Su l’Essenziale è apparsa il 5 dicembre una striscia a firma di Zerocalcare, al secolo Michele Rech, artista, fumettista e, per noi, intellettuale che stimiamo molto. Tuttavia, nel tentativo di portare all’attenzione dell’opinione pubblica il caso dell’anarchico Alfredo Cospito, curiosamente recluso al 41 bis, ha dimostrato una evidente scarsa conoscenza delle ragioni per le quali Giovanni Falcone ideò il c.d. “carcere duro” quando era a capo degli Affari Penali del Ministero della Giustizia. Contribuendo, così, a fare disinformazione sul tema.
Al 41 bis non sono recluse migliaia di persone
Intitolata “La voragine”, la striscia punta il dito sul regime carcerario previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario. “Una voragine di brutalità fisica e psicologica che inghiotte la vita di migliaia di persone”, come leggiamo nella vignetta finale. Subito dopo ricorda il dato drammatico dei suicidi in carcere di questo 2022 non ancora concluso e gli agenti di polizia penitenziaria sotto processo.
Tuttavia, non è vero che al 41 bis si trovano oggi migliaia di persone. I dati del Ministero della Giustizia, rielaborati dall’associazione Antigone (che fa un meritorio lavoro di sensibilizzazione sull’indegna condizione delle carceri italiane), ci dicono che al novembre 2021 le persone al 41 bis erano 749 (di cui 13 sono donne). Di queste, solo 6 non erano state condannate per reati di mafia.
Inoltre, di quegli 80 suicidi ricordati da Zerocalcare, nessuno si trovava al 41 bis. Così come nessuno dei 200 agenti di polizia penitenziaria è sotto processo per aver torto anche solo un capello a un boss mafioso al 41 bis: si guardano bene dal farlo (si veda la mattanza del carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove gli unici graziati sono stati proprio i camorristi in regime di alta sicurezza).
Prima del 41 bis
Ma perché è stato introdotto il 41 bis nell’ordinamento penitenziario? Perché prima della sua introduzione i boss mafiosi continuavano a comandare dal carcere. E quando trovavano delle guardie carcerarie che non si facevano corrompere, le facevano uccidere (se ne trovano diverse, tra le oltre mille vittime innocenti delle mafie).
Perché quando negli anni ‘70 e ‘80 la “mafia che non esisteva” insanguinava Palermo e l’Italia, il carcere di Palermo era soprannominato “Grand Hotel Ucciardone”, con casse di champagne e ostriche che venivano recapitate al suo interno (come rivelato dai pentiti ai tempi del maxiprocesso di Palermo).
Perché Raffaele Cutolo, boss campano della Nuova Camorra Organizzata, diresse in vestaglia nel carcere di Poggioreale la mattanza dei detenuti rivali affiliati alla Nuova Famiglia nella notte del terremoto del 23 novembre 1980.
L’esigenza quindi di interrompere i legami dei boss con l’esterno, data la pericolosità delle organizzazioni mafiose, nasce dalla volontà dello Stato di riprendere il controllo delle carceri italiane. Controllo che, come si evince dalla lettura del libro del dott. Sebastiano Ardita, è ben lontano dall’essere acquisito.
Senza contare che i fratelli Graviano hanno concepito i propri figli in carcere al 41 bis. A dimostrazione del fatto che “la vera forza della mafia sta fuori dalla mafia”, come ricorda sempre il professor Nando dalla Chiesa.
Nessuna vendetta, solo verità e giustizia
Non c’entra quindi assolutamente la vendetta. Se così fosse, non esisterebbe il 41 bis, ma la pena di morte, con le esecuzioni nella pubblica piazza. Fortunatamente, siamo la patria del Beccaria e nessuno pretende vendetta. Solo verità e giustizia. Cosa che finché i boss reclusi al 41 bis continueranno a trincerarsi dietro il muro dell’omertà non avremo mai.
Quando infatti Zerocalcare giustamente ricorda la funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione e se la prende coi muri delle celle del 41 bis, non si fa la domanda più importante: come può dimostrare un boss mafioso di essere cambiato, se non abbatte anzitutto il muro dell’omertà, caposaldo della cultura mafiosa?
Gli avvocati dicono: “teme per sé e per la sua famiglia”. Ma al di là che esiste il programma di protezione, così facendo ammettono che siamo in emergenza democratica: se lo Stato, a causa delle organizzazioni mafiose che comandano su determinati territori, non può garantire il programma di protezione, significa che è giustificata una misura emergenziale qual era il 41 bis fino al 2002 (poi regolamentata per legge come potete leggere sulla nostra voce enciclopedica).
Il mafioso e la condotta in carcere
Storicamente, i boss mafiosi hanno sempre avuto un comportamento impeccabile in carcere. La ragione è semplice: si propongono allo Stato come “uomini di pace”, anche se comandano un esercito in guerra perenne con lo Stato.
Difatti lo Stato, che non volle trattare per Aldo Moro, corse da Raffaele Cutolo per mediare la liberazione dell’assessore democristiano ai lavori pubblici ed ex-presidente della Regione Campania Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse e accusato di essere la “scatola nera” dei rapporti tra Dc campana e camorra.
Cirillo fu liberato ma proprio il clamore mediatico suscitato da quella trattativa, unito alla strage di Poggioreale del novembre 1980, portò l’allora Presidente Sandro Pertini a imporsi per il trasferimento di Cutolo nel carcere dell’Asinara.
Lontano dal suo territorio e dal “suo” carcere, il potere di Cutolo si dissolse, così come la Nuova Camorra Organizzata e il suo impero criminale. Anche sulla scorta di questa esperienza, Giovanni Falcone si convinse della necessità di separare i boss mafiosi più pericolosi dal resto degli altri detenuti.
