La Fiat per 3,65 miliardi di dollari rileva il 41,5 % della Chrysler fino ad ora di proprietà del fondo sindacale VEBA ed acquisisce il pieno controllo della terza società automobilistica statunitense. La borsa gli regala immediatamente un + 16% e la stampa del nostro paese grida gioiosa alla “caduta in mani italiane” del colosso americano.
Si gioisce della presunta vittoria italiana e si tralascia di dire che la Fiat, non più italiana da un pezzo, è da tempo una multinazionale che con l’acquisizione della Chrysler diventa ancor più una società che opera e produce a livello internazionale.
D’altra parte da tempo l’Italia non è più la sede produttiva principale e la delocalizzazione è andata di pari passo con la drastica riduzione di quella degli stabilimenti italiani, con conseguente chiusura di fabbriche, di reparti, di linee e cassa integrazione elargita a pioggia e per periodi sempre più lunghi.
Marchionne, che ha residenza in Svizzera e sembra paghi le tasse in Italia con un’aliquota ridotta di un terzo rispetto a qualsiasi altro contribuente, risparmiando così centinaia di migliaia di euro l’anno, è riuscito in un’impresa che ha potuto concretizzarsi soltanto attraverso la prossimità alla finanza internazionale che conta, alla condivisione della politica italiana di centro-destra e di centro-sinistra e alla “collaborazione” di Cgil, Cisl e Uil.
In pochi anni ha ridotto la maggiore industria italiana ad un “cassaintegratificio” eliminando il conflitto sociale e soprattutto limitando il costo del lavoro, facendo pagare il tutto ai lavoratori ed ai cittadini, ha delocalizzato la maggioranza delle produzioni aumentando i propri profitti con i quali ha acquisito la Chrysler, acquisendo così una dimensione internazionale rilevante.
Mentre negli Stati Uniti la Chrysler aumenta le vendite e gli utili, in Italia la promessa di Fabbrica Italia si è rivelata per quello che era: una bufala che serviva a tener buoni i lavoratori sino a quando il ruolo internazionale della Fiat non fosse decollato definitivamente: nessun investimento rilevante in Italia, cassa integrazione a piene mani, nessun nuovo modello.
In questo scenario il ruolo di Cgil, Cisl e Uil è stato distruttivo. La disinformazione fatta tra i lavoratori e nel paese ha di fatto favorito i disegni di Marchionne e la stessa Fiom che si era opposta al piano Fiat, ha poi via via ammorbidito le proprie posizioni, sino ad arrivare in questi giorni ad una vera e propria resa del vertice del sindacato Cgil dei metalmeccanici che è oggi occupato principalmente a fare le scarpe alla alleata congressuale Camusso, addirittura alleandosi con Renzi che da mesi fa la corte a Marchionne.
E allora la politica ed i media italiani dovrebbero contare almeno sino a dieci prima di magnificare il trionfo dell’industria italiana. L’acquisizione della Chrysler vuol dire essenzialmente ulteriore spostamento della produzione e dell’occupazione fuori dal nostro paese e chi oggi chiede in modo supplichevole che “si faccia qualche cosa anche per la Fiat in Italia” o non ha capito nulla o mente sapendo di mentire.
I lavoratori devono ora aprire definitivamente gli occhi e ricominciare a fare conflitto sui posti di lavoro, nelle fabbriche e nei territori, mandare a quel paese il sindacato “complice” e chiedere a gran voce alla politica ed allo stato di far restituire alla proprietà Fiat quanto sino ad oggi elargito dai contribuenti italiani sotto forma di aiuti di stato, di agevolazioni e soprattutto di ammortizzatori sociali. Con quello che abbiamo dato agli Agnelli ed alla proprietà in questi decenni, la Fiat avremmo potuto comprarla 10 volte!
03/01/2014