di Gianni Barbacetto
Sono sempre i migliori che se ne vanno? Non per Giuliano Poletti, ministro fotocopia del Lavoro, che sulla fuga del cervelli – organo su cui non ha gran competenza – ha rilasciato ieri dichiarazioni assai poco cerebrali: “Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Temendo che la sua prosa non fosse capita, ha aggiunto: “Se se ne vanno 100 mila, ne restano 60 milioni: non è che i 100 mila che se ne vanno sono bravi e intelligenti e quelli rimasti sono tutti dei pistola”.
Non tutti. Qualcuno magari diventa anche ministro. E si deve improvvisare front-man di una riforma chiamata con un’espressione in una lingua che non conosce: la sparata sulla fuga dei cervelli, infatti, veniva al culmine di una difesa del Jobs Act, che invece di generare lavoro vero, ha aumentato i voucher, altro anglo-termine che una volta evocava hotel, voli, viaggi e vacanze, ora è esperienza di tanti giovani che le vacanze non se le possono permettere più. A meno di cercare lavoro all’estero. Cervelli in fuga? Ma in fondo, dice Poletti, “è bene che i nostri giovani abbiano l’opportunità di andare in giro per l’Europa e per il mondo”. Benedetta sia la fuga dei cervelli, dunque, che dà la possibilità che i nuovi voucher non danno. Il governo è comunque disponibile a rivedere le norme sui voucher, ha aggiunto il ministro, anche alla luce dei dati Inps sulla loro costante crescita.
E pensare che tre mesi fa era stato Matteo Renzi, ancora presidente del Consiglio, a tracciare il solco in cui Poletti ha affondato l’aratro. Aveva tuonato contro “la retorica della fuga dei cervelli: il punto centrale è che bisogna trovare il modo di essere attrattivi, bisogna aprirsi alla competizione internazionale”. Infatti chi questi fenomeni li studia sa che il problema non è l’uscita, ma il saldo tra le partenze e gli arrivi: è bene che gli italiani facciano esperienze all’estero, ma altrettanti stranieri dovrebbero essere attirati dall’Italia. Non succede. Perché i soldi per la ricerca sono pochi e, quando ci sono, sono distribuiti con criteri baronali e poco trasparenti, come ha denunciato la senatrice Elena Cattaneo a proposito di Human Technopole.
Ogni anno, sono circa 3 mila i ricercatori italiani che prendono la via dell’estero. Saranno 30 mila nel periodo 2010-2020 ad andare a contribuire allo sviluppo di altri Paesi, dopo essere costati al nostro ben 5 miliardi di euro. Tra i Paesi industrializzati, l’Italia è quella che ha il saldo più negativo tra chi esce e chi arriva: -13,3 per cento.
La fuga del cervello di Poletti è durata poche ore. Quando gli hanno spiegato che cosa aveva detto, ha reagito come sanno reagire i politici di razza: mi avete frainteso. “Non mi sono mai sognato di pensare che è un bene per l’Italia il fatto che i giovani se ne vadano all’estero” – che invece è un bene. “Evidentemente mi sono espresso male e me ne scuso”. Tutto è bene quel che finisce bene.
Il Fatto quotidiano, 20 dicembre 2016