambi in primo grado sono stati condannati all’ergastolo per le stragi contro i carabinieri avvenute tra la fine del 1993 ed il 1994 in cui morirono Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.
La Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Bruno Muscolo, ha accolto la richiesta del Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo per l’audizione di Fondacaro e Bruzzese, e per l’acquisizione di un verbale di Gerardo D’Urzo, oggi deceduto.
Lombardo, in poco più di un’ora, ha rappresentato i motivi per cui le dichiarazioni dei tre pentiti si incastrano perfettamente con le prove fin qui assunte in primo grado.
Le dichiarazioni di D’Urzo su Graviano e le stragi in Continente
In particolare il magistrato si è concentrato sul verbale di dichiarazioni spontanee del defunto collaboratore di giustizia D’Urzo, datato 19 dicembre 2009, trasmesso dalla Procura di Catanzaro. Il pentito, al tempo, fu sentito dai magistrati di Salerno, in quanto parlava anche di magistrati della stessa Procura di Catanzaro (per questo motivo è stata chiesta la trasmissione di eventuali ulteriori atti alla Dda di Salerno, compreso un memoriale a cui si fa riferimento).
Uno dei primi argomenti di rilievo affrontato dal pentito riguarda i contatti tra gli esponenti di vertice della ‘Ndrangheta calabrese e Cosa nostra in una fase immediatamente antecedente le cosiddette stragi Continentali. “D’Urzo – ha spiegato Lombardo – in epoca antecedente rispetto alle ricostruzioni della Dda di Reggio Calabria, racconta di contatti e riunioni avvenute nelle zone di Nicotera presso il villaggio Sayonara (riunioni di cui ha anche parlato il pentito Nino Lo Giudice) in cui la componente siciliana chiede la collaborazione per le stragi alla componente calabrese. Chi c’era? Proprio i fratelli Graviano. E queste cose le apprese da Giuseppe Mancuso, soggetto di vertice della famiglia Mancuso in quegli anni, che era parte della famiglia Piromalli”.
Nello specifico, c’è scritto nel verbale, Mancuso “riferì che c’era stato un incontro con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, se volevano aderire alle stragi di Roma, Firenze e Milano”.
Berlusconi, Dell’Utri e le promesse
Il pentito defunto, però, nelle sue ricostruzioni si spingeva anche oltre parlando anche di legami con la politica ed i nomi che fece al tempo erano di primissimo piano: Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
Nelle dichiarazioni spontanee, oggetto di un’informativa della Dia, si legge: “Una persona mi disse di un certo Valensise con altra persona della ‘Ndrangheta della jonica di essersi recati a Roma e di aver avuto un colloquio a Palazzo Grazioli con l’onorevole Silvio Berlusconi e questi gli disse al Valensise che quello che aveva promesso lo manteneva e dovevano stare tranquilli”. Secondo la Dia, “i soggetti legati alla politica aventi cognome Valenzise e aventi interessi in Calabria sono stati identificati in Raffaele Valenzise (l’ex parlamentare dell’Msi e di An deceduto nel 1999, ndr) e Michele Valenzise (il diplomatico e segretario generale del Ministero degli Esteri dal 2012 al 2016, ndr)”.
“Abbiamo un’anticipazione molti anni prima, dei temi che Graviano riferisce nelle note intercettazioni rispetto a ‘patti non mantenuti’ nonostante le promesse date – ha detto in aula Lombardo – Si dice che dovevano stare tranquilli, come il fatto che riguardava una serie di parlamentari locali, testualmente, ‘come il fatto che gli hanno messo la bomba alla onorevole Angela Napoli, gli è stata messa su mandato della cosca Pesce di Rosarno e della cosca Bellocco dello stesso luogo”.
Ma D’Urzo parla anche di un altro episodio, avvenuto nel 1996, quando si trovava nel carcere dell’Asinara in cui conobbe Antonino Mangano, lo stalliere di Berlusconi ad Arcore, ovvero il successore di Graviano al vertice del mandamento di Brancaccio. “Al passeggio c’era Antonino Marchese, cognato di Leoluca Bagarella e a sua volta cognato di Totò Riina. Marchese voleva sapere dal Mangano se Luchino (Bagarella) gli aveva confidato se si sentiva tradito, insieme ai fratelli Graviano del fatto che Marcello Dell’Utri non aveva mantenuto i patti (…) e al Bagarella gli era passato per la testa di far saltare il Duomo di Milano e di consumare altre stragi in continente”. Non solo. D’Urzo confermerebbe indirettamente delle dichiarazioni di Lo Giudice, nel momento in cui racconta che tra le persone giunte nel carcere di Novara c’era Pietro Scotto, e che questi era presente quando c’erano Marchese e Mangano e in cui si parlava di una serie di circostanze, in riferimento anche all’attentato fallito all’Olimpico di Roma.
