Manlio Dinucci Tommaso Di Francesco
Il governo bulgaro ha annunciato domenica di aver interrotto i lavori di costruzione del South Stream, il gasdotto che dovrebbe trasportare gas russo nell’Unione europea senza passare per l’Ucraina. «Ho ordinato di fermare i lavori – fa sapere il premier Plamen Oresharski – Decideremo gli sviluppi della situazione dopo le consultazioni che avremo con Bruxelles». Nei giorni scorsi il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, aveva annunciato l’apertura di una procedura Ue contro la Bulgaria per presunte irregolarità negli appalti del South Stream.
Appena tre giorni prima, il 5 giugno, la direzione del Partito socialista bulgaro, che sostiene il governo Oresharski, dava per sicuro che il tratto bulgaro del gasdotto sarebbe stato costruito nonostante la richiesta di Bruxelles di fermare il progetto. «Per noi è d’importanza vitale», sottolineava il vicepresidente della commissione parlamentare per l’energia, Kuiumgiev. E il presidente della Camera dei costruttori, Glossov, dichiarava che «il South Stream è una boccata d’ossigeno per le imprese bulgare».
Che cosa è avvenuto? Il progetto nasce quando, nel novembre 2006 (durante il governo Prodi II), la russa Gazprom e l’italiana Eni firmano un accordo di partenariato strategico. Nel giugno 2007 il ministro per lo sviluppo economico, Pierluigi Bersani, firma con il ministro russo dell’industria e dell’energia il memorandum d’intesa per la realizzazione del South Stream. Secondo il progetto, il gasdotto sarà composto da un tratto sottomarino di 930 km attraverso il Mar Nero (in acque territoriali russe, bulgare e turche) e da uno su terra attraverso Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia e Italia fino a Tarvisio (Udine). Nel 2008-2011 vengono conclusi tutti gli accordi intergovernativi con i paesi attraversati dal South Stream.
Nel 2012 entrano a far parte della società per azioni che finanzia la realizzazione del tratto sottomarino anche la tedesca Wintershall e la francese Edf con il 15% ciascuna, mentre l’Eni (che ha ceduto il 30%) detiene il 20% e la Gazprom il 50%. La costruzione del gasdotto inizia nel dicembre 2012, con l’obiettivo di avviare la fornitura di gas entro il 2015. Nel marzo 2014 la Saipem (Eni) si aggiudica un contratto da 2 miliardi di euro per la costruzione della prima linea del gasdotto sottomarino.
Nel frattempo, però, scoppia la crisi ucraina e gli Stati uniti premono sugli alleati europei perché riducano le importazioni di gas e petrolio russo, che costituiscono circa un terzo delle importazioni energetiche della Ue. Primo obiettivo statunitense (scrivevamo il 26 marzo) è impedire la realizzazione del South Stream. A tale scopo Washington esercita una crescente pressione sul governo bulgaro. Prima lo critica per aver affidato la costruzione del tratto bulgaro del gasdotto a un consorzio di cui fa parte la società russa Stroytransgaz, soggetta a sanzioni statunitensi. Con tono di ricatto, l’ambasciatrice Usa a Sofia, Marcie Ries, dichiara: «Avvertiamo gli uomini d’affari bulgari di evitare di lavorare con società soggette a sanzioni da parte degli Usa».
Il momento decisivo è quando, domenica scorsa a Sofia, il senatore Usa John McCain, accompagnato da Chris Murphy e Ron Johnson, incontra il premier bulgaro trasmettendogli gli ordini di Washington. Subito dopo Plamen Oresharski annuncia il blocco dei lavori del South Stream.
Una vicenda emblematica: un progetto di grande importanza economica per la Ue viene sabotato non solo da Washington, ma anche da Bruxelles per mano dallo stesso presidente della Commissione europea. Ci piacerebbe sapere che cosa ne pensa il governo Renzi, dato che l’Italia – come ha avvertito Paolo Scaroni, numero uno dell’Eni – perderebbe contratti per miliardi di euro se venisse affossato il South Stream.
9 giugno 2014