FRANCO LUCCHESI:
MEZZADRO-COLONO, OPERAIO, ESEMPIO E MAESTRO DI VITA
UNA STORIA GRANDE
La recente scomparsa del compagno FRANCO LUCCHESI meriterebbe una riflessione importante sulla nostra Storia recente.
Egli non è stato soltanto un grande dirigente operaio, politico e amministratore di S. Croce sull’Arno.
Lui, il padre Giovanni e la sua famiglia, hanno dato un contributo importantissimo nell’Antifascismo, nella Resistenza, nella Storia del movimento operaio e democratico fucecchiese.
Nell’allegato (che vi invito ad aprire e leggere attentamente) troverete la Sua biografia sui suoi anni trascorsi a Fucecchio.
Alcuni esempi:
– la casa del mezzadro Lucchesi è centro delle riunioni del “clandestino politico” dei comuni della zona del cuoio (nell’ultimo periodo anche per i comuni di Cerreto e Vinci) di cui sono Commissari Politici prima Delio Nazzi e poi Russo Parenti. Lì si assumevano le decisioni politiche ed operative.
– Franco è appena adolescente ed è uno dei ragazzi fucecchiesi che – a turno – prima dell’alba si recavano nelle frazioni collinari dai pastori e dai contadini per ritirare formaggio, ricotta, viveri che mettevano nella “sporta” di paglia coperta con un tovagliolo e poi, passando sempre da posti diversi, raggiungevano il canneto di Saettino lungo l’Arno dove, alle ore 6, si presentava un uomo a ritirare le “sporte” che in “barchetta” lungo il fiume portava ad altri fino a raggiungere le brigate partigiane che stavano per liberare Firenze. Alle Brigate partigiane fiorentine, oltre alle armi requisiti dalle SAP guidate dal Comandante Militare Oriano Giannoni nei depositi delle caserme di Ponte a Cappiano e Santa Croce arrivavano anche i viveri procurati dai nostri ragazzi.
– Il padre Giovanni alla testa dei mezzadri, sarà processato con altri mezzadri per gli ammassi dei loro raccolti agricoli (che in parte nascondevano per porli a disposizione dei rifugiati e i ragazzi sbandati)– difesi da Gaetano Pacchi – e successivamente sarà assassinato dai nazifascisti
– Franco, giovanissimo, durante i bombardamenti che produrranno centinaia di feriti e morti passerà intere settimane giorno e notte all’ospedale con “un fazzoletto della Croce Rossa” ad assistere feriti, procurare cibo ai malati, sistemare morti.
– A Liberazione appena avvenuta due familiari dei deportati della Cicoria per gli scioperi della SAFFA stanno organizzandosi per vendicarsi contro i due giovani fascisti responsabili di quella deportazione dalla quale nessuno tornerà vivo. Franco, su ordine del P.C.I. bloccherà sul nascere quella vendetta. A quei fascisti nessuno toglierà un capello, uno di loro è deceduto nel 2012 sempre rispettato da tutti i fucecchiesi.
– L’ordine di Palmiro Togliatti e del PCI è tassativo: dopo la Liberazione nessuno tolga un capello ai fascisti, sarà la giustizia ordinaria che dovrà giudicare, noi siamo la nuova umanità, se rispondiamo dente per dente saremmo come loro. Anche nella Fucecchio liberata è festa grande. Ma tante sono state le vittime del fascismo: come impedire vendette?
Il segretario del PCI Vezzosi incarica Franco di rendersi protagonista di un messaggio forte alla popolazione: Franco ospiterà per molto tempo in casa sua il figlio di un noto fascista deceduto la cui famiglia si trovava in serie difficoltà economiche e lo tratterà come un fratello. Quel figlio del fascista dopo qualche anno sarà assunto in un ente pubblico e sarà un esponente del MSI. Franco rimarrà mezzadro e poi operaio fino alla pensione ma non si pentirà mai del gesto compiuto in ottemperanza alle indicazioni del suo partito.
Questi sono solo alcuni esempi degli anni fucecchiesi di Franco, mezzadro e operaio comunista, segretario della FGCI della Sezione “Potente” di Fucecchio, corrispondente di Fucecchio sul giornale della FGCI, protagonista sul palco della festa nazionale dell’Unità del famoso “rimprovero” di Togliatti quando, seduto accanto, gli chiese dei risultati della partita di calcio appena conclusa a Firenze “rimproverandolo” perché non ne era al corrente: un giovane comunista che vuol trasformare la società deve sapere tutto di tutto, gli disse Togliatti.
