di Saverio Lodato
Vade retro, Massimo Ciancimino. Ormai è acqua passata. Nessuno è disposto a sentirti. Te ne faranno di tutti i colori, pur di chiuderti la bocca. “Le ciance di Ciancimino”, titola oggi un sito di informazione che in Italia va per la maggiore. E più saranno clamorose le tue rivelazioni, più troveranno agile screditarle, metterle in cattiva luce, demolirle con il ritornello “ma è mai possibile?”.
Vade retro, Massimo Ciancimino. I giornaloni hanno già fatto la loro scelta. Sparare a zero, in punta di penna, si capisce, contro chi, svelando l’esistenza del “papello” con l’elenco delle richieste di Cosa Nostra allo Stato, diede il via al processo per la Trattativa Stato-Mafia imbastito da pubblici ministeri truculenti, pronti a ringhiare contro le istituzioni e le loro massime cariche.
E la stessa scelta l’avevano fatta, in passato, quei Papaveroni di Stato, spesso persino Papaveroni dell’Antimafia, che per sedici anni avevano finto di dimenticare di essere perfettamente al corrente del fatto che il generale dei carabinieri Mario Mori incontrava, anche in forza del loro acquiescente silenzio, il famigerato “don Vito”, il papà di Massimo. Il quale, a sua volta, trattava con i vertici di Cosa Nostra affinché si trovasse una “via onorevole per tutti” ponendo fine allo stragismo.
Vade retro, Massimo Ciancimino.
E ringrazia Dio che sia ormai stato chiuso il manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto. Se no ti ci avrebbero già spedito come fecero negli anni ’70, con il pentito Leonardo Vitale perché si era permesso di dire che la mafia di allora aveva rapporti con le istituzioni. E anche allora, di fronte alle dichiarazioni di Vitale, i Papaveroni dell’Antimafia dell’epoca e fior fior di magistrati dicevano: “ma è mai possibile?”. E sappiamo che fine fece Leonardo Vitale, assassinato anni dopo le sue rivelazioni appena si aprì il “maxi” processo di Falcone, Borsellino e Caponnetto a Cosa Nostra.
Già.
Ma è mai possibile che il vecchio Ciancimino, stimato dirigente della Democrazia Cristiana di Palermo al tempo della Prima Repubblica, fosse tutt’uno con Bernardo Provenzano, il capo mafia latitantissimo che continuava a latitare in Via Sciuti a Palermo?
Ma è mai possibile che nello studio di “don Vito”, in quel della via Sciuti a Palermo, facesse capolino persino “u Zù Totò” Riina, una volta temibile capomafia, oggi, più modestamente, “Escort di Stato”, che in cambio della tranquillità economica della sua famiglia, si presta a servizietti in conto terzi, lanciando da dietro le sbarre sentenze e messaggi di morte contro il pubblico ministero Nino Di Matteo, anche lui “reo” di volere andare a pescare dentro gli stagni putridi dell’”acqua passata”?
Ma è mai possibile che proprio Massimo Ciancimino avesse avuto incarico dal padre di andare avanti e indietro per recapitare i “pizzini”, l’unica forma scritta con cui si esprimeva la catena di comando di Cosa Nostra, proprio a Provenzano?
Ma è mai possibile che Provenzano – a detta di “don Vito” – non poteva essere arrestato, essendo al sicuro anche grazie a “incontri istituzionali” ai quali lo stesso “don Vito” sosteneva di avere partecipato?
Vade retro, Massimo Ciancimino.
A chi la racconti, a chi la vuoi raccontare?
Davvero vorresti farci credere che il figlio di un magistrato, un famoso Papaverone dell’Antimafia dei tempi di Falcone e Borsellino, era in società con Provenzano e con lo stesso “don Vito” per la gestione del gas a Palermo?
Ma è mai possibile che le cosche anni ’70 affidarono 4 miliardi delle vecchie lire a Silvio Berlusconi affinché li investisse nelle sue società edili milanesi?
Ma è mai possibile che sia esistito questo “Signor Franco” gran cerimoniere di Stato che ebbe persino la gentilezza funeraria di manifestare, con la sua presenza, il cordoglio delle Istituzioni alla morte del vecchio “Don Vito” quando se ne svolsero i funerali?
Son cose fuori dalla grazia di Dio. Son cose che non stanno in piedi.
Dire che la politica aveva rapporti con la mafia. Questa poi.
Dire che lo Stato trattava, trattò e tratta con la mafia. Questa poi.
Dire che mafiosi e certi magistrati erano in società con la mafia. Questa poi.
Dire che le iniziali fortune imprenditoriali di Silvio Berlusconi dipesero anche dai capitali “freschi” della mafia. Questa poi.
E allora, in conclusione.
Ciancia, ciancia, Massimo Ciancimino.
Lo sai benissimo che in Italia la mafia non esiste.
04 Febbraio 2016
1 Comment
…bell’articolo,molto intelligente.