Per più di un decennio il programma Parole creato nel 2006 da George W. Bush, istigò il personale cubano della salute che collaborava in terzi paesi ad abbandonare le sue missioni per emigrare negli Stati Uniti.
Il Presidente cubano Díaz-Canel ha ricordato in twitter i 20 anni della Elam, un’opera d’amore che ha formato migliaia di medici tra i quali molti brasiliani, ai quali il Collegio Medico impedisce l’approvazione della laurea per ottenere posti di lavoro.
Anno 2013. In Brasile la presidente Dilma Rousseff impulsava programmi come Más Médicos, che prevedevano la presenza di dottori brasiliani e stranieri per lavorare nelle zone povere e isolate di questo paese, iniziativa alla quale s’incorporarono migliaia di professionisti della sanità cubana.
In Venezuela l’allora candidato anti chavista Henrique Capriles, nei suoi discorsi minacciava L’Avana alla quale “non avrebbe finanziato un modello politico” , nè “avrbebe regalato petrolio” repingendo l’offerta disinteressata di nazionalizzare le migliaia di medici che si trovavano in terrra bolivariana. “Li inviterei, dichiarava Capriles, a divenire cittadini di un paese dove c’è democrazia”.
Se fino a qui le sembra d’aver visto una sceneggiatura ripetuta già altre volte, sappia che è vero. Quello che il presidente Jair Bolsonaro ha appena fatto minando il Programma Más Médicos, e con questo la garanzia d’accesso alla sanità di milioni di brasiliani, ricorda quanto meno altri e innumerevoli attacchi della destra regionale alla collaborazione cubana internazionale.
Il presidente eletto del gigante sudamericano chiama “dittatura” il Governo cubano, ma non ha dubbi nella difesa della dittatura militare brasiliana tra il 1964 eil 1985, che lascia ancora fresca nella memoria del paese non solo la scomparsa forzata e e l uccisioni, ma anche la repressione di qualsiasi tipo di opposizione politica.
È una cattiva previsione per il Brasile che il nuovo mandatario non intenda esattamente che cos’è un regime dittatoriale.
E il déjà vu avviene quando afferma che offrirà asilo politico alle migliaia di dottori cubani che non desiderano ritornare nel loro paese.
Non sorprende per niente che stimolare la diserzione dei medici sia il fine del suo atteggiamento in un contesto nel quale la forza lavoro qualificata è la maggior potenzialità della Maggiore delle Antille e dove i medici cubani o i laureati in Cuba di altri paesi promuovono un’immagine positiva del paese, mentre sviluppano forme di cooperazione sud-sud.
Questa linea di sabotaggio ha un forte riferimento al programma Parole per Professionisti medici cubani, uno schema migratorio del Governo degli Stati Uniti vigente sino al 17 gennaio dell’anno scorso, quando dopo un anno di negoziati e conlo stimolo dell’inizio della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra L’Avana e Washington, fu firmato dai due paesi un accordo che si dirigeva come garanzia di una migrazione regolare, sicura e ordinata e che eliminava oltre al Parole, la politica dei piedi asciutti, piedi bagnati.
Quella è stata una delle ultime azioni prese dall’allora presidente Barack Obama.
Durante più d un decennio il Programma di Parole… , creato nel 2006 da George W. Bush, istigò il personale cubano della Sanità che collaborava in terzi paesi ad abbandonare le missioni e ad emigrare negli Stati Uniti, pratica censurabile che danneggiava non solo Cuba, ma per conseguenza i programmi di salute dei paesi dove costoro stavano lavorando. (GM – Granma Int.)
21 novembre 2018