Poi Franco si trasferirà a Santa Croce sull’Arno dove sarà sempre, fino al giorno prima della sua scomparsa, alla testa delle lotte del movimento operaio e democratico santacrocese e, per un periodo, Consigliere Comunale ed Assessore.
FRANCO LUCCHESI,
MEZZADRO-COLONO, OPERAIO, ESEMPIO E MAESTRO DI VITA
NELL’ALLEGATO LA SUA BIOGRAFIA.
Cari Saluti
Averardo Francesco Taddei
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DOCUMENTI SULLA RESISTENZA FUCECCHIESE
FRANCO LUCCHESI
Scheda prodotta da Francesco Talini
Collaborazione: Francesco Taddei
Documentazione prodotta per conto di: A.N.P.I.—Sezione di Fucecchio
L’infanzia, la scuola, la solidarietà ela resistenza, il dopo guerra
L’infanzia
Giovanni Lucchesi, figlio di coloni-mezzadri*1 abitava in Fucecchio via delle confina (ora via Giovanni Lucchesi); la sua famiglia, antifascista, come in genere tutte le famiglie dei mezzadri, apparteneva alle classi povere. Nella sua casa e nel fienile si tenevano le riunioni clandestine degli antifascisti con il commissario politico del “Clandestino” (prima Delio Nazzi poi Russo Parenti con Danilo Dolfi del Clandestino regionale); vi si nascondevano anche perseguitati e renitenti alla leva.
L’infanzia e l’adolescenza di Franco si svolgono in queste circostanze, nel quadro delle ristrettezze economiche delle classi subalterne del tempo.
La scuola
Già alle elementari i ragazzi del “popolo” erano sottoposti a discriminazioni strutturali, nei registri di allora venivano classificati per tipologie sociali: ricchi, benestanti, agiati, poveri.
I ricchi erano i figli dei nobili e delle classi padronali; i benestanti erano i figli della media borghesia; gli agiati erano in genere figli di “mercenari” militarizzati pronti a partire per le guerre di occupazione coloniale, ai quali veniva concesso un beneficio economico consistente; i poveri erano i figli delle classi subalterne operaie e contadine, si trovavano quasi sempre negli ultimi banchi della classe, irrisi dagli altri ragazzi ed in genere dagli insegnanti e dalle autorità.
Franco Lucchesi racconta come l’autoritarismo del suo insegnante, noto fascista, incutesse timore nei figli dei poveri. Franco racconta anche questo nella sua intervista: “ Noi le poesie le sapevamo e fra di noi ragazzi le recitavamo benissimo fuori dalla scuola, ma quando ci trovavamo di fronte al maestro, lui, con il suo autoritarismo ci incuteva paura e terrore e noi non riuscivamo ad aprire bocca, ci bloccavamo, allora lui, era solito punirci con “avvalloni*2”. Qualche volta addirittura ci faceva mettere accovacciati sotto la cattedra e ad ogni calcio che ci tirava, dovevamo abbaiare come fossimo cani. Ci metteva contro le nostre famiglie dicendoci che di queste non ci si poteva fidare, perché non capivano la “magnificenza” del fascismo. Per lui, noi contadini poveri, eravamo un pericolo: sovversivi da combattere. Il sabato era “il sabato fascista”: i gerarchi del regime e le autorità ostentavano potere e tracotanza e il popolo si intimidiva. Noi ragazzi, studenti in divisa, dovevamo partecipare e sottostare a quella loro prepotenza. Un giorno, il maestro fu convocato a Roma per essere premiato da Mussolini, con un’ onorificenza e con mille lire (che per quel tempo erano moltissime), per i suoi meriti fascisti. Noi dovemmo accompagnarlo, con grande fasto, alla stazione intonando canzoni fasciste, in attesa del treno”. Questa era la scuola fascista.
