Palermo, 2 mag – Il maresciallo capo dei Carabinieri Saverio MASI ha presentato una denuncia con la quale espone in modo circostanziato la possibile storia della mancata cattura di Bernardo Provenzano, prima, e di Matteo Messina Denaro, poi.
E’ il racconto di una serie sconcertante di ostacoli che sarebbero stati interposti dai superiori alla cattura dei due boss di Cosa Nostra.
Il resoconto del maresciallo Saverio Masi – già sentito come teste nell’ambito al processo contro il generale Mario Mori – ricorda quello del colonnello Michele Riccio che parimenti denunciò di essere stato ostruito dai superiori nella cattura di Provenzano. Il maresciallo Masi è oggi il capo scorta del Pubblico Ministero Nino Di Matteo e condivide con lui quotidianamente il rischio attentati, di recente rilanciato da fonti anonime.
Negli anni dal 2001 al 2008, il militare aveva costituito una propria squadra e aveva imboccato la pista di un casolare nei pressi di Ciminna, probabile covo di Provenzano, allora latitante da decenni. Secondo quanto esposto nella denuncia, il sottufficiale sarebbe stato bloccato nelle indagini e poi obbligato a coordinarsi con uomini del ROS che, con vari stratagemmi, gli avrebbero impedito ogni tipo di indagine e di pedinamento del boss. Il maresciallo ha denunciato le forti pressioni ed i continui cambi di incarico cui sarebbe stato sottoposto al fine di abbandonare la caccia dei boss latitanti, fino al punto di essere investito da un ufficiale suo superiore con la frase: «Noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano! Non hai capito niente allora? Lo vuoi capire o no che ti devi fermare? Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella? Te lo diamo in tempi rapidi!».
Lo stesso dicasi per la cattura di Matteo Messina Denaro che il sottufficiale sarebbe riuscito addirittura ad incrociare per strada, in incognito, ad un metro di distanza. Anche stavolta egli avrebbe chiesto senza esito di essere approvvigionato di uomini e mezzi necessari per sottoporre a verifica persone, vetture ed abitazioni vicine o di pertinenza del boss.
Paradossalmente, oggi il sottufficiale è lui sotto processo per falso ideologico e materiale e tentata truffa, per aver chiesto l’annullamento di una sanzione del codice della strada subita con un’auto privata durante un servizio di polizia giudiziaria. «Usavamo sempre macchine di amici e parenti per fare i pedinamenti – aveva spiegato Masi nell’ambito del processo Mori – in quanto i fiancheggiatori conoscevano ed annotavano le targhe delle auto di servizio che usavamo. Così, ad esempio, se dovevamo entrare a Bagheria, ricorrevamo ad auto intestate a nostri conoscenti del posto, in modo da non destare alcun sospetto, e di multe ne abbiamo ricevute diverse. Era una procedura che i miei superiori conoscevano».
I superiori del militare, sentiti nel processo a suo carico, lo hanno però smentito, affermando di non avere mai autorizzato l’uso di mezzi privati per attività di polizia giudiziaria.
La prossima udienza del processo di appello a carico del maresciallo Masi si svolgerà il 7 maggio a Palermo. Il sottufficiale è difeso dagli avvocati Giorgio Carta – ex ufficiale dei Carabinieri – e Francesco Desideri.
«La denuncia del nostro assistito – dichiara l’avvocato Giorgio Carta – descrive una pagina buia della storia d’Italia e dell’Arma dei Carabinieri. Ci auguriamo, pertanto, che i fatti riportati siano oggetto di un accertamento approfondito e scevro da condizionamenti che faccia emergere la verità, qualunque essa sia. Certo, lascia sgomenti che un militare che ha dato tanto allo Stato, sia oggi sotto processo con l’accusa di aver falsificato un atto al solo fine di far annullare un verbale del codice della strada. In tal modo, il militare rischia la destituzione che, certamente, costituirebbe un sinistro monito a tutti i carabinieri che intendano impegnarsi come lui nel contrasto alla mafia».
Aggiunge l’avvocato Francesco Desideri che «il maresciallo Masi avrebbe dovuto trovare appoggio, sostegno e credito già nel corso del primo grado di giudizio, cosa che non è occorsa. Un servitore dello Stato che oltre ogni immaginabile sforzo, dovere ed obbligo si è profuso nella lotta contro la malavita organizzata ed in particolare contro la mafia, non può essere ritenuto un mistificatore ed un truffatore. Ciò non perché debba essere ritenuto scevro da censure stante la sua posizione, ma perché ha semplicemente svolto il suo dovere, anche con grande sacrificio personale ed economico. Faremo ogni possibile sforzo affinché dinanzi la Corte di Appello Penale di Palermo emerga la verità dei fatti, utile a scagionare definitivamente il maresciallo Masi”.
La notizia rilanciata da SkyTG24
Il boss Messina Denaro e la mancata cattura