Fondacaro e quegli elementi sulla massoneria
Altro contributo di rilievo è quello di Marcello Fondacaro che conferma altri spunti affrontati durante il processo, in particolare sull’esistenza della componente riservata di ‘Ndrangheta e Cosa nostra, capace di interfacciarsi con una componente deviata, irregolare e occulta del grande sistema massonico nazionale. “C’è traccia – ha evidenziato Lombardo – del fatto che, come dice Di Bernardo, non certo l’ultimo arrivato, quelle componenti massoniche abbiano avuto un ruolo nel determinismo che ha generato la lunga e drammatica stagione delle stragi. Di Bernardo parla di logge controllate dalla ‘Ndrangheta. Dice che 28 logge su 32 erano completamente controllate dalla ‘Ndrangheta e che lo aveva appreso dal plenipotenziario calabrese Ettore Loizzo. Anche Fondacaro parla dell’ingegnere Loizzo e parla di una serie di dinamiche che non hanno a che fare con la ‘Ndrangheta territoriale o militare, ma hanno a che fare con le strategie alte che accomunano ‘Ndrangheta e Cosa nostra nel momento in cui le interlocuzioni si spostano sul piano delle grandi strategie politiche”.
Queste grandi strategie ha aggiunto ancora il Procuratore generale “in un territorio depresso economicamente come questo o come la Sicilia sono anche strategie economiche. Perché l’industria qui è un’industria pubblica, laddove controllare determinate dinamiche e flussi significa arrivare a ciò che serve per far sopravvivere”.
Secondo il magistrato, dunque, “le stragi in quel momento storico si collocano non in un capriccio, ma in uno scenario internazionale in cui non si può perdere il contatto con il centro di potere effettivo che in Italia, e non soltanto in Italia, non possono che coinvolgere la politica che si fa a livello centrale”.
Fondacaro, dunque, conferma in primo luogo il ruolo centrale dei Piromalli. Quindi parla dei rapporti tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra secondo logiche di un unico sistema (a tal proposito basta ricordare le parole di un altro pentito, Leonardo Messina) con soggetti che avevano anche una doppia affiliazione.
Di questo organismo con la doppia affiliazione, a detta del collaboratore, facevano parte Paolo De Stefano (poi morto nel 1985) e Peppe Piromalli. Piromalli che, ha ricordato sempre Lombardo, è legato a Rocco Santo Filippone ed ai Mancuso che ospitarono le riunioni con Cosa nostra prima delle stragi.
Ricordando il dichiarato di Di Bernardo ed il pentito Cosimo Virgiglio, Lombardo ha voluto dunque rafforzare le dichiarazioni di Fondacaro che a sua volta ha riferito, in quanto egli stesso appartenente alla massoneria deviata, di una serie di soggetti in relazione con famiglie centrali come i Molé-Piromalli, i Mancuso di Limbadi, ed i De Stefano.
“Parliamo di soggetti che non sembrano ‘Ndrangheta – ha detto Lombardo – ma che sono altissima ‘Ndrangheta. Virgiglio fa riferimenti a Nino Gangemi di Gioia Tauro, come Annunziatino Romeo faceva riferimento a Francesco Delfino, collocato all’interno di un circuito di cui fa parte l’avvocato Giorgio De Stefano, interessato da processi specifici”.
“Fondacaro – ha proseguito ancora il magistrato – dice che era massone sin dai primi anni Novanta. Dice che la loggia massonica a cui si appoggiava operava scelte politiche scegliendo di fornire appoggi a diversi candidati a seconda di quanto si decideva in determinate riunioni. Quindi aggiunge che nelle riunioni della loggia coperta di cui faceva parte, ovviamente, c’erano componenti mafiose di alto livello. E in relazione alla stagione specifica in cui bisogna decidere l’appoggio elettorale a Forza Italia spiega che oltre a stringere i rapporti con l’ingegnere Loizzo, di cui parla Di Bernardo, ha avuto modo di avere anche vari contatti con esponenti di vertice del partito socialista italiano. Spiega sempre Fondacaro che “in una fase in cui si era investito nel partito socialista italiano ci si imbatte in quello tsunami mani pulite. E dopo le vicende Mani Pulite e le vicissitudini impreviste a cui era andato incontro Bettino Craxi, negli ambienti massonici di cui io ero parte si faceva strada l’idea che Berlusconi avrebbe raccolto l’eredità dell’ex segretario”.