Solidarietà e Resistenza
La straordinaria cultura della solidarietà contadina fu forza motrice per superare le avversità economiche e sociali di quel periodo e fu poi determinante nella lotta armata partigiana di liberazione nazionale. Dice ancora Lucchesi: ”Noi portavamo la merenda a scuola, pane fatto in casa, naturalmente, con una fetta di rigatino o con pomodoro strusciato o con sale e olio, poiché i figli degli operai e dei disoccupati mancavano di tutto, talvolta non avevano neppure il pane e così noi dividevamo con loro un po’ della nostra merenda“. “Ero più grande quando delle professoresse di Pisa sfollate a Santa Croce a causa dei bombardamenti che avevano distrutto tutto, iniziarono dei corsi scolastici. Io vi partecipai assieme ad altri miei amici. Durante l’ora di pausa, vedevamo le maestre fissarci mentre divoravamo il nostro pane: esse non avevano da mangiare. Fu così che le nostre madri ci preparavano sempre qualcosa da portare alle maestre per alleviare la loro fame. Noi contadini nascondevamo e dividevamo quel poco che possedevamo con altri sfollati e con i ragazzi renitenti alla leva che nascondevamo. Ricordo due ragazzi fuggiti dopo l’otto settembre nascosti nel nostro fienile, non erano toscani, erano due giovani insegnanti. Noi li assistevamo, portavamo loro quel poco di cibo che potevamo, loro mi tenevano alcune ore del giorno con loro e mi insegnavano a conoscere meglio la lingua e la storia del nostro paese e del mondo. Eravamo una comunità. Durante la guerra, dei reparti dell’esercito italiano erano a Fucecchio; i ragazzi di leva di quei reparti non vedevano le loro famiglie da molto tempo, alcuni avevano dovuto lasciare a casa la giovane moglie ed i figli piccoli. Per la mia famiglia quei ragazzi erano come figli. Certo, in quel periodo nero, bisognava potersi fidare, ma chissà come, scattò in quei ragazzi una grande fiducia nei nostri confronti e chiesero a mio padre se potevano avere notizia delle proprie famiglie, dei genitori, delle mogli e dei figli che avrebbero voluto rivedere. Fu così che mio padre riuscì a far loro avere notizie delle famiglie e addirittura, a turno, a far venire a Fucecchio mogli e figli e ad ospitarli nelle case delle mie sorelle che, rimaste sole con i mariti al fronte, si erano trasferite nella casa paterna. Esse offrirono loro le proprie camere matrimoniali”.
Il 25 Luglio 1943, il Re fece arrestare Mussolini. “Ricordo un antifascista, Saffo Convalli, che girava per le campagne avvisando noi contadini e urlando di gioia: “È capitolato Mussolini!!“ Io non sapevo ancora cosa volesse dire la parola capitolare, so solo che vidi esplodere una grande gioia; era festa. Ma il peggio doveva ancora venire con l’occupazione tedesca e la Repubblichina di Salò”. Durante la Resistenza Antifascista, come risulta dai documenti*3 presso la biblioteca comunale di Santa Croce, la casa di Lucchesi era frequentata, con molta cautela, da diverse persone. Si tenevano riunioni antifasciste con il commissario politico Delio Nazzi e successivamente Russo Parenti, e talvolta, con Danilo Dolfi (Giobbe) che rappresentava il “clandestino” toscano. Dice Lucchesi: ”noi eravamo ragazzi, a scuola i maestri ci inculcavano la superiorità del fascismo, ci mettevano contro le nostre famiglie che venivano considerate “ignoranti”, “non affidabili”, “pericolose”. In casa quindi ci tenevano nascosta l’attività antifascista, alcune volte vedevamo del movimento, ma non indagavamo”. “Una volta eravamo io e altri ragazzi nei campi a controllare che non ci rubassero l’uva, avevamo un panchetto dove ci sedevamo; ad un certo punto vedemmo nel campo un signore mettersi a sedere sul nostro panchetto, parlava un dialetto che non era il nostro, iniziò a farci domande, ci chiese molte cose, chi abitava in questa o quella casa compresa naturalmente casa mia che era lì vicina e se conoscevamo certa gente, stette lì seduto come se aspettasse qualcuno poi, ad un certo punto scomparve. Non so se era Danilo Dolfi”.
Poi Lucchesi ci parla di alcune azioni partigiane di cui è a conoscenza: le armi tolte ai tedeschi, l’assalto della S.A.P. (squadra d’azione patriottica) alle caserme dei repubblichini di Ponte a Cappiano e Santa Croce per sequestrare le armi da inviare alle brigate partigiane per la liberazione di Firenze (a cui parteciperà anche Delio Nazzi con altri giovani della zona), ma anche del contributo dato dai ragazzi come lui alla Resistenza. Lucchesi: ”c’erano soprattutto nelle frazioni delle Cerbaie una rete di pastori che facevano il formaggio, noi ragazzi venivamo mandati da uno di loro a prendere le forme del “cacio” che mettevamo nelle “sporte di paglia*4 ”, ci veniva detto di andare senza farci vedere in giro con quelle sporte cariche di formaggio in un determinato punto a Saettino sulla riva dell’ Arno ed attendere, poi passava un uomo che prendeva le sporte e se ne andava. Sapemmo dopo la liberazione che quel formaggio veniva mandato ai partigiani sui monti dell’Appennino che si apprestavano a scendere per liberare Firenze.
