Il Brasile in mano alla destra, dopo la prevista vittoria, con il 55 per cento dei voti, del numero uno del Partito Social Liberale, Jair Bolsonaro, fino a pochi mesi fa un signor nessuno.
Ha avuto la strada spianata per il malcontento generale della popolazione, la povertà giunta a livelli stratosferici (15 milioni di poveri), le profonde delusioni provocate dai precedenti presidenti, uno finito in galera, il pasionario Ignacio Lula da Silva e l’altra, Dilma Rousseff, finita sotto impeachment, entrambi per via dell’inchiesta “Lava Jato” che ha messo fuori causa mezza classe politica brasiliana.
Trionfa quindi il popolar-autoritarismo del Trump Tropicale, come è stato subito denominato, 63 anni, ex ufficiale dei paracadutisti, nostalgico degli anni di piombo (dal 1964 al 1985), dichiaramente razzista (in particolare verso gli indios che vorrebbe eliminare dalla faccia della terra), omofobo e soprattutto antiambientalista.
E’ quest’ultima nota a destare particolare preoccupazione, per via dei folli progetti coltivati ed esternati nel suo programma elettorale. Via il ministero per l’Ambiente, che passerà sotto il controllo di quello dell’Agricoltura, a sua volta nelle mani della Bancada Ruralista, una delle lobby più potenti al Congreso Nacional. Depotenziati tutti gli organismi di controllo e di vigilanza sull’ambiente, a partire dall’IBAMA, ossia l’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais.
Strada apperta, quindi, alle multinazonali, che da domani troveranno molto più facile ottenere licenze e concessioni per i loro maxi progetti speculativi in Amazzonia.
E’ prevista una massiccia deforestazione, con tutte le conseguenza catastrofiche facilmente prevedibili: lui la addebita all’eccesso di popolazione. C’è’ addirittura nel suo programma la realizzazione di una lunghissima autostrada che squarci l’immensa foresta amazzonica in orizzontale.
Una sua forte base elettorale, infatti, è rappresentata da fazendeiros, “land grabber”, taglialegna, minatori illegali e produttori di carni bovine.
Ma c’è un grosso ostacolo da superare, e Bolsonero non andrà tanto per il sottile, scavalcando anche la Costituzione che all’articolo 231 difende “i diritti originari sulle terre che (gli indios, ndr) hanno tradizionalmente occupato”. Di loro infatti dice: “le minoranze e le popolazioni indigene dovranno piegarsi alla maggioranza oppure sparire”. Più chiari di così…
Sostiene Dinaman Taxa, coordinatore nazionale dell’Articulacao dos Povos Indigenas do Brasil: “Istituzionalizzerà il genocidio. Ha già detto che il governo federale non sosterrà più i dirittti degli indigeni, come l’accesso alla terra. Siamo molto spaventati per quello che potrà succedere”.
“Si apre un periodo molto buio per il Brasile, per l’ambiente, per la sorte degli indios e delle minoranze”, afferma Paulo Artexo, ricercatore all’Università di San Paulo.
Su Liberation lo storico Jean Baptiste Fressoz mette in guardia di fronte alla prospettiva di una sicura alleanza Trump- Bolsonaro: “entrambi – sottolinea – sono fondamentalmente razzisti, Bolsonaro in misura ancor maggiore. Il vero rischio è l’affermazione globale di un nuovo asse autoritario e negazionista del riscaldamento globale”.
E infatti, sulla scia di Trump, nel suo programma è prevista l’abolizione degli accordi di Parigi, anche se nella prima conferenza stampa pare abbia fatto marcia indietro su questo punto.
Ha però ribadito con ancora maggior fermezza “il ritorno all’ordine” (ci sono comunque 60.000 mila omicidi all’anno), la “liberalizzazione del porto d’armi” (i complimenti in arrivo da Matteo Salvini sono scontati), l’epurazione dei ‘rossi’, carcere o esilio per gli oppositori: e ha augurato ai rivali “di marcire in carcere”. C’è poi, per l’Italia, il regalo dell’estradizione di Cesare Battisti, mai concessa da Lula e Rousseff.
Ha subito provveduto a minacciare la stampa – tanto per gradire – e si è in particolare scagliato contro la “Fohla di San Paolo”, colpevole di aver rivelato lo scandalo (da noi nessuno ne ha parlato o scritto) dei “messaggi elettorali illegali”, tra l’altro manipolando i dati dei “like”, visto che la competizione elettorale si è svolta in gran parte via web.
Dopo anni di corruzione e malgoverno, c’è ora il rischio concreto di cadere dalla padella nella brace.
29 ottobre 2018