C’è anche dell’altro. Perché il collaboratore di giustizia afferma di aver sentito parlare di Berlusconi già nel 1983-84 “in quanto in quegli anni Berlusconi aveva un progetto in Calabria e in Sicilia per tutti i ripetitori (un richiamo alla cosiddetta vicenda Sorrenti) e dice di aver saputo che Berlusconi era effettivamente venuto in Calabria a questi fini (…) Per i calabresi ed i siciliani dei contesti di cui parlo, massonici e mafiosi, la prospettiva dell’appoggio a Berlusconi era soprattutto questo”.
Bruzzese e l’incontro tra i boss Craxi ed il solito B.
Infine il magistrato ha spiegato i motivi per cui sono importanti anche le dichiarazioni di Girolamo Bruzzese. Quest’ultimo, in un verbale del 10 marzo 2021, ai magistrati ha raccontato un episodio a cui ha “assistito personalmente” e sarebbe avvenuto “nel 1978-1979, poco dopo l’omicidio di Aldo Moro”. In sostanza, Bruzzese ha parlato di un summit nel luogo dove suo padre trascorreva la latitanza, “presso l’agrumeto di tale Peppe Piccolo”. Tra i partecipanti a quella riunione di ‘Ndrangheta, oltre a Domenico Bruzzese, padre del collaboratore di giustizia, ci sarebbero stati: “Peppe Piromalli, Ciccio Albanese, Domenico Giovinazzo, tale ‘Ciccantonio Braghetta’, Alvaro Domenico, Girolamo Mammoliti, Pasquale Sciotto, Peppe Raso detto ‘avvocato’, Peppe Pesce, Vincenzo Rositano”. “Mentre ero lì – ha fatto mettere a verbale Girolamo Bruzzese – vidi giungere nell’agrumeto Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, che ho riconosciuto per averli già visti in televisione. Al loro arrivo, mio padre mi fece allontanare su richiesta di Peppe Piromalli, facendomi accompagnare a casa da un suo uomo di fiducia”. Sempre il padre, dopo molti anni, gli “raccontò che Craxi e Berlusconi si erano recati al summit perché Craxi voleva lanciare politicamente Berlusconi e quindi per concordare un appoggio anche da parte delle cosche interessate alla spartizione dei soldi che lo Stato avrebbe riversato nel Mezzogiorno”.
E a questi riferimenti seguono poi dei richiami al legame tra Piromalli e Licio Gelli.
Bruzzese, secondo quanto ricostruito in aula da Lombardo, offre anche elementi importanti per ricostruire i motivi che portarono la ‘Ndrangheta ad appoggiare l’ascesa dei corleonesi in qualche maniera “abbandonando” i rapporti con le storiche famiglie di Palermo di Bontade e Badalamenti.
“Una scelta che si fece sia per tutelare i propri carcerati da eventuali ritorsioni, ma anche perché si condivideva una necessità di mutamento a livello di politica nazionale ispirato da Licio Gelli e Peppe Piromalli a cui Gelli era particolarmente legato. E queste – ha detto Lombardo – sono informazioni che apprende dal padre e da Teodoro Crea, altro soggetto della ‘Ndrangheta tirrenica. E racconta anche un episodio specifico del tradimento dei palermitani”.
Bruzzese ai magistrati avrebbe anche spiegato i motivi per cui molte cose non le ha dette all’inizio della propria collaborazione: “Non le ho dette prima perché nei 180 giorni della mia collaborazione era stato ucciso mio suocero, Femia Giuseppe ed io, temendo per altri miei congiunti, avevo omesso i riferimenti a questi temi, Forza Italia, Berlusconi e quindi la sua partecipazione al summit di cui ho detto prima, proprio perché avevo capito che ancora gli accordi presi molti anni prima erano in essere tra la ‘Ndrangheta e questi soggetti politici”.
Quindi sempre Bruzzese sosteneva di essere “in grado di dire che alla discesa in politica di Silvio Berlusconi nel 1994, lo so per certo, perché me lo ha detto Teodoro Crea, che ci sono stati incontri tra Piromalli, i Mancuso i Pesce e i De Stefano perché il sostegno della componente calabrese di ‘Ndrangheta fosse riservato esclusivamente a quel partito. I voti li abbiamo raccolti. I soggetti che avevano accesso a queste tematiche erano pochissimi. Chi erano? Pino Piromalli Facciazza, uno dei soggetti di ‘Ndrangheta più potenti insieme a Luigi Mancuso, Nino Pesce, Pasquale Zagari”.
Argomenti tutti di rilievo che sono stati approfonditi dalle indagini della Dia. Anche per questo motivo la Corte, su richiesta delle parti, ha detto anche sì alla citazione del commissario capo della Dia di Reggio Calabria Michelangelo Di Stefano, che sarà sentito proprio alla prossima udienza del 10 ottobre.