Chi è Marco Minniti, l’uomo che agisce dietro le quinte della sinistra italiana? In questo articolo proviamo a descriverne la carriera, da cui emergono contorni anche inquietanti.
Reggino classe ’56, famiglia di militari (padre, zio e fratelli sono Generali), laurea in filosofia, adolescenza negli scout e militanza comunista (FGCI e PCI) nella Reggio Calabria dei “Boia chi molla” del sindacalista missino Ciccio Franco e delle manovre occulte di ‘ndrangheta, massoneria e servizi deviati. Uomo taciturno, per nulla “social” che al trambusto del palcoscenico ha sempre preferito il silenzio del dietro le quinte. Nulla di speciale se non fosse che stiamo parlando di Domenico Minniti detto Marco, l’uomo dei “segreti” che siederà sulla poltrona del Viminale prendendo il posto di Angelino Alfano, nuovo titolare della Farnesina.
Il nuovo Ministro dell’interno è uno che la politica la mastica sin dalla gioventù, arrivando a scalare le gerarchie regionali e nazionali del Partito Comunista Italiano e delle sue successive evoluzioni/involuzioni, PDS-DS-PD. Dopo una lunga gavetta nelle sezioni del PCI di Reggio Calabria, e una solida e duratura amicizia con Italo Falcomatà, sindaco della “Primavera reggina” nonché figura di spicco del PCI-PDS calabrese – su cui la DDA di Reggio Calabria ha gettato, post mortem, un’ombra sinistra con l’inchiesta denominata “Mammasantissima” -, per Minniti arriva il primo incarico di spessore nella “Commissione problemi del lavoro e dell’economia” della Direzione nazionale del Partito. Correva l’anno 1986, e due anni dopo lo ritroviamo alla testa della Federazione di Reggio Calabria.
Con la svolta della “Bolognina”, e la mutazione genetica imposta da Occhetto al Partito Comunista, Minniti guida il nuovo Partito della Sinistra in Calabria fino a giungere nella Segreteria Nazionale assumendo nel 1995 l’incarico di Segretario Organizzativo. Sono gli anni dello stretto legame umano e politico con Massimo D’Alema, di cui apprezza la svolta “riformista”, che lo porterà alla Presidenza del Consiglio come sottosegretario con delega ai Servizi per le informazioni e la sicurezza.
Da qui in poi, inizia la carriera – almeno ufficialmente – di Minniti ai vertici dell’intelligence di Stato che lo renderà uno dei personaggi più potenti all’interno dei vari governi di centro-sinistra.
Il primo banco di prova è la crisi del Kosovo nel 1999: Il governo D’Alema li affida l’incarico di coordinatore del “Comitato interministeriale per la ricostruzione dei Balcani”, in quanto fervente sostenitore dell’intervento imperialista della NATO contro la Serbia per “fermare la pulizia etnica perpetrata dal regime di Milosevic contro la popolazione di etnia albanese”. La Serbia fu selvaggiamente, e ingiustamente, bombardata e la Jugoslavia smembrata.
La sua fedeltà alle disposizioni della NATO viene riconfermata nel 2011 quando si schiera apertamente per l’intervento armato contro la Jamāhīriyya libica del Colonnello Gheddafi. Minitti è solito ripetere a ogni piè sospinto che la Libia e il Mediterraneo sono d’interesse nazionale e che l’Italia “è una media potenza regionale che ha la sua forza nello stare in questa posizione. È questo il mandato che la comunità internazionale ci ha dato. A livello internazionale la Libia è considerato un territorio del quale l’Italia se ne deve occupare. Sappiamo che lì il quadro è abbastanza delicato. Come tutte le situazioni di crisi si presenta con spazi di opportunità e rischi enormi“. Tutto giusto e condivisibile. Ci sfugge però il senso dell’attacco manu militari che ha “balcanizzato” la Libia danneggiando, di fatto, il ruolo e gli affari dell’Italia.
Ritornando al suo curriculum politico, il primo incarico al Ministero dell’Interno arriva nel 2006 quando Prodi lo nomina vice-ministro. Ma a far scalpore fu il suo avvicinamento al neo segretario dem Walter Veltroni, abbandonando, politicamente, Massimo D’Alema. Con Veltroni – e poi confermato dai successivi segretari PD, Franceschini e Bersani – Minniti è nominato “responsabile sicurezza” del Partito. Nel governo o all’opposizione, l’intelligence resta materia esclusiva del neo Ministro dell’Interno.
Prima di ritornare direttamente a tenere le redini dei Servizi nei Governi Letta e Renzi, nel 2009 Minniti fonda con l’ex Presidente Cossiga l’Intelligence Culture and Strategic Analysis (ICSA): fondazione leader nelle analisi di difesa, sicurezza e intelligence nonché pensatoio politico che accoglie intellettuali, accademici, ambasciatori, magistrati e giornalisti. L’ICSA è presieduta – dopo le dimissione dello stesso Minniti dovute all’incarico governativo – dal Generale dell’Aeronautica Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore e prima ancora comandante delle forze aeree della NATO a Vicenza. La NATO è ricorrente quando si parla di Minniti.
Ma è con l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi che acquista sempre più potere nonostante non fosse mai stato nel “cerchio magico” dell’ex Presidente del Consiglio. Confermato alla guida dei Servizi, Marco Minniti affronta di petto le spinose questioni internazionali come terrorismo e immigrazione. In questo fragile e confuso scenario geopolitico, Minniti svolge un ruolo delicato nelle relazioni con l’Egitto di al-Sisi all’indomani della tragica e misteriosa morte di Giulio Regeni, e avvia trattative con le autorità indiane per il rilascio dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Se a pensare male si fa peccato ma spesso ci si indovina, come avrebbe detto Giulio Andreotti, ci sarebbe lo zampino dello stesso Minniti dietro le nomine dei vertici delle Forze Armate e di Polizia, come quelle di Claudio Graziano a capo dello Stato maggiore dell’Esercito, e di Franco Gabrielli, ex capo SISDE, alla prefettura di Roma. Un Ministro riservato ed equilibrato che ha svolto il ruolo da sottosegretario in maniera “renziana” per quanto concerne la rottamazione dei vecchi servizi, dando impulso a nuove strategie d’intelligence basate sull’uso e sullo sviluppo di nuove tecnologie puntando direttamente sui giovani selezionati nelle principali Università d’Italia.
Ad aumentare l’alone di mistero che circonda Marco Minniti è l’Interrogazione a risposta scritta del 5 aprile 1995 presentata da Amedeo Matacena – ex deputato di Forza Italia e condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa – al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di Grazia e Giustizia nella quale spuntano i nomi del Ministro Minniti e di sua moglie.
L’interrogazione, disponibile al pubblico ed accessibile a questo indirizzo, non ha mai avuto una risposta e difficilmente l’avrà in futuro. Ma getta ombre inquietanti sulla figura di Marco Minniti e sulla sua contiguità, anche familiare, con ambienti ritenuti insoliti per colui che dovrebbe essere uno specchiato protagonista della vita della nostra Repubblica.