Quale alternativa al 41 bis?
Non si tratta di volersi vendicare contro i mafiosi cattivi. Anche perché, come insegna la scandalosa sentenza d’appello sulla Trattativa Stato-Mafia, i mafiosi non sono gli unici “cattivi”, però sono gli unici che si possono condannare. Né si tratta di essere indifferenti rispetto alla condizione scandalosa delle carceri italiane (P.S. il famoso sermone “Prima vennero” non è di Brecht, ma di Martin Niemöller).
Sappiamo anche perfettamente che le misure alternative al carcere riducono il tasso di recidiva e danno una speranza di futuro a chi un futuro non ce l’ha. Ma a questo punto chiediamo a Zerocalcare: quale pena alternativa al carcere darebbe ai boss mafiosi reclusi al 41 bis? In che modo, lasciandoli tornare in libertà, lo Stato riuscirebbe ad impedire che si vendichino, loro sì, di chi li ha mandati in carcere? O che si diano alla latitanza, godendo questi di un consenso sociale altissimo nei loro territori d’origine? Il caso di Matteo Messina Denaro, e prima di lui di Riina e Provenzano, davvero non hanno insegnato niente?
Che effetto avrebbe sulle denunce dei privati cittadini che subiscono ogni giorno la privazione della libertà dovuta al fatto di vivere in un territorio governato dalle organizzazioni mafiose? Già oggi sono poche e ai processi di mafia non si costituiscono quasi mai parte civile: se boss del calibro dei Graviano tornassero in libertà, quali sarebbero i risultati?
Alcuni fatti recenti
Qualche risposta a queste domande la danno i precedenti storici. Senza andare troppo in là, nella recente inchiesta della DDA di Milano “Vico Raudo” il boss Gaetano Bandiera ha ottenuto gli arresti domiciliari perché “disabile” in sedia a rotelle. Disabile non era e la sedia a rotelle se l’era fatta prestare da un amico per l’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza. Risultato? Era tornato a seminare terrore nella città di Rho, come se niente fosse, nonostante una pesante condanna nel processo Infinito.
Prima di lui Cosimo Vallelonga, altro boss condannato in Infinito, aveva ottenuto i domiciliari per motivi di salute e in poco tempo mise in piedi un business criminale legato al traffico di rifiuti, con la complicità di imprenditori locali. A questa attività si aggiungevano quelle classiche dell’associazione mafiosa. Sul tema, il suo sodale Vincenzo Marchio, ha detto a un suo interlocutore in un’intercettazione agli atti dell’inchiesta:
«La gente ci descrive come fossimo dei mostri… nel 99% dei casi pensano, quando parlano di noi, come se fossimo dei diavoli, sbaglio? Parlano come se fossimo delle persone senza scrupoli, come se fossimo cattivissimi, come se ammazziamo la gente così, a caso… No, non è vero. È che sappiamo farlo quando serve… io so essere cattivo quando serve… se non serve faccio la persona normale»
Intercettazione 23 novembre 2018 contenuta in CLEMENTE, A. (2021). Ordinanza Procedimento n. 5664-18 R.G.N.R., Tribunale di Milano, Ufficio del GIP, 18 gennaio, pp. 489-490.
Ancora più famoso il caso di Giuseppe Setola: nel 2008 grazie a dei falsi certificati medici che attestavano una grave malattia all’occhio destro, ottenne i domiciliari vicino alla Clinica Maugeri di Pavia. Evase, tornò nel casertano dando inizio a una stagione di terrore costata 18 vittime innocenti.
Caro Zerocalcare, vogliamo la stessa cosa
In conclusione, ha senso accusare tutti quelli che studiano il fenomeno mafioso da decenni di volere vendetta e di essere incostituzionali, quando l’ideatore del 41 bis, Giovanni Falcone, è morto per difendere i valori sanciti dalla Costituzione nel tentativo di assicurare giustizia a chi se la vedeva negata da più di un secolo?
Perché fare un minestrone senza senso, usando la vicenda Cospito per attaccare il 41 bis, il movimento antimafia e i magistrati sotto scorta che difendono la ratio della norma, sulla base di fatti documentati della storia delle mafie in questo Paese?
Ci sono tante cose che non vanno nel sistema giustizia in Italia. La prima è che i potenti ottengono quasi sempre quello che vogliono, a differenza di chi il potere non ce l’ha. Difatti, la situazione della stragrande maggioranza dei detenuti non interessa ai potenti. Così come non interessa ai boss mafiosi, che sono un pezzo della classe dirigente di questo Paese.
A noi della loro sorte interessa. E difatti siamo a favore di percorsi veri di rieducazione e di reinserimento sociale del condannato. L’antropologia e la psicologia del mafioso, però, non si cambiano con l’ottenimento della laurea con lode o comportandosi bene in carcere. Il primo passo è l’abbattimento del muro dell’omertà: è solo abbattendo quel muro psicologico che il mafioso dà prova di aver iniziato un percorso di rieducazione.
Se la cultura di cui è portatrice resta mafiosa, è altamente improbabile che una volta uscito dal carcere non continuerà a fare il mafioso. Anzitutto perché continuerà ad avere quel preciso status nella società (al riguardo si consiglia la lettura di Pierre Bourdieu, uno dei più influenti sociologi del XX secolo).
Quanto ancora deve allungarsi l’elenco sterminato delle vittime innocenti delle mafie, prima che il potere mafioso venga considerato un’emergenza democratica di cui occuparsi? Debellato quello, e soprattutto colpita la sua vera forza (i soggetti esterni alla mafia), potremmo agevolmente sbarazzarci di 41 bis e legislazione antimafia. Perché superflua. Ora non ci pare proprio che lo sia.
FIRMA! Nicola Gratteri cittadino onorario di Milano