Noi ragazzi eravamo usati?? Non c’erano altre possibilità, quel lavoro non potevamo che farlo noi, proprio perché in quanto tali destavamo meno sospetto ai gerarchi nazzi-fascisti”. “Ricordo il contributo dato dalle nostre donne; per esempio: nel mondo contadino eravamo tutti cattolici credenti, anche se comunisti, il mese di maggio era un mese sacro dedicato alla Madonna, la sera le nostre donne e i bambini si ritrovavano per la “novena*5”, e non per caso, si riunivano nei posti da dove potevano osservare i movimenti delle squadracce fasciste per poter avvisare i contadini. La resistenza al nazzi-fascismo era quindi di popolo, di massa. In quegli anni era molto pericoloso incontrarsi sui capitelli di piazza montanelli, era il posto più delicato per parlare, “i capitelli parlano”, si diceva; le spie fasciste, controllavano la piazza. Una mattina le donne andarono alla prima messa: all’ora stabilita il portone era sempre chiuso, il sacrestano, come altre volte era successo, tardava ad arrivare. Quando giunse, al rimprovero del “priorino”, egli si risentì dicendo che aveva lavorato tutta la notte per un dovere superiore. Facile immaginare quale: partecipare alla spedizione punitiva contro gli antifascisti. Era il tempo dell’olio di ricino dei manganelli e delle torture.”
Il padre Giovanni Lucchesi, non vide la liberazione, poiché qualche settimana prima i nazzi-fascisti gli tesero un agguato e lo ferirono a morte. Morì dopo una ventina di giorni di sofferenza. Al suo funerale, chiese di partecipare per rendere onore alla sua integrità morale un noto fascista6*, medico dell’ospedale di Fucecchio che aveva curato le sue due figlie. I responsabili del clandestino antifascista acconsentirono ritenendo quel gesto molto significativo nei confronti della resistenza che ormai stava liberando l’Italia, fu così che quel medico poté partecipare ai funerali senza alcun rischio dal momento che gli stessi antifascisti ne garantiranno la sicurezza.
Il quattro marzo 1944 ci fu lo sciopero degli operai della Saffa, la più grande industria della zona: “quello sciopero aveva visto il sostegno degli sfollati livornesi, che avevano trovato rifugio nella nostra zona, per questo, a causa di alcune spie fasciste molti furono deportati nei campi di sterminio, dove morirono”. Lucchesi ricorda il contributo dato da una signora giunta per caso nella zona: cercava disperatamente il figlio che era stato portato via dai tedeschi. Era visibilmente una signora benestante, avvenente, sapeva il tedesco; i tedeschi erano ormai alla fine e questo li rese ancora più pericolosi, lei intervenne per liberare alcune donne nostre dall’attenzione dei soldati tedeschi. Una volta impedì che i tedeschi attuassero una rappresaglia nei confronti di alcuni abitanti. Poi sparì nel nulla, di lei non si seppe più nulla.
Durante i bombardamenti, gran parte della popolazione era sfollata all’ospedale. arrivavano morti e feriti in continuazione. Nonostante la mia giovane età mi fu messa una fascia con la croce rossa al braccio e mi trovai ad assistere feriti e le famiglie dei deceduti. Non c’era da mangiare,i contadini sfollati, ci portavano quel poco che avevano per poter sopravvivere. Anche lì, c’era un certo “rispetto superiore” per le famiglie borghesi e del regime ormai in disfacimento. Ricordo però una suora che per principio, non faceva differenze, trattava tutti nello stesso modo.
