Nell’ultimo libro di Lirio Abbate rivelate le informative del Gom dove i boss esprimono malumori per le puntate del programma “Non è L’Arena”
“Quell’uomo… di Giletti e quel… di Di Matteo stanno scassando la minchia”. A parlare è il boss stragista Filippo Graviano, fratello di Giuseppe, detenuto anch’esso al 41bis, lo scorso 11 maggio mentre commentava negativamente la puntata del programma “Non è l’Arena”, condotto da Massimo Giletti, andata in onda la sera precedente. La trasmissione fin dalle prime scarcerazioni dei boss per causa del Covid-19 si era occupata della tematica, come anche successivamente della mancata nomina a capo del Dap del pm Nino Di Matteo da parte del Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. “Il ministro fa il suo lavoro e loro rompono il…” diceva Graviano mentre parlava ad alta voce con lo ‘ndranghetista Maurizio Barillari, come se volesse farsi sentire dagli uomini del Gom che lo sorvegliano. A rivelare la circostanza è stato il giornalista Lirio Abbate, il vice direttore de L’Espresso in un libro-inchiesta, si intitola U Siccu “Matteo Messina Denaro: l’ultimo capo dei capi” (Rizzoli), che da oggi si trova in libreria. A riportare la notizia è stato oggi il quotidiano “La Repubblica”.
Da quanto emerge dalle informative del Gom anche Giuseppe Graviano, detenuto al 41 bis a Terni, non gradiva quanto diceva il giornalista de “L’Espresso” intervenuto durante la puntata del 10 maggio da Giletti, che parlò proprio dei fratelli di Brancaccio. “Purtroppo questa è l’Italia, politici e magistrati litigano per i loro imbrogli e fanno leggi restrittive, – scriveva Giuseppe Graviano il giorno dopo la puntata a sua moglie Rosalia Galdi – sempre per celare i loro malaffari, contro chi è stato ristretto, tipo la polemica di questi giorni, altresì hanno messo, come di consueto, il mio nome che non c’entra niente”. Gli agenti del Gom hanno anche scritto che quella sera “del 10 maggio, quasi tutti i detenuti al 41 bis erano davanti al televisore”.
All’interno delle informative si leggono anche degli insulti rivolti alla figlia del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, Rita, che è stata molte volte ospite della trasmissione di Giletti. Gli insulti sono arrivati dal boss della Commissione di Cosa nostra Benedetto Capizzi che commentava negativamente le opinioni espresse da dalla Chiesa. Non solo. Anche contro i giornalisti: “È colpa loro, se no a quest’ora stavo fuori anch’io”.
L’ultimo libro del giornalista ha come tema centrale la primula rossa di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, che ancora oggi dal giugno 1993 è latitante.
In tutti questi anni però è stato processato e condannato all’ergastolo per le stragi di Firenze, Milano e Roma. “La mafia è ancora viva anche se dietro le sbarre – ha scritto Abbate – e i suoi uomini tentano in ogni modo di uscire, di comunicare con l’esterno. E all’esterno il faro è solo uno, l’unico ad avere il potere e la caratura criminale per fare da punto di riferimento: Matteo Messina Denaro”. Secondo il giornalista Messina Denaro oggi è un affarista che può contare su “reti politiche, imprenditoriali e criminali che lavorano per lui”.
Abbate, cercando di ricostruire l’identikit del boss stragista, ha rinvenuto il primo e unico verbale d’interrogatorio che risale al 30 giugno 1988. “Sono il quarto dei sei figli di Messina Denaro Francesco – diceva ai poliziotti – l’unico che ha continuato l’attività di mio padre dedita alla coltivazione dei campi. Lui ha iniziato come campiere presso i terreni della famiglia D’Alì Staiti – spiegava – e tre anni fa sono subentrato io”.
14 Luglio 2020