Finalmente, dopo tante persecuzioni lutti e stragi e i bombardamenti che avevano distrutto quasi tutto, i Tedeschi e i fascisti vennero cacciati, così, il primo settembre 1944 ci fu la Liberazione e fu festa grande in tutto il paese: furono costituite subito le giunte di liberazione nazionale e i C.L.N. ( Comitato di Liberazione Nazionale)
Il dopo guerra
In tutto il paese scarseggiavano i viveri, c’era da ricostruire tutto, grande fu il lavoro delle giunte di liberazione e del popolo. C’era anche chi avrebbe voluto vendicarsi contro coloro che si erano resi responsabili di torture e di assassinii, ma il C.L.N. e i partiti antifascisti, in primo luogo il P.C.I. si opposero. I responsabili dei misfatti dovevano essere giudicati per vie ordinarie dai tribunali legali. Poi Togliatti, ministro della giustizia, promulgherà l’amnistia, perché secondo il P.C.I. noi dovevamo essere la nuova umanità, costruire la solidarietà e la pace, le vendette non potevano appartenere al popolo, con esse non avremmo costruito il futuro. Il futuro stava nella lotta di massa per costruire un nuovo ordine democratico, economico e sociale, dove lo stato fosse di tutti i cittadini. Con ciò si gettano le basi della futura COSTITUZIONE Democratica Antifascista della nuova Repubblica Italiana. “ Dopo la liberazione fui avvicinato a Stabbia da due giovani familiari di deportati per gli scioperi della Saffa che erano morti nei campi di sterminio, volevano la mia collaborazione per fare giustizia nei confronti dei due delatori fascisti che avevano fatto deportare e uccidere i loro familiari. Anche a me i nazi-fascisti avevano ucciso il padre. Io ero comunista e mi rivolsi al segretario del P.C.I., il quale ci proibì tassativamente ogni azione di vendetta e mi chiese di stare attento, affinché i due giovani non mettessero in pratica ciò che avevano in mente. A quei delatori fascisti, nessuno ha mai tolto un capello, uno di loro7 è deceduto recentemente, ormai novantenne ed è sempre stato comunque da tutti rispettato”. “Ricordo un altro episodio, del dopo guerra, che dovrebbe far riflettere i tanti denigratori della nostra storia: dopo la liberazione, la famiglia di un noto fascista del ventennio, si trovò in difficoltà economiche a causa di alcune traversie proprie. L’uccisione di mio padre ci aveva creato difficoltà nella conduzione del podere, noi eravamo ancora giovani; il partito ci chiamò e ci chiese di ospitare in casa nostra il figlio di quel noto fascista, così lui ci avrebbe dato una mano a lavorare il podere e noi saremmo stati di sostenimento per la sua famiglia”. Ma la lotta antifascista, con l’impegno diretto di tante donne della Resistenza, aveva cambiato radicalmente anche la concezione secolare del rapporto uomo donna. “Ricordo un episodio significativo: c’era un compagno, che era solito alzare il “gomito”, poi arrivava a casa, trattava male la moglie e spesso la picchiava. Dopo essere stato richiamato più volte dal partito e persistendo il suo comportamento, la sezione del P.C.I., lo convocò davanti all’assemblea degli scritti, proponendo la sua radiazione dal partito. L’assemblea deliberò il suo allontanamento. Quando l’assemblea si sciolse, lui salutò i compagni porgendo la mano e tutti si rifiutarono di stringergliela dicendogli che non avrebbero mai potuto stringere una mano che avesse picchiato una donna.
Anche questi furono i valori conquistati dalla resistenza e dall’antifascismo: l’affermazione di una nuova solidarietà e dignità umana lontana mille miglia dall’arroganza e dalla prepotenza del ventennio fascista, ideali oggi messi in discussione dal contesto e dalle politiche attuali sostenute da un riprovevole revisionismo storico e culturale. Solo lo studio e la conoscenza della storia vera del nostro popolo può indicare ai giovani la via maestra della dignità e del riscatto sociale ed economico del nostro paese, affermando ed attuando così la nostra COSTITUZIONE DEMOCRATICA ANTIFASCISTA DELLA REPUBBLICA.
Franco Lucchesi è da sempre impegnato a tenere alti gli ideali, della libertà, della democrazia, delle classi subalterne: un maestro di vita.
NOTE:
* coloni mezzadri = lavoratori della terra non proprietari del fondo, i cui raccolti venivano suddivisi con il padrone.
* avvalloni = calci nel fondoschiena
* documenti della biblioteca di S. Croce= “Un anno di lotta della clandestinità”-edit. 1965, A cura dell‘ A.C. di S. Croce sull’Arno.
* sporte di paglia = tipiche borse rettangolari del mondo contadino toscano intrecciate con la paglia.
* novena = tipica adorazione cristiana nel mese di Maggio dedicata alla Madonna.
“noto fascista” = primario dell’ospedale di Fucecchio
* uno di loro = Spartaco Gozzi
-* su richiesta di FRANCESCO TADDEI, per ovvii motivi, sono stati tolti alcuni nomi dei protagonisti da questa documentazione